Recensione: La luce e il tempo

Una battuta che circola negli ambienti scientifici afferma che ogni formula matematica inserita in un libro ne dimezza le vendite. Diciamolo subito: né l’editore Salani né l’autore Guido Corbò ci credono. Nell’ultima sua opera di formule e derivazioni ce ne sono molte; nell’introduzione non solo non lo nega ma lo rivendica.

[…]«queste formule sono semplicissime. Esse richiedono le conoscenze matematiche che si acquisiscono alle scuole medie. Così pure, altrettanto elementari sono le conoscenze di fisica richieste per poter leggere questo libro.»

In effetti può capitare di trovare una pagina con una sfilza di passaggi matematici. Il simbolo più complicato che appare è però quello di radice quadrata, che è praticamente necessario non appena si parla di distanze, perché il teorema di Pitagora spunta sempre. Non preoccupatevi, pertanto: la matematica è solo di supporto, se vi fidate dei passaggi potete andare avanti senza problemi!


La prima e più ampia parte del libro tratta la relatività ristretta. Corbò sceglie il tipo di approccio che io chiamo “assiomatico”. Anziché partire dall’esperimento di Michelson e Morley che dimostrò l’inesistenza dell’etere e quindi di un sistema di coordinate assoluto, preferisce definire due principi assunti come veri: la validità del principio di relatività galileiano e la costanza della velocità della luce nel vuoto. Da questo punto di partenza, per mezzo di una serie di Gedankenexperiment, Corbò ricava innanzitutto le trasformazioni di Lorentz e poi i vari effetti della relatività come la contrazione delle distanze, la dilatazione dei tempi, e la famosissima formula E=mc². Ritengo che la scelta sia vincente. Un testo di divulgazione scientifica nasconde necessariamente sotto il tappeto tutto un insieme di fatti che complicherebbero la comprensione a livello generale del tema, anche se di per sé sono necessari per comprenderlo davvero. L’autore mette in chiaro fin dal principio che tutto il castello della teoria di basa su alcuni assunti che dobbiamo prendere per buoni. In questo modo il lettore può comprendere che lo sviluppo della scienza non avviene cercando di costruire una teoria intorno ai risultati degli esperimenti, ma cercando una cornice coerente e per quanto possibile semplice che porti ai risultati trovati con gli esperimenti. (Oltre naturalmente a prevederne altri che possano essere verificati, come direbbe Popper: anche questo è trattato nel libro).

La seconda parte del libro, sulla relatività generale, è per forza di cose più discorsiva e meno matematica. In fin dei conti, la matematica della relatività ristretta è in effetti alla portata di tutti, e Einstein ha preceduto di poco Poincaré, Lorentz e Minkowski nel completare la formulazione fisica corrispondente. Per la relatività generale anche Einstein si è trovato in difficoltà, finché non ha scoperto i risultati della scuola geometrica italiana che erano quello che gli serviva per definire le niente affatto banali trasformazioni dello spazio-tempo. Anche qua Corbò parte da un assunto di base, l’indistinguibilità tra gravità e accelerazione. In questo caso l’uguaglianza viene suggerita dall’uguaglianza tra la massa inerziale e quella gravitazionale. Insomma, se due modi completamente diversi di calcolare la massa di un oggetto danno sempre lo stesso risultato, non sarà perché i due modi non sono poi così diversi? Qui la parte più importante è a mio parere la spiegazione del perché la relatività ristretta “non funziona”, o più precisamente perché si può avere il paradosso dei gemelli. Non è la differenza di velocità tra chi sta sulla Terra e chi viaggia in astronave che conta, perché nella relatività ristretta le equazioni sono simmetriche, quanto le accelerazioni subite dal cosmonauta. Il libro termina con un’interessante relazione tra le formule della meccanica celeste classica e il raggio di Schwarzschild, il famigerato orizzonte degli eventi di un buco nero. Come capita spesso, un risultato può essere letto in modi diversi a seconda della cornice teorica nella quale viene collocato, e questo ne è un esempio preclaro.

In un paio di punti nella prima sezione Corbò si è dimenticato che non tutti sono fisici. Parlando delle equazioni di Maxwell, scrive del campo elettromagnetico senza dare almeno un’idea di cosa sia; quando segnala che la Terra non è un sistema inerziale, anche se lo si può approssimare come tale, sarebbe stato utile accennare al pendolo di Foucault: non preoccupatevi, lo farà poi nella seconda parte. Fortunatamente queste minuzie non tolgono scorrevolezza al testo e alla successione dei temi. Alla fine della lettura, non garantisco che possiate discettare di relatività con sicumera, ma certamente riuscirete ad accorgervi della sicumera di chi ripete cose senza mai averle capite. Mi pare un ottimo risultato.

Guido Corbò, La luce e il tempo, Salani 2020, pag. 172, €13,90, link Amazon e ibs.it.

Maurizio Codogno

Matematto divagatore; beatlesiano e tuttologo at large. Scrivo libri (trovi l'elenco qui) per raccontare le cose che a scuola non vi vogliono dire, perché altrimenti potreste apprezzare la matematica.