Spider-Man

La prima cosa che ho fatto dopo avere giocato per dieci giorni a Spider-Man, il nuovo gioco per PS4 dedicato al sagace eroe Marvel in calzamaglia e uscito nei negozi il 7 settembre, è stato chiedere a un amico appassionato di fumetti se fosse sempre così, se l’Uomo Ragno fosse davvero sempre così diverso da tanti suoi colleghi, sia nel carattere che nei modi. Intendo dire che ci sono altri personaggi che sono tormentati, mezzi tossici, beoni, disperati, gonfi di dubbi e suscettibili al richiamo del lato oscuro della forza, dell’anello e del sottosopra – chiamiamolo come ci pare – ma Spider-Man sembra impermeabile a questa complessità. Il mio amico mi ha risposto che no, non c’è molto da fare, Spider-Man tende ad essere, almeno nella sua forma canonica, il vicino di casa buono senza troppi conflitti: un solerte servitore del bene e della giustizia disposto a porgere l’altra guancia e capire i problemi di tutti. Allora è vero: se Spider-Man fosse un personaggio dei Simpson forse sarebbe Ned Flanders. Certo, è un Ned Flanders bello, fisicato, con i superpoteri, ma comunque…

Peter Parker interpreta il suo ruolo di custode della città di New York con uno zelo e un’abnegazione talmente puri da far alzare gli occhi al cielo. Per fortuna non contano mai i ruoli dei personaggi in assoluto, ma come si muovono nel contesto in cui si muovono. E il contesto di Spider-Man, il gioco sviluppato da Insomniac, è perfettamente coerente. Peter Parker si muove in una Manhattan anche architettonicamente fuori dal tempo, coi cattivoni che lottano tra i palazzi, più imparentata con King Kong che con il Nasdaq (anche se la contemporaneità c’è, social network e grafene compresi). Lo fa con molta sagacia, come se fosse l’unica cosa che sa fare, avvicinandosi a Deadpool nel tono dei commenti fatalisti e sarcastici, con cui stempera la retorica insita nel suo ruolo di bravo ragazzo orfano che vive con la zia.

Insomniac è uno studio californiano che si è fatto conoscere con le avventure del draghetto Spyro e con la serie Ratchet & Clank, ma da alcuni anni era in una fase di limbo produttivo: le cose che faceva non erano del tutto irrilevanti, ma nemmeno da strapparsi i capelli. Questo Spider-Man invece funziona più che bene per diversi motivi, primo fra tutti a mio parere il gusto con cui ci si muove in tuta tra i palazzi. Le tute sono stupende, tante, ognuna con la sua caratteristica di combattimento, ma soprattutto esteticamente irresistibili.

In un gioco a mondo aperto è fondamentale che l’attività principale che collega tutti i punti e i momenti, cioè muoversi nello spazio, sia godibile e soddisfacente in sé. Qui ci si lancia tra gli edifici con una grazia già fluida all’inizio quando ci sono poche varianti disponibili, e poi sempre più fiorita man mano che si acquisiscono nuove abilità. Nel corso delle ore, accanto a una line narrativa principale molto classica, che contrappone Spidey ai suoi storici nemici Scorpion, Rhino, Electro, Kingpin, Vulture, Shocker, Mister Negative, ci sono un mare di missioni accessorie che tappezzano la cartina di Manhattan di punti di interesse e attività potenziali. Tra queste, diverse prevedono il combattimento. E il combattimento corpo a corpo qui è sempre più atletico, spettacolare, iperdinamico man mano che il gioco procede, ma non finisce mai nel mondo della guerra. Siamo al contrario in un orizzonte fatto di sganassoni, di botte e schivate fisiche, anche se ci sono le armi da fuoco e i proiettili. Questo aspetto, oltre al voli tra i palazzi, costituisce quella goduria cinetica che è il cuore dell’esperienza di gioco. Non c’è solo Ned Flanders in Spider-Man, insomma, ma anche un bel po’ di Roberto Bolle e Jackie Chan.

Per concludere, Spider-Man è il migliore gioco Insomniac da parecchio a questa parte, e probabilmente il miglior Uomo Ragno videoludico di sempre. Gli manca il fascino di Assassin’s Creed o di GTA, per citare forse i due due giochi a mondo aperto più celebri, ma allo stesso tempo è divertente, è scritto con un tocco classico che vede la bontà contrapporsi al caos in maniera molto chiara, ed è molto generoso e variegato nelle scelte a disposizione. Ci si gioca con piacere, è un buon gioco, ed esce in un momento strategico, quando mancano ancora parecchie settimane prima dell’arrivo dei grossi titoli autunnali. Prima che esca quel colosso di Red Dead Redemption 2 il 26 ottobre, e che si parli di west e frontiere fino a Natale: c’è tempo, tra le altre cose, per salvare il mondo con il ragazzino di buone speranze che spara la tela dai polsi.

Matteo Bordone

Matteo Bordone è nato a Varese negli anni della crisi petrolifera. Vive a Milano con due gatti e molti ciclidi. Lavora da anni a Radio2 Rai e a volte in televisione. Scrive in alcuni posti, tra cui questo, di cultura popolare, tecnologia, videogiochi, musica e cinema.