Chiamami col tuo nome

Cos’è. È il film di Luca Guadagnino (Io sono l’amoreA bigger splash) di cui tutti parlano. Potrebbe essere uno dei protagonisti della prossima edizione degli Oscar, e non nella categoria dei film stranieri. Chiamami col tuo nome è già in molte liste dei migliori film dell’anno (primo per il Guardian), ma in Italia, Francia e Germania uscirà nei prossimi mesi. Ambientato e girato in Lombardia (soprattutto intorno a Crema), il film racconta un’intensa relazione d’amore tra l’intelligentissimo figlio di una coppia di intellettuali benestanti, e un assistente del padre archeologo che per qualche tempo raggiunge la famiglia in Italia ed è ospite della famiglia nella stessa villona. Timothée Chalamet e Armie Hammer (The Social Network) sono i due amanti, mentre il padre archeologo è interpretato da Michael Stuhlbarg (A serious man). La sceneggiatura, adattamento del romanzo omonimo di André Aciman, è di James Ivory.

Com’è. Chi ha visto Io sono l’amore e A bigger splash ritroverà in questo film i contesti che Luca Guadagnino ama frequentare: persone ricche e cosmopolite che hanno a che fare con amore, morte e altre cose importanti della vita, mentre stanno in una casa, su un’isola, in un rifugio di qualche tipo che ripara dal mondo. In questo caso si tratta di un villone nel quale una famiglia ebrea cosmopolita (si parlano inglese, francese e italiano) passa l’estate e le vacanze di Natale (Hannukkah). L’atmosfera è quella di un ozio operoso costante: un equilibrio delicato che viene messo in crisi dall’arrivo di Oliver.

Non solo dal punto di vista produttivo, non solo nella nazionalità dei protagonisti e nel suo essere poliglotta, questo film è molto lontano dal nostro cinema attuale. Non è un film molto loquace, e poi è molto sobrio dal punto di vista formale: è un cinema in cui non ci sono e non ci saranno mai persone che urlano in cucina mentre la macchina da presa gli gira intorno leggiadra. Guadagnino ha uno stile personale, riconoscibile, che potremmo collocare a metà strada tra le influenze di Antonioni e Douglas Sirk. Per capirci, fa un cinema dei sentimenti che passa molto dal non detto, che poi si apre al melò senza paura dei sentimenti. Magari ci si commuove anche, insomma, ma le lacrime non sono estratte con una trivella.

A differenza di quasi ogni altra storia d’amore gay raccontata al cinema, quella di Chiamami col tuo nome non è una relazione osteggiata da famiglia o società, non è “noi due soli contro il mondo”. È una storia d’amore vibrante, appassionata, sincera e sensuale. Poi loro sono anche due maschi, ma la cosa non è così fondamentale.

Perché vederlo. Perché racconta una storia appassionata, e lo fa scavando con grande discrezione nei personaggi, senza inscatolarli in categorie di nessun tipo. È anche un rarissimo caso di relazione omosessuale nella quale gli etero si immedesimano serenamente (se la cosa non li spaventa). Poi c’è Timothée Chalamet che è veramente notevole. È il perno di tutto il film, è giovanissimo, e vive tutto con una naturalezza che è sia leggera che intensa. Non si sa come faccia. Riesce anche a interpretare il ruolo del genio (suona Bach al pianoforte applicando stili diversi, discute di qualsiasi argomento con precisione e profondità) senza renderlo scostante. Scenografia e costumi meritano un plauso speciale perché c’è una ricostruzione degli anni Ottanta, periodo in cui il film è ambientato, unica nel suo genere: ci sono gli abiti, le automobili, le canzoni e la tv, ma è tutto normale, tutto italiano, ma senza quell’idea ormai marcia da anni per cui il revival deve passare per forza da Drive In e cocktail di scampi. In questo senso la fotografia del tailandese Sayombhu Mukdeeprom è preziosissima, sempre così misurata e attenta a non diventare decorativa e leziosa (con tutto questo amore!).

Perché non vederlo. Per alcuni spettatori la poetica di Guadagnino è indigesta: questi ricchi sul divano che pensano alle cose del mondo fanno antipatia. Se rientrate in questa categoria, il film potrebbe infastidirvi (però siete voi, perché questo non è Somewhere di Sofia Coppola, non è un film sulla noia dei milionari). Poi c’è la questione del ritmo: Chiamami col mio nome è un film dai tempi lunghi, che ha bisogno di aspettare che i sentimenti grandi maturino con calma nel cuore dei suoi personaggi, nel vuoto splendido dei pomeriggi in pantaloncini corti. (Siete avvisati. Non che poi uscite e dite: “Bello ma lento”. Bello E lento, al limite). Una parte del pubblico, specialmente pubblico gay, probabilmente troverà stereotipata questa rappresentazione dell’omosessualità così sensibile e piena di cultura classica.

Una battuta. You’re saying what I think you’re saying? (Stai dicendo quello che penso?)

Matteo Bordone

Matteo Bordone è nato a Varese negli anni della crisi petrolifera. Vive a Milano con due gatti e molti ciclidi. Lavora da anni a Radio2 Rai e a volte in televisione. Scrive in alcuni posti, tra cui questo, di cultura popolare, tecnologia, videogiochi, musica e cinema.