Il bagnino e gli editori

Più passano gli anni e più mi viene difficile difendere Google. E tuttavia, come accade con certe sbagliatissime fidanzate di cui ricordiamo solo bellezza ed eleganza, ogni tanto, per esempio oggi, difendere Google si deve. Per un solo semplice motivo: perché le ragioni di Google e quelle della Internet che amiamo coincidono.

Mi riferisco ovviamente alla diatriba fra Google e gli editori europei (dopo il Belgio anche in Francia nei giorni scorsi è stato raggiunto un accordo) sul valore delle parole in rete.

Le parole sono la linfa della rete, ne sono il senso e il valore. Alcune di queste parole sono il motore dei guadagni dell’industria editoriale. Le parole sono talvolta anche un bene deperibile (pensate ai quotidiani) che ha avuto un mercato per cent’anni e che oggi rischia di non averlo più. Talvolta le parole della rete e quelle degli editori coincidono. Ed è una cosa per certi versi senza ritorno: quando le parole raggiungono Internet, quando vengono paracadutate sul web, perdono immediatamente sovranità, diventano patrimonio comune condiviso, rifuggono ogni possibile controllo.

Così gli editori oggi, per colpa di Internet, sono di fronte ad un bivio. Possono scegliere che le proprie parole vengano condivise, commentate e discusse, sostenendosi con la pubblicità, oppure possono decidere di isolarle in un luogo differente, dove continuino ad avere un valore economico (Jay Rosen diceva anni fa che Press è tutto quello che scambia notizie per denaro) e dove chi vuole potrà acquistarle. Si può scegliere la prima o la seconda opzione, non è possibile però sceglierle entrambe.

Quando gli editori europei arrabbiati con Google News chiedono che le anteprime dei propri articoli (liberamente fruibili sui loro siti web) vengano pagati da Google che li aggrega giocano col fuoco e anche un po’ con il nostro destino di uomini e donne collegati. Sanno perfettamente che una proposta del genere, se mai venisse avallata da un parlamento o da un tribunale (non è impossibile, il vecchio mondo vanta solide tutele fra i politici e nelle aule di giustizia), avrebbe conseguenza di sistema molto serie. Lo sanno ma non gliene importa. La quadratura dei conti dell’ipertrofica, novecentesca industria editoriale in cambio dell’abolizione dei fair use o del diritto di citazione? Ma siamo scemi? Robe da pazzi irresponsabili, altroché. Per fortuna nulla di tutto questo è finora successo: sia in Belgio che in Francia, dove le due parti sono giunte ai ferri corti, tutto si è risolto senza spargimenti di intelligenza.

Essere aggregati da Google News non è obbligatorio, nemmeno essere indicizzati dal motore di ricerca di Mountain View lo è: basta una riga di codice sulle proprie pagine per essere ignorati dal quasi monopolista della ricerca in rete, dal grande pubblicitario delle keyword più strane, dalla volpe furba che paga poche tasse in luoghi esotici e arricchendosi avvizzisce le risorse fiscali delle nostre nazioni. La cattiva fama di Google sui quotidiani europei ha solide ragione e anche qualche conflitto di interesse, ma se Google è il male, beh di una cosa possiamo stare certi, gli editori alle prese col digitale sono sovente peggio, per lo meno se pensiamo ad Internet come ambiente complessivo di crescita informativa e culturale dei cittadini e non come edicola elettronica dove tutto ha un prezzo.

Io non ho nulla contro l’idea di “press” di Jay Rosen (informazioni in cambio di soldi), mi incuriosiscono i paywall e sono mediamente ben disposto a pagare per le notizie. Credo in un ruolo centrale della buona informazione professionale anche nel contesto digitale ma non ho alcuna disponibilità ad avallare i ricatti che gli editori europei apparecchiano da tempo nei confronti di Google. Perché quando parlano di Google in realtà parlano di Internet e quando parlano di Internet parlano di me. E siccome negli anni di stupidaggini interessate come quella di farsi pagare il diritto di link, o la riproduzione dei dispacci di agenzia a peso come il prosciutto, o le citazioni di due righe come fossero oro ne ho sentite a dozzine ed ogni volta dopo pochi istanti l’odore ammuffito da vecchia cantina travolgeva tutto, allora forse è bene capirsi fin da subito.

Le vostre parole potranno certamente essere confezionate e vendute: se saranno belle io sarò fra quanti vorranno comprarle. Ma se diversamente verranno diffuse liberamente in rete allora , da quel momento in poi, quelle parole saranno di tutti, verranno ridistribuite, masticate, modificate e completate. E nessuno ci potrà fare nulla e nessuna pecetta “riproduzione riservata” avrà mai valore. E prendersela con Google perché la rete è fatta così è come prendersela col bagnino perché l’acqua è bagnata. Voi non ci fate una bella figura ed il bagnino, le prima volte vi offrirà un salvagente arancione poi, alla fine, smetterà di darvi retta.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020