Etologia degli operatori telefonici
Esiste una cosa oscura ai più che prende il nome di “politica delle reti”. È quel complesso di discussioni, scelte e considerazioni che stanno a margine di buona parte dello sviluppo tecnologico del Paese. Nonostante ormai decennali ritardi il tema inizia ad essere centrale anche in Italia e non manca di generare contrapposizioni e polemiche. La schermaglia di ieri fra il Presidente della Agcom Corrado Calabrò, l’AD di Telecom Italia Franco Bernabè e il Presidente di Vodafone Paolo Bertoluzzo, è un tipico esempio di scaramuccia sulla politica delle reti in questo paese.
Semplificando molto, ieri Calabrò nella sua relazione annuale di fronte al Parlamento, ha affermato che le reti mobili sono al collasso, che abbiamo troppi smartphone e troppe chiavette collegate e che le risorse degli operatori non riescono a garantire un servizio adeguato. Non è esattamente così ma la sparata di Calabrò è utile alla causa che in questo caso è duplice. Da un lato serve a sollecitare il governo a liberare frequenze per la Internet mobile, magari mettendole all’asta come è accaduto in altri paesi come la Germania, soprattutto invocando una marcia indietro rispetto ad una recente decisione (demenziale) del sottosegretario alle Comunicazioni Romani che le ha riservate alle televisioni private. Dall’altro una affermazione così catastrofica suona come una sorta di richiamo a Telecom Italia perché abbandoni la sua posizione di alterità nelle silenziose battaglie che si combattono da qualche mese a riguardo della nascita della rete di nuova generazione. Un collegamento in fibra di cui le aziende ed i cittadini hanno molto bisogno e che nessun operatore ha i soldi per costruire in tempi decenti. Vodafone, Wind e Fastweb, cronicamente irritate del monopolio Telecom hanno tentato qualche mese fa il salto della quaglia, annunciando la creazione di una propria rete (ma nemmeno loro hanno i soldi necessari) e Calabrò e Romani stanno tentando in questi giorni di riportare tutte le telco intorno ad un tavolo per capire come fare per non rimanere gli ultimi fra gli ultimi in Europa nelle reti di nuova generazione.
Non è un caso che immediatamente dopo la diffusione della relazione di Calabrò, Franco Bernabè abbia rilasciato una dichiarazione alla stampa tranquillizzante: “Nessun rischio di collasso – ha detto Bernabè – noi e altri operatori stiamo facendo grandi investimenti per la connessione in fibra ottica delle stazioni radiomobili per aumentare la potenza e la capacità della rete”.
Siccome le commedie goldoniane hanno un senso anche in virtù della loro prevedibilità, Paolo Bertoluzzo di Vodafone ha immediatamente replicato alla replica di Bernabè affermando che l’affermazione di Calabrò è da considerarsi vera e che “il traffico sta crescendo e ogni operatore deve investire e trovare le soluzioni commerciali e tecniche perchè i consumatori abbiano il servizio per il quale hanno pagato”.
Gli operatori di telefonia hanno comportamenti curiosi, ci vorrebbe Konrad Lorenz per analizzarli: prima riempiono le case degli italiani di chiavette USB per collegarsi a Internet a prezzi convenienti attraverso la rete 3G (un modello commerciale diffuso quasi solo da noi e con evidenti limiti tecnici rispetto ad un normale contratto DSL) e poi si meravigliano che la rete collassi. O quasi (la rete in realtà non collassa: semplicemente va sempre più piano e richiede ulteriori costosi investimenti).
Tutte queste schermaglie si chiamano “politica delle reti”, un complesso arabesco economico finanziario fatto da decine di differenti variabili (Flaiano lo diceva già molti anni fa, “In Italia la linea più breve fra due punti è l’arabesco”) di lotte intestine, sgambetti, differenti visioni del mondo e anche formidabili antipatie. Dentro questo complicato disegno le possibilità che questo paese si doti in tempi brevi di una rete ad alta velocità che raggiunga le case di tutti, restano al momento assai scarse.