Una modesta proposta per l’Europa

Oggi comincia la nuova legislatura del Parlamento europeo e i giornali riportano delle trattative ancora in corso per determinare i nuovi vertici delle istituzioni europee, trattative che coinvolgono, come è normale, i capi dei diversi governi europei, e che sono seguite da una risicatissima minoranza dei cittadini europei. Mentre la retorica delle élite che hanno abbandonato il popolo mi è sempre sembrata una lettura fragile e sbagliata per comprendere i cambiamenti dei sistemi politici occidentali e i successi dei cosiddetti populisti – se non altro perché non si capisce mai di cosa si parla quando si parla di élite – nel caso dell’Unione Europea e di chi è davvero interessato a cosa succede, quella di élite, nel senso etimologico di pochissimi iniziati con un interesse personale e diretto, è purtroppo una definizione precisa.

Le logiche che muovono i governi in queste trattative sono eminentemente nazionali, ognuno cerca di fare gli interessi dei propri paesi e dei propri elettori e questo succede non da oggi, ma da sempre. Aggiungo io: è giusto che sia così perché la legittimità di quelle persone, il fatto che siano titolate a discutere su chi debba fare il presidente della Commissione europea, per esempio, deriva dal voto dei cittadini della loro nazione. Invocare come avviene ormai da molto tempo, un presunto interesse europeo da far prevalere sugli “egoismi” nazionali, ossia un interesse generale europeo, è un modo questo sì, pienamente populista, di dimenticare che l’unico modo per decidere cosa sia davvero “interesse generale” è dato dai risultati delle diverse elezioni, dai rappresentanti eletti, e da un sistema bilanciato di contropoteri che limitino le inevitabili logiche di breve periodo dei politici di turno.
Eppure, mentre tutti questi comportamenti sono non solo legittimi ma anche comprensibili, appare in tutta evidenza l’incapacità dei politici ormai delle ultime due generazioni a far fare passi avanti all’Unione Europea all’altezza con le richieste dei propri cittadini. Risposte plausibili e sostenibili ai tre temi cruciali del nostro tempo: disuguaglianze, cambiamento climatico e migrazioni, possono avvenire solo su scala europea. Possono essere risposte progressiste oppure risposte conservatrici, ma senza una dimensione europea rimarranno solamente risposte parziali e imperfette, destinate ad alimentare l’insofferenza dei popoli Europei.

Come si esce da questo stallo? Negli ultimi vent’anni si è abusato in retorica europeista, sperando che potesse in qualche modo bastare. Si è invocato a tratti un futuribile presidente europeo eletto dai cittadini, oppure si sono celebrate politiche ultra minoritarie e elitarie come l’Erasmus, capace di riguardare ben lo 0,01 per cento della popolazione Europea occidentale; si fantastica di coalizioni transnazionali contro l’austerità senza affrontare mai la pagina del come.

Bisognerebbe invece porsi in maniera concreta il tema della convergenza politica tra i paesi europei, dopo aver pensato per circa quarant’anni solamente alla convergenza economica, che è importantissima ma non basta più.
E allora, invece di proporre improbabili e complicatissime cessioni di sovranità si potrebbe cominciare con una piccola modifica di calendario. Un patto tra i paesi che lo vogliono, senza obblighi, per celebrare le elezioni nazionali in una stessa finestra temporale, idealmente lo stesso giorno. Certamente fatti nazionali potrebbero portare le date a sfasarsi nel tempo, e allora basterebbe una piccola correzione ogni tanto.

Questo consentirebbe all’operaio, al dottore o all’ambientalista italiano di allearsi esplicitamente con il suo simile tedesco o francese. Potrebbe rendere elettoralmente conveniente prefigurare prima delle elezioni nazionali delle maggioranze nel Consiglio europeo, e dunque promettere delle politiche economiche, sociali, ambientali di scala europea sapendo di poterle, almeno in parte, mantenere. Oggi alle elezioni qualsiasi promessa relativa all’Europa è facile e non costa niente, tutti sanno che è una promessa vuota. Se si votasse contemporaneamente per 15 governi europei, una coalizione di quindici partiti nazionali, ognuno dei quali chiede i voti ai propri cittadini, potrebbe invece offrire promesse europee credibili.

Questo consentirebbe anche di rafforzare il ruolo del Parlamento Europeo che potrebbe essere più sintonico con le maggioranze che si formano nei diversi stati e, per effetto politico e non solo meccanico, nel Consiglio europeo.
Certo, potrebbe sembrare provocatoria questa proposta, ma quanto più complessa e partigiana è stata la proposta, poi realizzata, di mettere nelle Costituzioni il vincolo del pareggio di bilancio, rispetto a un semplice cambio di calendario? E poi: è una proposta politicamente neutra. Uno degli errori degli europeisti è stato quello di considerare il progetto della Unione come necessariamente progressista, e lo era forse negli anni ’50 rispetto ai nazionalismi degli anni ’30.

Ma l’esperienza degli ultimi dieci anni in particolare ha mostrato tutta la fallacia di questa equivalenza. È evidente a tutti che lo spazio politico europeo è ora troppo stretto e poco reattivo ai bisogni dei suoi cittadini: riuscire ad allargarlo è solo la premessa per poter giocare, ognuno come vuole, una nuova partita politica e culturale.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_