Tre cose sulla riforma del lavoro

Vorrei appuntare alcune cose che penso su questa proposta di riforma.

La prima è che come ho avuto modo di dire e scrivere in passato io penso che una soluzione migliore sarebbe stata quella di un nuovo contratto di lavoro per i neoassunti in cambio di una riduzione drastica dei lavori precari. Dunque, art. 18 riformato come da proposta del governo, ma solo per i neoassunti. Sempre solo per i neoassunti riduzione del costo del lavoro a tempo indeterminato, e contestuale drastica potatura dei contratti a termine, cocopro, eccetera. Su questa ragionevole idea che metteva assieme giustizia sociale ed efficienza economica i sindacati hanno fatto barricate, con il brillante risultato di avere una riforma diversa, in cui il cambiamento dell’articolo 18 vale per tutti, le forme di precarietà non sono state diminuite a sufficienza, e soprattutto non è stato possibile per mancanza di risorse ridurre il costo del lavoro (mentre sarebbe stato possibile ridurlo solo per i neoassunti a tempo indeterminato, tramite una sua parificazione al costo attuale medio dei contratti precari).

Penso che questa riforma, pur contenendo degli elementi che, in modo meno lineare, vanno nella stessa direzione di una maggiore giustizia ed efficienza, apra delle questioni serie: diventa urgente trovare risorse sia per diminuire il costo del lavoro – almeno per i più giovani – e per protezioni sociali di chi fosse licenziato oltre i 50 anni. Dunque penso che sia una riforma molto problematica.

Tuttavia, se da questa riforma viene abolito il cambiamento dell’articolo 18, di cui comprendo le motivazioni di protezione dei più anziani, penso che diventerebbe una riforma pessima che avrebbe due effetti: diminuire l’occupazione tra i precari (ossia più disoccupati) e diminuire lo stipendio di quelli che non perdono il lavoro. Mantenendo invece la modifica dell’articolo 18 rimane una qualche forma di incentivo a far transitare dei precari – sopratutto quelli con contratto a termine, mentre i cocopro possono pure far cadere le speranze – verso il tempo indeterminato.

Dunque secondo me se il Parlamento decide di far passare la riforma si apre subito dopo un capitolo enorme su come fronteggiare i cambiamenti e sui provvedimenti da prendere per favorire occupazione e rafforzare le protezioni. Invece, meglio nessuna riforma che una riforma a metà che peggiora le condizioni di tutti e soprattutto dei precari.

In fondo, sarebbe ragionevole concludere che cambiare il mercato del lavoro non è possibile senza un mandato elettorale. E sarebbe anche buona l’idea di poter andare a elezioni con chiare ipotesi contrapposte e diverse su come affrontare questo tema così importante per il futuro dell’Italia.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_