Robert Byrd e Pietro Taricone

Ieri ho scritto per l’Unità a proposito della morte di Robert Byrd e poi mi sono ritrovato a leggere tutto il leggibile sulla morte di Pietro Taricone che, da quel che mi è dato di capire, sta accomunando in una tristezza diffusa molte delle persone attorno a me, non certo assidui spettatori di reality show.

La storia di Robert Byrd è da epopea americana, un orfano proveniente da uno stato povero che diventa il più longevo senatore USA. Una gioventù da razzista membro del Ku Klux Klan e una terza età – o quarta – da primo sostenitore di Obama. La storia di Byrd spiega, a un tempo, due cose fondamentali degli Stati Uniti: il loro individualismo e la loro consapevolezza di esser parte di una collettività che condivide onori e responsabilità. Byrd si è preso tutte le sue responsabilità, senza giustificazionismi, degli errori di gioventù. Allo stesso tempo, è chiaro che gli errori di una nazione, le sue pagine scure, sono necessariamente responsabilità comune, che non lascia spazio a recriminazioni. La chiarezza – e la fierezza – nel rivendicare le azioni individuali consentono anche prese di responsabilità collettive: senza capri espiatori, e senza alibi per nessuno. Si tratta della maturità di una democrazia, maturità che manca alla nostra.

La morte di Pietro Taricone naturalmente non c’entra niente con quella di Byrd, ma – similmente –  ci dice delle cose, e non credo di averle afferrate tutte. Banalmente, se ne va un personaggio noto, la cui celebrità ha coinciso con un momento di passaggio della nostra cultura pop, e dunque la sua immagine rimanda a momenti della vita di ognuno di noi. La commozione per la sua morte è quindi anche indulgenza malinconica nei confronti di se stessi e del tempo che passa. A me il primo grande fratello era piaciuto moltissimo, ed ero talmente irritato da quel che ne leggevo da essere spinto a scrivere il mio primo articolo per un giornale proprio a proposito di quella trasmissione, articolo pubblicato da Confronti, un mensile che si occupa soprattutto di teologia. Era una riflessione, certamente non imperdibile, sul potere creazionale della televisione, con cui cercavo di mettere su basi meno emotive l’insofferenza nei confronti dei sociologi da salotto che non riescono a vedere ad un palmo dai loro pregiudizi. Oggi, il contrasto che mi fa un po’ di rabbia è quello tra la vita di Byrd, lunga, maestosa e piena di cose significative, in una America che è sempre a disposizione dei suoi cittadini, e quella di Taricone, interrotta forse prima che potesse davvero esprimersi appieno, mentre gran parte delle sue energie erano concentrate nel difendersi, da marziano dotato di intelligenza e talento. Questa definizione l’ho ripresa dal bel ritratto di Christan Rocca. L’altra cosa significativa che ho letto è questo post di Leonardo dal titolo molto amaro. Dicono cose che spiegano in parte il significato e la ragione della commozione collettiva, certamente non comune, che mi sembra di avvertire.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_