In rotta di collisione con l’ammiraglio Nelson

Conosco abbastanza bene da raccontarla, dopo qualche minuto di concentrazione, un’unica barzelletta. L’ho sempre conosciuta come la barzelletta dell’ammiraglio Nelson, e facendo qualche ricerca ho scoperto che è nota così anche a chi guarda La sai l’ultima? e forse in generale a chi l’ha sentita raccontare in italiano.
Fa più o meno così:

È notte e il marinaio di vedetta sulla nave dell’ammiraglio Nelson avvista una luce a dritta.
Usando il codice Morse lancia un messaggio con il sistema di comunicazioni luminose verso la fonte della luce: «Siete in rotta di collisione con noi, virate a ovest».
Dall’altra parte arriva il messaggio: «Virate voi».
Allora il marinaio avvisa l’ammiraglio del messaggio ricevuto, e quello gli dice di insistere, non sia mai che sia l’ammiraglio Nelson a spostarsi: «Qui è la nave dell’ammiraglio Nelson, siete in rotta di collisione con noi, virate a ovest».
Dall’altra parte però il messaggio si ripete: «Virate voi».
Il marinaio lo riporta all’ammiraglio che allora prende il suo posto al sistema di comunicazioni luminose: «Qui è l’ammiraglio Nelson in persona, temuto e rispettato in tutti e sette i mari, vi ordino di virare!».
E dall’altra parte: «Qui è Ciro, guardiano del faro, fate quello che volete».

Mio padre la raccontava molto bene questa barzelletta e, chissà perché, io e mia sorella non ci stancavamo mai di sentirla raccontare e gli chiedevamo spesso di reinterpretarla. Non vorrei esagerare, ma potrebbe essere stata la prima storia di tracotanza di un potente che io abbia mai sentito.

Ci ho ripensato leggendo Quaderno dei fari, un libricino dell’autrice messicana Jazmina Barrera, pubblicato in italiano da La Nuova Frontiera. La storiella dell’ammiraglio Nelson compare, in una diversa variante, a pagina 52:

Jorge ci ha chiesto se volevamo sentire una barzelletta sui fari, ma mentre si apprestava a raccontarcela sono arrivati gli hamburger e le tartine, e ci siamo zittiti per mangiare. Mesi dopo me l’ha raccontata: il capitano di una nave si ferma davanti al faro e gli chiede di spostarsi, perché ha con sé il re di Spagna. Il faro risponde: si sposti lei, io sono il faro.

Jorge si è sforzato molto meno di me nel cercare di usare un lessico marinaresco per raccontarla, ma soprattutto ha sbagliato le premesse: non bisogna rivelare all’inizio che la barzelletta parla di fari, altrimenti si perde l’effetto sorpresa, una cosa che da bambine ci si mette un po’ a capire. Forse per quello dopo l’arrivo degli hamburger e delle tartine ha lasciato perdere e non ha ripreso il racconto: si è reso conto che senza volere se l’era bruciata. E per qualche ragione Jazmina Barrera ha deciso di rispettare il suo errore, forse pensando che dato che il suo libro parla di fari il finale sarebbe stato comunque scontato.

Quaderno dei fari parla di sei fari del mondo visitati da Barrera e di altri di cui ha solo letto e mescola autobiografia (comunque piuttosto limitata) a riflessioni sui fari, sui significati che gli si possono attribuire e, secondariamente, sulla scrittura. È pieno di aneddoti, immagini e citazioni di libri che viene naturale cercare su internet nel corso della lettura, interrompendola per qualche minuto al fine di divagare.

Ad esempio, io sono andata a leggere su Wikipedia la pagina dello scrittore Robert Louis Stevenson – e da lì quella del villaggio di Samoa dove morì e quella di sua moglie Fanny Van de Grift, che ammetto aver attirato la mia attenzione solo per il suo bel nome e poi ho scoperto avere avuto una vita notevolissima per una donna dell’Ottocento – dopo che Barrera parla del suo Records of a Family of Engineers, un libro credo mai tradotto in italiano che l’autore di Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde dedicò a suo padre, a suo nonno e al patrigno di quest’ultimo, «tutti ingegneri, inventori, pionieri nella costruzione dei fari». Chissà che non possa essere apprezzato in questo periodo in cui le storie vere di padri e famiglie vanno di moda.

Nel 1814 Robert Stevenson, nonno dello scrittore, fece un viaggio per visitare fari a cui partecipò anche Walter Scott, un altro celebre scrittore scozzese. Barrera parla anche di lui e del diario che tenne durante il viaggio; cita ad esempio di quando propose di demolire solo a metà un faro che doveva essere abbattuto, per ottenere delle rovine pittoresche. Era la moda dell’epoca.

Altre cose che Quaderno dei fari mi ha fatto cercare sono stati un dipinto di Jean-François Millet e uno di Edward Hopper, una canzone degli Arcade Fire e un video dell’estate del 2013 in cui un’orchestra e una serie di imbarcazioni in mare suonarono un requiem d’addio per la sirena da nebbia di un faro inglese, usata in quell’occasione per l’ultima volta, dato che col GPS non serve più. Poi mi ha fatto venire voglia di leggere altri libri, come Montauk di Max Frisch ambientato sulle stesse spiagge del film purtroppo noto come Se mi lasci ti cancello. O di rileggerli, come Gita al faro di Virginia Woolf.

È insomma un libro che solletica il cervello con tanti impulsi diversi, come fa ad esempio L’arte di collezionare mosche di Fredrik Sjöberg, un piccolo e imprevisto successo editoriale degli ultimi anni che racconta la vita di René Malaise, inventore di una nota trappola per insetti usata dagli entomologi. Con il Quaderno dei fari ha in comune il fatto di contenere riflessioni sul collezionismo, perché quello che Barrera fa con i fari (e che Malaise faceva con le mosche) è appunto collezionarli:

La collezione più grande che ho è quella di libri. Di solito quando ero bambina li leggevo il giorno stesso dell’acquisto. Fino all’adolescenza, avevo letto tutti i libri che possedevo. Ma a un certo punto ho cominciato ad avere più libri che tempo per leggerli, e presto mi sono resa conto che probabilmente non sarei mai riuscita a leggere tutto quello che c’era nella mia biblioteca (…). Ora posso distinguere tra due collezioni: i libri in sé – gli oggetti – e le esperienze di lettura, anche quelle agognate e accumulate.

I fari non possono essere posseduti e quindi anche la collezione che li riguarda è «un’accumulazione di immagini e di esperienze». Una collezione di fatto impossibile, che lascia con «l’inquietudine di non potersi mai impadronire completamente dell’altro o di qualcosa che è altro da noi». Ma tutte le collezioni di fatto sono impossibili, e questa riflessione mi ha fatto pensare a un altro libro che ne parla, che invece è un librone: L’amante del vulcano di Susan Sontag, ripubblicato in italiano l’anno scorso.

I collezionisti sono catalogatori inveterati, e tutte le persone che si divertono a stilare elenchi sono veri o potenziali collezionisti.
Collezionare è una specie di desiderio insaziabile, un dongiovannismo degli oggetti per il quale ogni nuova scoperta provoca una nuova tumescenza mentale e genera il piacere supplementare di tenere il punteggio, dell’enumerazione. (…)
Un elenco è già una collezione, una collezione sublimata. Non è necessario possedere realmente le cose. Conoscere è già avere (fortunatamente, per chi non ha molti mezzi). È già una rivendicazione, una specie di possesso, pensare a loro in questa forma, la forma di un elenco: significa valutarle, classificarle, dire che sono degne di essere ricordate o desiderate.

Sontag scriveva a inizio anni Novanta e non poteva immaginare che trent’anni dopo avremmo avuto in tasca o in borsa, sempre con noi, uno spazio apparentemente infinito per stipare elenchi e immagini, e dunque collezioni (lo smartphone). E non poteva sapere che quello spazio sarebbe stato anche una porta d’accesso a un luogo ancora più vasto dove andare in cerca di cose da elencare, raccogliere e collezionare (internet), e nemmeno che in un ampio recinto di tal luogo vastissimo avremmo avuto enormi spazi per esporre le nostre collezioni di cose degne di essere desiderate (Instagram).

L’amante del vulcano è un romanzo storico incentrato sulla figura di William Hamilton, ambasciatore britannico nella Napoli di fine Settecento e incallito collezionista di opere d’arte antiche e altre cose, passato alla storia soprattutto come uomo tradito. Sua moglie Emma infatti era la nota amante di Horatio Nelson, l’ammiraglio che fu un grande avversario di Napoleone.

E così in questa passeggiata da flânerd (parola efficacissima coniata da Francesco Guglieri), collezionista di fatti curiosi e citazioni tra libri e link, sono tornata all’inizio, anche se è evidente che il suo ammiraglio Nelson non è lo stesso che fu amante di Lady Hamilton, dato che quando morì il codice Morse ancora non c’era. Poco importa, la barzelletta funziona. E ha a sua volta una pagina su Wikipedia, meritandola. Infatti per qualche ragione ignota negli anni Novanta la barzelletta si trasformò in una leggenda metropolitana: una sua variante in cui al posto della nave di Nelson c’era una famosa portaerei americana cominciò a circolare spacciata per storia vera (anche sul New York Times), tanto che a un certo punto il sito della marina statunitense aveva una pagina dedicata a spiegare che si trattava solo di una barzelletta.

Secondo un articolo del 1999 di Snopes, il famoso sito di debunking, l’origine della barzelletta risale almeno al 1931 quando un giornale canadese pubblicò una vignetta che ne conteneva una versione molto sintetica, che descrive così: ci sono due uomini che litigano parlandosi con dei megafoni, uno è sul ponte di una nave, l’altro su un ballatoio con una luce alle spalle, e si dicono:

– Dove vai con la tua nave lampeggiante?
– Non è una nave lampeggiante. È un faro!

Horatio Nelson, prima di diventare ammiraglio, contro un orso polare, durante una spedizione artica negli anni Settanta del Settecento (Hulton Archive/Getty Images)

Postilla.
Il finale mi soddisfa e non mi pare il caso di dilungarmi troppo oltre. Farò dunque solo un veloce rifermento a: una citazione di Valeria Luiselli, altra scrittrice messicana pubblicata da La Nuova Frontiera, che paragona certe cose che leggiamo nei libri a «fari concettuali» e quindi aprirebbe il tema delle collezioni di citazioni; il miglior manuale esistente di flânerdismo, cioè Come annoiarsi meglio di Pietro Minto; l’attuale situazione dei guardiani di fari che vanno sempre più in pensione e non vengono sostituiti (forse ce ne dobbiamo fare una ragione); la storia del faro delle isole Tremiti, dove nel 1987 avvenne una misteriosissima esplosione, forse legata a Gheddafi. Su quest’ultima storia, se non la conoscete, non vi do link: datevi a un po’ di flânerdismo.

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Ludovica Lugli

Nata a Modena nel 1991, se fosse nata nel 1941 avrebbe fatto la libraia. Ha studiato fisica per un po’, ma forse avrebbe dovuto scegliere biologia dato che gli animali le piacciono più del grafene.