Notizie senza frontiere

Al di là del valore politico, il discorso tenuto da Matteo Renzi in Arabia Saudita e le critiche che ne sono seguite indicano che è sempre più difficile delimitare la circolazione dei messaggi, e quindi adattarli in base al pubblico a cui ci si rivolge. Un tempo sarebbe stato piuttosto semplice per un politico chiedere una politica estera coraggiosa e attenta ai diritti umani mentre partecipava a un evento in Italia, e lodare invece le azioni di un sovrano violento quando si era suoi ospiti. Viceversa, sarebbe stato più facile per un leader autoritario coltivare un’immagine moderata e rassicurante presso le opinioni pubbliche straniere, e ricorrere invece a toni molto più duri rivolgendosi ai propri connazionali.

Nei giorni scorsi anche la casa farmaceutica AstraZeneca ha mostrato di sopravvalutare la sua capacità di controllare la circolazione dei messaggi attraverso i confini nazionali, provando a raccontare versioni parzialmente differenti sulla produzione dei suoi vaccini all’opinione pubblica britannica da una parte e a quella europea dall’altra. In fondo, negli ultimi anni anche i primi ministri e i negoziatori britannici di Brexit si erano ripetutamente illusi che fosse possibile parlare in modo separato all’opinione pubblica del Regno Unito e alle controparti europee, quando era invece evidente che le loro dichiarazioni superavano agilmente il confine.

Pensare di poter controllare la circolazione dei messaggi e di variarli a seconda dell’uditorio è un errore in cui finiscono per cadere coloro che credono ancora di muoversi nel vecchio mondo, dove il numero contenuto dei possibili moltiplicatori e una buona intesa – e influenza reciproca – tra gli uffici stampa di politici e aziende e le redazioni determinava quali messaggi potessero raggiungere opinioni pubbliche quasi isolate tra loro. Quelle possibilità di controllo si stanno riducendo sempre di più, e infatti oggi Renzi è chiamato a rendere conto in Italia di frasi pronunciate in Arabia Saudita – che un tempo non avremmo mai sentito, e che invece ora abbiamo tutti potuto valutare senza intermediari grazie a un video virale sui social.

Entro certi limiti, è senz’altro opportuno che uno abbia la possibilità di modulare il proprio messaggio e declinarlo in forme diverse a seconda del contesto; solo integralisti ingenui potrebbero pretendere una costanza totale, sia nei contenuti sia nel tono. Politici e aziende dovrebbero però essere consapevoli che canali e ambiti di circolazione dei messaggi sono molto meno controllabili che in passato e tendono a incrociarsi in modi non sempre prevedibili su internet, oltrepassando tra l’altro i confini nazionali.

Che le informazioni possano girare facilmente da un paese all’altro con pochi filtri e mediazioni può rivelarsi scomodo per qualcuno, ma in generale è un cambiamento molto promettente e uno dei modi in cui internet può contribuire al rafforzamento della democrazia. Senza la possibilità di far circolare liberamente contenuti in rete, cosa avrebbero saputo i cittadini russi dell’avvelenamento di Alexei Navalny e delle relative scoperte fatte da istituti e testate occidentali? Che cosa avremmo saputo noi, ogni domenica, delle proteste che da sei mesi si svolgono in Bielorussia? Qualcuno ne avrebbe forse scritto, ma i video che invadono regolarmente i social hanno un altro livello di efficacia.

Per lungo tempo, uno degli ostacoli maggiori con cui si sono scontrate le organizzazioni e i movimenti impegnati a favore dei diritti umani è stata proprio la difficoltà di far arrivare alle opinioni pubbliche straniere la notizia di violenze che accadevano lontano dagli occhi dei corrispondenti, e magari in paesi giudicati poco interessanti dalle redazioni dei giornali. È sempre stato importante far sapere ai governi che il mondo li osservava – o perlomeno cercare di farglielo credere, e di farlo succedere. In casi come i massacri in Vietnam, la rivolta di Soweto e l’assedio di Sarajevo, le storie e i video finiti sulla stampa straniera finirono davvero per colpire le opinioni pubbliche e costringere politici di vari paesi a occuparsene. Anche oggi, sapere di poter contare su un’attenzione che va oltre i confini nazionali è decisivo per tante attiviste e attivisti in giro per il mondo.

Grazie a internet, è diventato molto più semplice far sapere all’estero quello che succede nel proprio paese, e osservare da fuori quello che accade altrove – e quindi anche poi chiederne conto ai responsabili o ai loro complici. Proprio la vicenda di Matteo Renzi e l’Arabia Saudita mostra però quanto l’interesse dell’opinione pubblica e le eventuali conseguenze politiche che ne derivano continuino perlopiù a essere legate a dinamiche nazionali. Se non ci fosse stata l’antipatia diffusa nei confronti di Renzi, le violenze compiute dal principe saudita Mohammed bin Salman non avrebbero destato grande interesse, né sarebbe stata sospesa la vendita di armi italiane al suo paese, che alcuni chiedevano invano da anni. Il prossimo passo sarà interessarsi e contrastare le violazioni dei diritti umani che avvengono all’estero anche quando non dovesse esserci un politico italiano di mezzo, come ad esempio in Bielorussia.

Lorenzo Ferrari

Lorenzo Ferrari è uno storico, di mestiere fa libri. Gli piacciono l'Europa, le mappe e le montagne; di solito vive a Trento. Su Twitter è @lorferr.