Dylan sarà a casa per Natale

Christmas in the Heart (2009)

(Il disco precedente: Together through Life.
Il disco successivo: Tempest).

Un disco no, ormai c’è Spotify. Un dvd no, abbiamo Netflix. Un profumo te l’ho preso per il compleanno. Questo Natale mi sa che tocca a un libro. Così entro in libreria, nell’unica seria rimasta, e incontro proprio te. Ci salutiamo imbarazzati come se non ci conoscessimo da mezza vita; tu stavi giusto uscendo con due o tre sacchetti che vistosamente ignoro. Ora che non ci sei più e posso scegliere con libertà, do un’occhiata alle ultime uscite e in cinque secondi trovo:

1. Il libro che un po’ desidero e che sicuramente mi hai appena comprato.

2. Il libro che desideri tu. Ma lo desideri nel senso che te lo devo comprare, o non hai resistito e te lo sei comprata da sola? Perché magari lo desideri troppo per fidarti di me, magari pensavi che ti avrei preso una sciarpa.

Mi sta mancando l’aria. Intorno a me tutti comprano cose come se fosse il gesto più naturale del mondo: è Natale. A volte fingo di dimenticarmi che soffro il Natale. Finché sei adolescente è ok, poi diventa una posa noiosa. Ma temo che non sia una posa, è proprio il momento sbagliato dell’anno per me, arriva troppo presto. Avrei centinaia di cose da fare ma sbam! Natale. Devo anche recensire Christmas in the Heart, il più assurdo dei dischi di Bob Dylan, o no?

I’ve done my window shopping
There’s not a store I’ve missed
But what’s the use of stopping
When there’s no one on your list?
You’ll know the way I’m feeling
When you love and you lose
I guess I’ve got the Christmas blues

“Più divertente dei chipmunks, riconosciamoglielo” (Robert Christgau).

Ognuno ha le sue liturgie che non sa più giustificare; tu per esempio ovunque sei nel mondo a Natale cerchi di andare a messa. Non ci sarebbe niente di strano, senonché tu odi le messe natalizie e detesti i preti che si sentono finalmente sotto i riflettori e decidono che davanti a una folla rassegnata a restare in piedi per un’ora, tra gli strilli dei bambini sequestrati, pronunceranno l’omelia della vita. Così ti ritrovi in giro nel pomeriggio del 25 – uno dei momenti più bui dell’anno, malgrado tutte le luci. Dai comignoli essuda ancora il vapore del brodo di cottura dello zampone – finalmente trovi una chiesa ancora aperta. Ti butti dentro, è tutto buio e vuoto e la prima cosa che senti è un tizio che cerca di cantare Adeste fideles. Non ha voce e non sa il latino, ma in un qualche modo strano funziona. È un vecchio parrocchiano che ha deciso di venire a digerire il Natale qui, cantando la messa più sfigata di tutte. Come un Babbo Natale ubriaco. 

“Adesti fide-e-leis, leity thriooomphanteis
Venitew veni-i-tew ad Bethle-e-ehm…” 

(La pronuncia di zio Bob non è meno corretta di quella di qualsiasi studente di liceo. È solo diversa dalla nostra, ma forse quella degli antichi era più simile alla sua. Anche loro avrebbero pronunciato qualcosa di più simile a “reghem anghelor’m”, piuttosto del nostro “regem angelorum”. D’altro canto non ce l’avevano, il Re degli Angeli, quindi di cosa stiamo parlando?)

“Cosa stiamo ascoltando?”
“Il disco di Natale di Bob Dylan”.
“Sì, ma perché?”
“Beh. perché… è Natale”.
“È stonato”.
“No, tecnicamente non è stonato. È solo un po’…”
“È fastidioso”.
“Dici? io lo trovo commovente”.
“Mi fa male alle orecchie. Perché lo stiamo ascoltando?”
“È per beneficenza”.

Who wears boots and a suit of red?
Santa wears boots and a suit of red.
Who wears a long cap on his head?
Santa wears a long cap on his head!

Il più bel video in cui canta Bob Dylan è Must Be Santa. Indossa svariati cappelli buffi e una parrucca assurda e non si è mai calato così bene in una parte. È un vecchio zio che senza troppo dare nell’occhio sta tenendo accesa una festa. Quando c’è bisogno di far partire le danze, lui canta. Quando tutti ballano, se ne sta in poltrona col sigaro. Nel momento esatto in cui hai bisogno di un bicchiere, lui tira fuori due bottiglie pronte. È una festa di famiglia, e quindi è intergenerazionale, incasinata, e devi stare attento perché prima o poi voleranno bottiglie. Nel finale arriva il Babbo vero, che scambia con Babbo Dylan un’occhiata di profonda comprensione. Bah, che mondo. Ormai fanno entrambi lo stesso mestiere.

“Mestiere un po’ di merda eh?”
“È quel che so fare”.
“Ma senti c’è una cosa che mi sono sempre chiesto. Come hai cominciato?”

“Guarda, ho ricordi molto vaghi. Ero un vescovo che si preoccupava per la dote di alcune ragazze… oppure ero il dio Odino che galoppava su un cavallo a otto zampe… è passato del tempo, capisci. E tu?”

“Anch’io ne so poco. Ero un un poeta beat, forse, oppure un profeta hippie…”
“Tu? Hippie? Ma sei sicuro?”
“No appunto. Ma a un certo punto ero senz’altro un ragazzino senza un soldo che cantava nei caffè. Sai cosa ricordo bene?”
“Il freddo”.
“Puoi dirlo”.

(Il brano di gran lunga più riuscito è Winter Wonderland. Uno dei problemi degli artisti che incidono dischi natalizi è che molto spesso devono farli in estate, ed è difficile azzeccare il feeling. Dylan in Winter Wonderland ce l’ha fatta alla grande. Senti come canta “When it snows, ain’t it thrilling“? C’è proprio tutta la soddisfazione di un vegliardo alla finestra che vede scendere la neve e torna bambino. Non l’ho mai sentito sorridere tanto come mentre canta “In the meadow we can build a snowman“, chissà che pupazzi facevano ai tempi in Minnesota).

“…Un freddo atroce, dio, l’inverno è una cosa orribile. Soprattutto quando arrivi a fine dicembre e pensi, beh, quanto inverno ci resta da soffrire? E invece è appena iniziato”.
“È per questo che il nostro lavoro è importante, Bob”.

A un certo punto, credo durante la lavorazione di Shot of Love, Dylan arrivò in uno studio e decise che avrebbe inciso White Christmas di Bing Crosby, solamente perché aveva sentito dire che Bing Crosby aveva lavorato lì. Fu il solito buco nell’acqua e a tutt’oggi non si sono ancora trovate le registrazioni, ma è la prima manifestazione di un interesse di Bob Dylan per il Natale.

(La canzone più triste del disco è I’ll Be Home for Christmas, un pezzo strappaventricoli di Bing Crosby che nel 1943 speculava sulla malinconia dei soldati che non avrebbero fatto in tempo ad arrivare a casa a Natale: ci sarò, canta Dylan, conta su di me, prepara il vischio e i regali sotto l’albero perché sarò a casa per Natale… almeno nei miei sogni. In 40 minuti è l’unico momento in cui serpeggia il sospetto che sia tutto finto: che il Natale di Dylan sia l’invenzione di un vecchio signore rimasto solo con le sue vecchie canzoni, che nessuno inviterà a una festa).

Dylan in effetti non è mai stato natalizio, neanche nel suo periodo gospel. Il suo inverno è un mondo orribile dove si muore sul marciapiede, e gli ultimi spiccioli ti servono per comprare una pallottola per ogni membro della famiglia. Sai chi è sempre stato natalizio? I Beatles, loro sì. Anche se non hanno mai scritto una vera canzone di Natale – i loro dischi natalizi poco più che curiosità – i Beatles hanno quel quid. Sanno di zenzero, di cannella. Tutti vogliono bene ai Beatles, anche se li odiano. Il tempo passa e loro restano lì, per sempre uguali a sé stessi. Scaldano il cuore, rallegrano i bambini. Tutte cose che Bob Dylan per tantissimo tempo non si è posto il problema di fare. Là fuori il mercato dei dischi crollava, e artisti che fino a qualche anno prima, se gli avessi chiesto: “che ne pensi di un album natalizio?” ti avrebbero riso in faccia – non siamo mica negli anni Cinquanta, nonno! – ma a un certo punto il mercato si è piegato che nemmeno il Titanic, ed eccoli all’improvviso tutti in vetrina col cappuccio e l’albero e il vischio, i pattini, le renne, vi prego comprate il nostro disco di Natale! Ma il caso di Dylan è un po’ diverso – se non altro non aveva bisogno di soldi, anzi. Ha dato tutto in beneficenza, al World Food Programme. Molto nobile da parte sua.

Ding Ding Ding

D’altro canto, chi è che regala davvero gli album natalizi? Vi hanno mai regalato un album natalizio? Cioè lasciamo stare la stucchevolezza della cosa, ma che senso ha metterti sotto l’albero un disco che alla mattina del 26 dicembre è già inascoltabile? Eppure li comprano. Quest’anno All I Want for Christmas di Mariah Carey è entrato nella top10 singoli di Billboard, in 23 anni non le era mai successo, il che può significare tante cose (23 anni fa All I Want non era stata estratta come un singolo, oggi lo è diventata di fatto perché è disponibile in streaming), ma in un certo senso vale per la Carey quello che abbiamo già detto per Dylan: non sono loro che stanno diventando più grandi, è il mercato musicale che si sta rimpicciolendo – l’acqua scende, i pesci grossi si vedono meglio. Ma insomma se i dischi di Natale come regalo non funzionano, perché la gente li compra?

Per ascoltarli?

Quel tizio che storpia ogni canzone, nel buio del coro, cosa crede di fare esattamente? Forse sta peccando di superbia – senza di lui non ci sarebbe più messa cantata, ma solo una rapida formalità burocratica di mezz’ora: letture, eucarestia, datevi il segno della pace e fuori dai coglioni. Ma lui sta cantando, e questo basta a fare di una messa qualsiasi una messa di Natale. È il sacerdote di un culto dimenticato? Quando saluta il Re Neonato, sta pensando davvero al bambin Gesù? È quel che resta di una religione quando tutti se ne vanno, la candela che non si spegne? 

In America queste cose le studiano e insomma sì, pare che per un’emittente radio basti programmare canzoni di Natale a nastro per raddoppiare i propri ascoltatori. Funziona già in ottobre e quindi evidentemente le canzoni natalizie funzionano. I dischi natalizi, la gente li compra e li ascolta. E quindi perché gli artisti non dovrebbero inciderli?

Quando uscì a sorpresa, verso metà ottobre del 2009, Christmas in the Heart, qualcuno chiese a Dylan se si trattava di un’operazione ironica. Perché dopo tanti anni qualcuno ha ancora il fegato di chiedere a Dylan qualcosa del genere. Lui, che effettivamente è stato un po’ ironico almeno verso la fine del 1965, ha dovuto pure spiegare che no, l’ironia non c’entra niente, e che bisogna veramente conoscerlo poco per pensare a qualcosa del genere. Che le canzoni di Natale sono una cosa maledettamente seria; non puoi scherzarci sopra, probabilmente c’è un solo modo di suonarle e cantarle e lo devi azzeccare. Christmas in the Heart comincia col tintinnio del cimbalo, quel suono di campanello da slitta che contiene già tutta la cannella e lo zenzero del mondo. Prosegue coi cori femminili – è il primo disco coi cori dai tempi di Down in the Groove, ma queste sono voci bianche e un po’ freddine, angeliche, impeccabili – mentre zio Bob proprio impeccabile non è, così che spesso scatta l’effetto playback. D’altro canto… è per beneficenza. È un Natale sincretico, contiene inni cattolici e hit da classifica, carole da cantare in strada, orchestrine yiddish e almeno un pezzo hawaiano (Christmas Island). Quando uscì poteva davvero sembrare uno scherzo estemporaneo, invece stava dando la direzione. La voce è già molto più affaticata che in Together through Life; è una voce carbonifera che stride sul disco come una matita che abbia rotto la punta fine. Fa lo stesso, sembra dire lo zio Bob, avevo appunto voglia di fare due o tre schizzi con la punta grossa. Il Natale è solo l’inizio, nel 2009 non possiamo immaginarlo ma Dylan con quella matita scheggiata ha intenzione di ricalcare tutto l’American Songbook.

Più di dieci anni prima, a chi gli chiedeva aggiornamenti sulla sua situazione religiosa, Dylan aveva dato la risposta che ormai passa per definitiva: l’unica religiosità e filosofia, la trova “nella musica”.  “Canzoni come Let Me Rest on a Peaceful Mountain o I Saw the Light: questa è la mia religione. Non aderisco a nessun rabbino, prete, evangelista, ecc… Ho imparato di più da queste canzoni che da qualsiasi altro tipo di entità. Le canzoni sono il mio lessico. Io credo nelle canzoni”. Se capisci questa cosa, forse riesci a capire anche un disco come Christmas in the Heart. Le canzoni di Natale sono una cosa seria e se Dylan decide di cantarle non è certo per profanarle, o scherzarci su. Non è nemmeno per provare ad attualizzarle – Dylan è più vecchio di alcune delle canzoni che canta – né per migliorarle: come si ‘migliora’ Have Yourself a Merry Little Christmas, o Hark the Angels Sing? Dylan canta per celebrarle. Può sembrare superbo, ma a volte sembra convinto che se non le canta lui, non le canterà più nessuno, e che per quanto imperfetta la sua voce sia preferibile al silenzio. Anche la più sciocca di tutte le canzoni di Christmas in the Heart (Little Drummer Boy?) è un tesoro prezioso di cannella e zenzero che Dylan scarta con cura e intona con passione, anche se ha manacce ruvide e una voce a brandelli. Non addobba il Natale, non si prende gioco di lui, non ci specula sopra (è per beneficenza): Dylan lo celebra; e se vi sembra il celebrante meno adatto al mondo, beh, io no. È esattamente quel Babbo Natale ubriaco che mi serve, quel cantore stonato che vorrei incontrare in una chiesa fredda e buia nel pomeriggio del 25.

Buon Natale. Gli altri album di Dylan: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 19621963: The Freewheelin’ Bob DylanBrandeis University 1963Live at Carnegie Hall 19631964: The Times They Are A-Changin’The Witmark Demos, Another Side of Bob DylanConcert at Philharmonic Hall1965: Bringing It All Back HomeNo Direction HomeHighway 61 Revisited1966: The Cutting Edge 1965-1966Blonde On BlondeLive 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert1967: The Basement TapesJohn Wesley Harding1969: Nashville Skyline1970: Self PortraitDylanNew MorningAnother Self Portrait1971: Greatest Hits II1973: Pat Garrett and Billy the Kid1974: Planet WavesBefore the Flood, 1975: Blood on the TracksDesireThe Rolling Thunder Revue1976Hard Rain1978: Street-LegalAt Budokan1979Slow Train Coming1980Saved1981Shot of Love1983Infidels1984Real Live1985Empire BurlesqueBiograph1986Knocked Out Loaded1987Down in the GrooveDylan and the Dead1988The Traveling Wilburys Vol. 11989Oh Mercy1990Under the Red SkyTraveling Wilburys Vol. 31991The Bootleg Series Vol 1-3 (Rare and Unreleased)1992Good As I Been to You1993World Gone Wrong, 1994MTV Unplugged1997Time Out of Mind2001“Love and Theft”2006: Modern Times2008Tell Tale Signs, 2009: Together through Life, Christmas in the Heart, 2012: Tempest

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.