Un disco per l’estate

Mi trovo a Napoli per lavoro. Sono lunghe giornate di sole e cielo azzurro. Trovo l’occasione di vedere la città dall’alto, approfittando della terrazza di fronte al museo Hermann Nitsch. Il panorama parte in basso dal Cavone spazia da Mergellina e Chiaia fino a raggiungere la massa del Vesuvio. Lo sguardo studia l’aria brillante di aprile. A mezzogiorno i mattoni di tufo, le cupole, i tetti, splendono come frammenti ingranditi al microscopio. Il Vesuvio in lontananza è un frutto scuro che libera profumi e aromi in direzione dell’orizzonte. Melville in Moby Dick paragona il cratere del Vesuvio a un calamaio. Riproduzioni della serigrafia Vesuvius di Andy Warhol spuntano di continuo oltre le vetrine di pizzerie, friggitorie e negozi di abbigliamento. Sono ore piene e ricche.

Il pensiero vaga senza meta come una mosca ubriaca. Vado in cerca di via Gemito, la strada dove lo scrittore Domenico Starnone ambientò un suo romanzo. Seduto ai tavoli di un bar in via Scarlatti, al Vomero, durante una conversazione mi torna in mente una figura dimenticata della musica napoletana. Ne accenno alle due persone che mi stanno di fronte. Nessuno dei due ha presente il nome del cantautore. Neppure io, per la verità. Sono obbligato ad aprire Google e fare un paio di ricerche. Si chiamava Gianluigi Di Franco, nato a cinque chilometri dalla terraferma, sull’isola di Capri, e scomparso ad appena 52 anni nel 2005, ucciso da un tumore.

Mi ero imbattuto in Di Franco anni fa, mandando avanti e indietro le immagini del videoclip di As tu As . As tu as è una canzone del 1985 di un certo successo. Il personaggio di Di Franco mi aveva colpito, eppure ne ho dimenticato il nome, avendo con una certa naturalezza delegato alle macchine parte del compito di registrare e tenere a mente una serie di dati. Di Franco fu coautore di As tu as insieme a Tony Esposito, il celebre musicista, cantautore e percussionista napoletano. Il video è girato in una giornata di sole e di vento sopra un promontorio affacciato sul mare. Esposito e Di Franco, con i capelli spettinati dalla brezza, si esibiscono di fronte a nove flipper disposti a semicerchio sopra la punta del promontorio. Un simbolo degli anni ’50 americani poggia sullo sfondo del più assolato panorama mediterraneo. Il colpo d’occhio evoca quel rapporto di simpatia e scambio che nel tempo si è stabilito fra gli Stati Uniti e certi vernacoli della musica napoletana, anche a partire dalla presenza a Napoli degli alleati durante la Seconda guerra mondiale (del resto, da Pino Daniele fino a Liberato, il dialetto napoletano si mescola con grande disinvoltura all’inglese).

Di Franco sul promontorio veste un’ampia camicia bianca di cotone e un paio di pantaloni bianchi di cotone. Camicia e pantaloni si riempiono come vele gonfiate dalle correnti d’aria. As tu as è un brano per l’estate. La vitalità e il potere afrodisiaco della melodia nascono dall’abilità con cui la ricerca di Esposito, nei repertori della musica etnica, si apre senza inibizioni alle sonorità artificiali, alle influenze della dance e dell’italo-disco di moda alla metà degli anni Ottanta. Esposito e Di Franco cercano nuove strade e si muovono di fronte alla telecamera con la stessa positività e generosità che caratterizza il loro percorso musicale. In un’altra stagione, nel lontano 1973, Gianluigi Di Franco era stato la voce di un gruppo rock progressivo, i Cervello, autori di un solo disco: Melos. La voce di Gianluigi Di Franco è aerea, limpida, ispirata. Grazie alla sua innocenza ottiene senza sforzo la fiducia di chi ascolta.

As tu as è un bagno di sole. Dietro la ballabilità e le apparenze pop si nasconde una ricetta terapeutica e una occulta virtù nutritiva. Non mi sono stupito più di tanto, in effetti, quando anni fa ho scoperto che Di Franco negli anni Settanta, durante quel lungo lasso di tempo in cui non aveva più realizzato dischi, si era dedicato allo studio della medicina, aveva preso una laurea in psichiatria e successivamente, a un certo stadio di un percorso umano e professionale, si era occupato di una disciplina che negli anni Ottanta stava ancora muovendo i primi passi, la musicoterapia, nel quadro di quella generale scomposizione di saperi e pratiche con la quale gli anni Settanta della contestazione e della nuova sinistra si sciolsero negli anni Ottanta della New Age e dell’imminente rivoluzione informatica. Leggo in rete che Di Franco fondò nel 1989 l’ISFOM, istituto superiore di formazione per la musicoterapia, e che tra i suoi progetti ci fu la creazione di reparti di musicoterapia in alcuni ospedali napoletani, con lo scopo di curare ansie, nevrosi e disturbi come l’autismo, l’Alzheimer e il Parkinson. Nello stesso anno pubblicò Gianluigi Di Franco, il suo primo e unico album solista.

Di Franco, flautista e cantante, come altri artisti lavorò all’intreccio tra pop e tradizioni mediterranee, ma più di altri, e sulla base di competenze che altri non avevano, credette che nel pop poteva trovarsi la guarigione. Fu coautore di un grande successo, Kalimba de luna, premio «disco per l’estate» 1984, e coautore di metà dei brani di Il grande esploratore, disco di Tony Esposito, dove la lingua napoletana, ibridata all’inglese, incontra l’artificialità del vocoder e si spalma su marcette caraibiche fabbricate con sintetizzatori e drum machine. Monica sembra un brano di Franco Battiato, ma quando meno te lo aspetti pare citare Barbara Ann dei Beach Boys. Terra di fuoco è una stupenda e toccante elegia dedicata ai Campi Flegrei (Terra gialla che\s’aspruffunn’ dint’all’acqua d’o mare). Nei dischi con Esposito, come nell’album solista, la voce di Di Franco, forse per le origini isolane, sembra sempre al cospetto di una vastità e di una grande disponibilità di aria e spazio; si gonfia e cambia all’improvviso verso, direzione, come gli aquiloni in gara sopra le spiagge. Questo rapporto con l’aria e la vastità è come immortalato e messo in cornice grazie a un episodio fortuito. È il 2001. Di Franco ha 48 anni, indossa giacca, cravatta e un paio di occhiali da vista. È intervistato al TGR Campania, in occasione di un convegno di musicoterapia che si tiene a Castel Dell’Ovo.
Anche stavolta, come nelle immagini di As tu as girate sopra il promontorio, Di Franco è colpito da un vento che s’insinua tra le lamine del microfono, lo prende dritto in faccia e gli spettina i capelli.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).