E bravo Gentiloni

Amazon sarebbe in procinto di adottare un braccialetto elettronico da stringere al polso dei suoi ormai mitici magazzinieri. Lo scopo del braccialetto sarebbe quello di controllare e tracciare gli spostamenti dei dipendenti all’interno dello spazio di lavoro. Così dicono alcuni e così la notizia è stata qua e là interpretata. Perfino il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha colto la palla al balzo per stigmatizzare la trovata di Amazon.

In realtà ancora non è successo nulla, come ha spiegato ieri il Post. Il braccialetto è semplicemente un brevetto (scusate la rima) e lo scopo non è «sorvegliare e punire», tutt’al più è sorvegliare e accompagnare i movimenti del braccio del lavoratore. Il braccio viene cioè instradato verso lo scaffale giusto grazie a una vibrazione che lo avverte di un movimento non corretto. Almeno, così pare di capire. Una volta stabiliti i reali contorni della notizia, occorre comunque una riflessione e forse occorre perfino «indignarsi»*. Lo strumento messo a punto e depositato in un brevetto, del resto, rappresenta un indirizzo di ricerca dell’azienda, in cui non può non riflettersi una filosofia del lavoro e una filosofia dell’organizzazione del lavoro.

Se anche fosse che Amazon si è precipitata a depositare il brevetto per battere gli altri sul tempo, beh, significa che quel brevetto rappresenta un indirizzo di ricerca significativamente presente nel mercato. Il fatto dovrebbe ugualmente preoccuparci e indignarci. Inoltre, appurato che il braccialetto non serve a «sorvegliare e punire» gli spostamenti del dipendente nel perimetro di lavoro, ma ad accompagnarlo come una marionetta e a correggerlo nei suoi movimenti, questo non può risparmiarci una profonda preoccupazione e indignazione, per quella che appare una riduzione dell’uomo a terminale meccanico della logistica di magazzino.

Quale concezione freddamente biometrica dell’uomo, e del suo corpo, può nascondersi in uno strumento così invasivo? Un’idea me la sono fatta, ma sarei curioso di sentire anche il parere di Franz Kafka, di Simone Weil o di Primo Levi. Oltre che quello di un operaio, naturalmente. Immaginate questo braccialetto che vibra nel corpo e vi dice che cosa fare. Forse un lavoratore alienato e completamente meccanizzato può sottomettersi a un input così descritto, ma non un uomo che resta un uomo. Inoltre, se quello strumento non servirà anche a «sorvegliare e punire», questo dipenderà solo dalla moralità del management e dei capi reparto.

Tuttavia, possiamo stare tranquilli: i risultati del test sono chiari. L’idea di un braccialetto elettronico spaventa e offende un’opinione pubblica cresciuta, bene o male, in quella cultura dei diritti costruita in Italia nella seconda metà del Novecento. L’opinione pubblica magari fraintende la notizia, s’indigna, prende fischi per fiaschi, ma nel fraintendimento e nell’indignazione si mostra memore, vigile e «sensibile». E se il braccialetto invece, senza troppo scandalo e melodramma, si applicasse in Cina o in Vietnam? Quali risultati questo e altri nuovi strumenti possono provocare sull’equilibrio nel mercato globale del lavoro?

Gentiloni in un riflesso «di sinistra», e indubbiamente da campagna elettorale, ha stigmatizzato il braccialetto di Amazon. In ogni caso bravo Gentiloni e tanti auguri per la campagna elettorale, ma sul braccialetto di Amazon occorrerà riflettere sul serio dopo il 5 marzo. Non, ovviamente, che il Partito Democratico non abbia riflettuto sull’enorme grattacapo politico e morale costituito dal tema del lavoro (proprio ieri Gentiloni ha parlato di «sfida ossessiva»), ma forse occorre rifletterci di nuovo. Scusate la domanda brutale e retorica, ma il PD e gli altri partiti della sinistra, con chi stanno? Quando lo scontro tra lavoro e capitale c’è, e non perché lo dice Marx ma perchè è Amazon che interpreta il copione tanto spettacolarmente, gli uomini e le donne dei partiti di sinistra, da che parte stanno? Con i lavoratori o con questa nuova concezione dei consumi, dei servizi e del lavoro, mix di genio, nuove pratiche e linguaggi, innovazione tecnologica e, tuttavia, profonda incultura del lavoro e della persona?

Qualcuno, per esempio, dovrebbe raccontare come il picco di dopamina generato nel cliente in pantofole alla vista del corriere Amazon potrebbe avere come precondizione la fatica, il cardiopalma e l’alienazione di un nostro simile chiuso dentro un magazzino. Il PD ormai dai tempi di Walter Veltroni dice di voler stare in mezzo e mediare. Questo è il significato buono del riformismo. Ma davvero c’è stata mediazione in questi anni? È una domanda. E quando la mediazione diventa conflitto, da che parte si sta? E quanti operai, lavoratori, precari e dirigenti sindacali pronti alla pugna ci sono nelle liste del PD e degli altri partiti della sinistra che si candidano al governo del paese il prossimo 4 marzo? Io non lo so. È solo una domanda.

*Un inciso che ho una gran voglia di fare. Fate un esperimento: cercate «indignato», «indignazione», «indignati», sulla finestra di ricerca di Twitter. Osserverete come questa parola è stata risignificata ed è diventata, anche ieri, una parola per denigrare e per «blastare». È vero: ci sono stati casi di sovreccitazione, diciamo, in questi anni, ce ne sono quotidianamente, ma c’è pure chi ha perso il gusto d’indignarsi.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).