Lo ius culturae è anche di destra

Sui problemi legati all’immigrazione e alla cittadinanza, e su tantissime altre cose, ci siamo ormai da tempo incartati in false certezze – sia a destra che a sinistra -, in malintesi provocati ad arte nei quali ci intrappoliamo, e in provincialismi che ci legano e ci irrigidiscono e dei quali certamente un giorno ci libereremo e, ripensando a questi tempi, forse come Pinocchio alla fine delle sue disavventure diremo “Com’ero buffo, quand’ero un burattino!”.

Lo ius culturae – cioè la possibilità che qualcuno nato in Italia da cittadini stranieri e vissuto stabilmente in Italia possa avere la cittadinanza senza aspettare la maggiore età, dopo aver frequentato le scuole italiane (per esempio le elementari, o le elementari e le medie) – è di nuovo stato riproposto al dibattito e di obiezioni incongrue se ne sono sentite di ogni tipo.

Dico incongrue, perché dire “non è il momento” è chiaramente una scusa che maschera rancori per gli uni e cinismi elettoralistici per gli altri, o fare sparate tipo “la cittadinanza si merita”, quando nessuno l’ha meritata (altrimenti si potrebbe anche demeritare e quindi bisognerebbe per esempio toglierla ai mafiosi, il che è concettualmente ridicolo), è parlare a vanvera.

Ma non è questo il punto, perché ognuno è libero di prendere le posizioni che vuole (solo andrebbe evitato di ammantarle di una razionalità che non è tale).

Il punto che mi sembra interessante e che a volte sfugge è però un altro, e cioè: la cittadinanza non è un’azione umanitaria, non è un atto di accoglienza, non è un buonismo. L’attribuzione della cittadinanza – l’ho già scritto qui stesso un po’ di anni fa – è una strategia dello Stato che associa delle persone o dei gruppi ad un sistema di doveri e di diritti, in funzione dell’idea che lo Stato stesso ha di sé.

La cittadinanza infatti non la dà la comunità e il suo sospetto comunitarismo, non la dà la religione, non la dà l’ideologia politica. La cittadinanza la dà lo Stato, che in quest’atto riafferma se stesso e mostra la sua priorità logica e giuridica rispetto a comunità, religioni, appartenenze politiche.

In questo senso, lo ius culturae sarebbe una battaglia molto congeniale alla destra, perché enfatizza la sovranità dello Stato e stabilisce l’inclusione e l’accettazione di un sistema valoriale che fa capo allo Stato.

Oggi nel “dibattito” pubblico si considera che questa battaglia sia esclusivamente di sinistra – e come tale la si osteggia, o la si considera “buonista”, o la si teme, anche all’interno di certa sinistra o di certo centro della sinistra… –, mettendola nel pacchetto della “cultura dei diritti”, di cui la sinistra sarebbe appunto portatrice.

Certo, è vero, ma chi mi legge mi consentirà di aggiungere che è un paradosso anche questo, perché la stessa cultura dei diritti, in quanto tale, è concettualmente di derivazione liberale. L’idea che lo Stato limiti se stesso nel riconoscere diritti ai cittadini, che lo precedono, è liberale (e la sinistra, oggi, anche. Ma questo è un altro dibattito).

La cittadinanza è certo un’altra cosa; e in questo senso ancora più compatibile con le culture di destra (che non sono originariamente liberali).

C’è un ulteriore elemento, che è trasversale, e che è importante: mettere ordine sulla cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri che dimostrano di fare dell’Italia il centro di un progetto di lunga durata, vuol dire semplicemente prendere atto dell’esistenza di nuove generazioni di italiani che già contribuiscono alla crescita collettiva, e sulla cui energia, entusiasmo, progettualità, grande o piccola che essa sia, l’Italia può già contare e che l’Italia non può ostacolare con sciocchi malintesi, perché altrimenti si irrigidisce ulteriormente, come un burattino.

La diciamo tutta? Il Pd fa benissimo a proporre una legge (però lo deve fare subito e discutere con tutti perché ci siano i numeri già in questo Parlamento), ma il primo leader di destra o centrodestra che si svegliasse dal sonno dogmatico e ponesse il problema dello ius culturae (anche se fosse qualcuno con l’idea più chiusa possibile sull’immigrazione, perché le due cose non c’entrano) e si intestasse in modo chiaro e “di destra” l’iniziativa, rafforzerebbe notevolmente la sua parte.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.