Zuckerberg, Nietzsche e io

Grazie a tutte e tutti per gli auguri  di ieri. Siete stati e state così tanti e tante che ringraziarvi tutti e tutte è impossibile. Mi avete fatto piacere e perfino cambiato l’umore.

Come sapete il pomeriggio e la sera del 4 ottobre 2021 saranno ricordate per il grande crollo di Facebook, Instagram e Whatsapp. Per cinque ore miliardi di esseri umani si sono sentiti scollegati dal mondo. Capite bene che a me che stavo per compiere gli anni e avevo voglia, anzi bisogno, di affetto e calore, il prolungato blackout ha causato nell’ordine allarme, preoccupazione, ansia, angoscia, disperazione, emozioni che si sono sciolte in sollievo e gioia quando, intorno alla mezzanotte, almeno Whatsapp ha ricominciato timidamente a funzionare. In quelle cinque ore di silenzio mi sono reso conto di essere nella stessa identica condizione degli adolescenti, che non appendono più nulla in camera, perché dentro il telefono custodiscono quasi tutto il mondo, gli affetti, le amicizie, gli amori.

Sono convinto, e l’ho scritto molte volte, che una delle ragioni del successo del digitale e dei social network, e del loro potere additivo, risieda nella loro forza teologica: nel promettere, cioè, che la felicità possa irrompere da un momento all’altro nelle nostre vite da qualcosa o qualcuno che sta altrove. È una felicità che può manifestarsi sotto forma di incontro, risata, colpo di fortuna, e che però trae la sua forza, come tipico della felicità, dalla sua natura di promessa. Da una decina di anni a questa parte, i telefonini hanno assorbito ogni cosa, perfino la possibilità di essere felici. In un certo senso ci ritroviamo nella condizione in cui, secondo Nietzsche, ci ha fatto precipitare il cristianesimo che, promettendo una felicità ultraterrena ed eterna, ha immiserito e spogliato di senso la felicità terrena, impedendoci di fatto di vivere davvero la vita.

La promessa continua di trascendenza che il digitale implica, e di cui i telefonini sono lo strumento principale, ha l’effetto di impoverire il qui e ora perché una parte di noi, della nostra attenzione, è sempre rivolta all’altrove, alla possibilità che quella promessa si avveri. Assomigliamo, cioè, a quegli ebrei che mangiano tenendo la porta socchiusa nell’eventualità che il Messia si decida a tornare. Durante il down del 4 ottobre ho capito che oggi quella porta è in buona parte controllata dai social di Mark Zuckerberg. Ma ho anche capito, con buona pace di Nietzsche, che l’esistenza di questa porta allarga la felicità, non la restringe, perché allarga il numero delle persone – amici, parenti o anche solo sconosciuti – che hanno la possibilità di pensarti e di essere gentili con te.

Per concludere, ricordo a chi mi ha fatto gli auguri (non solo digitali) di farli anche a Friedrich Nietzsche, che il 15 ottobre compirà 187 anni.

Giacomo Papi

Giacomo Papi è nato a Milano nel 1968. Il suo ultimo romanzo si intitola Happydemia, quello precedente Il censimento dei radical chic. Qui la lista dei suoi articoli sui libri e sull’editoria.