La nutella nel ventilatore

Aggiungo una postilla a questo articolo di Matteo Flora che sta girando molto in rete perché ha il merito di spiegare  in modo chiaro cose in parte già note su come funziona oggi la comunicazione politica basata sugli algoritmi, quindi la politica e la comunicazione in generale. Per avere attenzione oggi è più efficace attaccarsi parassitariamente a temi già popolari, invece che sforzarsi di avere idee nuove e lanciare nuovi slogan. L’esempio più recente: S infila la #nutella nel ventilatore in modo da ottenere (alimentandola) l’attenzione che la #nutella sta già generando. Ma raggiunge lo scopo più grazie a chi gli si oppone che a chi lo sostiene. Chi commenta, rilancia o si sdegna non contrasta, ma propaga e rafforza. In altre parole: è il ventilatore.

Da questa premessa tecnologica derivano alcune verità.

  • Oggi avere attenzione, ignorare e nominare sono scelte politiche.
  • La bellezza e l’intelligenza alimentano bellezza e intelligenza.
  • La bruttezza e la stupidità alimentano bruttezza e stupidità.

Da questi assiomi si può estrarre un metodo politico ugualmente scientifico.

  • Chi è contro S non nomini S. 
  • Chi è contro S non segua, condivida e commenti S.
  • Chi è contro S segua, condivida e commenti cose belle oppure cose brutte (ma senza nominare S)
  • S è l’intaggabile (per intervenire su un tema su cui S si è espresso, taggare il tema – la #nutella, le #nocciole – non S. Le #sardine hanno successo per questo).

L’obiezione, ovvia, è che così ognuno si rinchiuderebbe nella propria bolla e chi la pensa in un modo non entrerebbe più in contatto con chi la pensa in un altro. È un’obiezione zoppa perché avviene già. I social proliferano creando bolle. Quando si entra in una bolla nemica non è per avvicinare le posizioni e convincere i nemici, ma per radicalizzarli e radicalizzarsi. Sui social il dialogo non è il metodo attraverso cui si può arrivare a una verità condivisa o comunque a un accordo e a una mediazione. Forse il dialogo non è mai stato il metodo della democrazia, nonostante quello che sosteneva Platone che infatti scriveva in solitudine, senza dialogare con nessuno. I dialoghi, reali, televisivi o digitali, funzionano polarizzando, non avvicinando. È raro che parlando qualcuno cambi idea: qualche volta può accadere di persona, ma nei dibattiti televisivi o commentando su Internet non accade mai. Sui social vince la quantità prodotta dagli algoritmi sulla base delle interazioni delle persone.

Per questo la tentazione di nominare S è così forte: se lo si fa, si conquista attenzione tra chi S lo avversa, ma anche tra chi lo sostiene, e così ci si può illudere di avere convinto qualcuno. Rifiutarsi ha un costo: se questo post avesse S nel titolo o lo nominasse per esteso avrebbe di sicuro una diffusione maggiore: più applausi, commenti, like, cuoricini e anche insulti. Diventerebbe, cioè, più popolare. Ma rifiutarsi ha anche un vantaggio perché ci sono più bolle tra cielo e terra di quante se ne possano contare. E queste bolle si intersecano e assommano, possono moltiplicarsi e originare altre bolle, o impigliarsi per caso, ma quasi sempre, in qualcuno che in quella bolla non c’è mai stato, perfino in qualche mangiatore di #nutella e #nutellabiscuits che altrimenti non avrebbe raggiunto.

La politica sui social ribalta e contraddice la famosa frase di Edmund Burke: «Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni non facciamo niente». Oggi sarebbe più esatta formulata così: «Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni ne parlino troppo». È più politico scrivere di una mostra, di un libro, di una canzone, o giocare a pallone che passare il tempo sui social ad accapigliarsi con S e con i suoi o a sfotterli dando di gomito ai propri. È più politico farsi venire un’idea su come il mondo potrebbe diventare migliore, perché sono sempre le idee a vincere e convincere. Inventare belle bolle è difficile e faticoso. E si ha meno pubblico. Scagliarsi contro S e le brutture del mondo è più facile, perché lo sdegno è irresistibile e gli algoritmi ci illudono che sia efficace. Quando proprio non si può resistere, quando la dice troppo grossa e la rabbia e il ridicolo montano, è meglio usare tre *** come nei romanzi russi dell’Ottocento oppure dire “Tu sai chi” come Harry Potter quando deve parlare di Voldemort.

Il poster originale realizzato da Andrea Bozzo
Giacomo Papi

Giacomo Papi è nato a Milano nel 1968. Il suo ultimo romanzo si intitola Happydemia, quello precedente Il censimento dei radical chic. Qui la lista dei suoi articoli sui libri e sull’editoria.