Il ristorante italiano preferito da Anthony Bourdain

Ho incontrato Anthony Bourdain un anno fa nel giardino dell’hotel Mandarin Oriental di Milano per un’intervista che mi aveva commissionato il Venerdì di Repubblica. Erano le quattro di un pomeriggio di luglio così caldo che i lastroni di pietra del pavimento erano incandescenti come la piastra da cucina di un ristorante. Eppure Bourdain non sudava, non sudava e fumava, non sudava e beveva negroni – tre nel giro di un’ora – sorridendo e parlando del mestiere dei cuochi, di quanto era duro prima che diventassero star – e di quanto lo è ancora per chi in tv non ci va –, raccontava quello che avviene in cucina mentre in sala i clienti degustano, sorseggiano e si corteggiano, parlava del successo arrivato all’improvviso nel 2000 mentre friggeva patatine a New York quando uscì il libro Kitchen confidential, dei cibi strani e, in alcuni casi repellenti, assaggiati durante i viaggi per il mondo per la tv e di quello che amava cucinare per sé e per sua figlia. Al terzo negroni e alla decima Marlboro gli avevo domandato – conoscendoli bene – gli effetti di tabacco e alcol sulle papille gustative. Bourdain aveva scosso la testa e si era messo a ridere, con la sua aria da duro: «Non fa differenza. Anche le sigarette e l’alcol hanno un sapore». Era un uomo bellissimo e sembrava risolto perché parlava con rispetto anche di quello che non gli piaceva.

Quella che segue è l’intervista di allora.

Fare il cuoco, un tempo, era considerato un mestiere duro. Oggi gli chef in tv sembrano figure a metà tra lo stilista e l’attore. Che differenza c’è tra la sua generazione di cuochi e quelli di oggi?

Quando io ho iniziato, il cuoco era un servo, come un cameriere o un uomo delle pulizie, e a nessuno interessava sapere che cosa consigliasse. Noi venivamo da un’impostazione all’antica, quasi militaresca, nelle cucine c’era un sistema simile a quello della fabbrica. Oggi vedo un sacco di giovani che sono cresciuti in questa cultura dello chef di tendenza e non hanno molta voglia di lavorare. Escono dalle scuole di cucina e si aspettano di arrivare in un programma televisivo. Hanno il taglio di capelli e il look giusto ancora prima di imparare a pelare una cipolla.

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Giacomo Papi

Giacomo Papi è nato a Milano nel 1968. Il suo ultimo romanzo si intitola Happydemia, quello precedente Il censimento dei radical chic. Qui la lista dei suoi articoli sui libri e sull’editoria.