When in trouble, go big (italian version)

Chi legge questo blog sa cosa vuol dire la frase qui sopra. È una regola che vale per me quasi in tutto, ma soprattutto in politica: quando ci si trova in difficoltà i mediocri minimizzano, si avvitano, vanno sul sicuro, cercano scappatoie e formule di circostanza, mentre i bravi vanno all’attacco e ribaltano la situazione. Barack Obama si è cavato fuori dai guai in questo modo molto spesso. Giorgio Napolitano ha risolto una grossa crisi politica in un momento terribile con quella estemporanea e geniale nomina di Mario Monti a senatore a vita. Andrea Pirlo ci ha vinto da solo un quarto di finale degli Europei (ma qui divaghiamo). When in trouble, go big.

Oggi Bersani si trova in una situazione del genere. Nel suo momento di massima debolezza deve gestire una situazione delicatissima e trattare con un soggetto che invece si trova nel suo momento di massima forza e influenza. Il Movimento 5 Stelle ha tutto da perdere dal votare la fiducia a un governo del PD – non esistono vie di mezzo – e tutto da guadagnare dal fallimento di Bersani o addirittura da un eventuale sciagurato governo con il PdL. Non basta dire “ci vediamo in Parlamento e vediamo se ci manderete a quel paese”: questi non vedono l’ora di mandare il PD a quel paese. Quindi bisogna alzare l’asticella: when in trouble, go big. Ha ragione Stefano Cappellini su Leftwing, sito bersanianissimo: serve “una mossa politica vera”. Ma offrire qualche riforma al M5S non è una mossa politica vera, come dimostra il post di Grillo di ieri.

Cosa può fare il PD allora? L’unica strada che può tentare, credo, è offrire la presidenza del Consiglio al Movimento 5 Stelle, che è politicamente il vero vincitore di queste elezioni e anche numericamente è il primo partito del paese. Il PD offrirebbe il suo sostegno su una serie di misure condivise, che però il M5S potrebbe fare e intestarsi in prima persona. Perché abbia senso, queste cosa va fatta adesso: farla dopo un primo fallimento di Bersani nel formare una maggioranza non sarebbe “una mossa politica vera” ma una mossa della disperazione.

Credo che il M5S avrebbe comunque più da perdere che da guadagnare, e il fatto di non avere oggi un candidato premier – a parte lo stesso Grillo, oggettivamente impresentabile – li porterebbe a rifiutare: è troppo grande, per loro, la tentazione di passare all’incasso votando subito. Probabilmente Napolitano si arrabbierebbe molto. E questa sarebbe la certificazione del fallimento politico di Bersani, costretto a offrire la premiership al re dei populisti contro cui ha impostato tutta la campagna elettorale. Ma d’altra parte la realtà è quella che è. Se l’obiettivo è davvero mettere il M5S nell’angolo e tornare a votare con la speranza di non essere maciullati, fare “una mossa politica vera”, questa mi sembra l’unica che possa funzionare.

(Aggiornamento: Grillo goes big)

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).