L’appartenenza alla NATO

Nella Storia dell’eternità (1936), J. L. Borges scrisse: “Gli individui e le cose esistono in quanto partecipi della specie che li include, che è la loro realtà permanente”. Qualcuno evidentemente vorrebbe che questo valesse anche per i popoli e le nazioni. In queste drammatiche, ma anche chiarificanti, giornate c’è ancora chi sostiene che la responsabilità dell’intervento militare russo in Ucraina (e della pretesa di Putin che tutte le nazioni che stanno attorno alla Russia siano neutrali e smilitarizzate) derivi dall’eccessiva baldanza dell’organizzazione di difesa NATO, controllata dagli Stati Uniti, nell’accettare 14 paesi ex sovietici al suo interno. Questa avrebbe creato una situazione di minaccia insostenibile per la Russia, seconda potenza atomica mondiale.

Nei commenti comprensivi del senso di accerchiamento della Russia, si dimentica che già il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, nel 1976 dichiarò di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della NATO che con il Patto di Varsavia e che la Nato era una sorta di scudo per costruire il socialismo nella libertà. Nell’intervista di Giampaolo Pansa per il “Corriere della Sera”, Berlinguer (che allora aveva 54 anni), affermò: “Io sento che, non appartenendo l’Italia al patto di Varsavia, da questo punto di vista c’è l’assoluta certezza che possiamo procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento. Ma questo non vuol dire che nel blocco occidentale non esistano problemi. Tanto è vero che noi ci vediamo costretti a rivendicare all’interno del patto Atlantico, patto che noi non mettiamo in discussione, il diritto dell’Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino”. Pansa allora gli chiese: “Lei mi sta dicendo che il socialismo nella libertà sarebbe più realizzabile nel sistema occidentale che in quello orientale?”. Al che Berlinguer rispose: “Si, certo. Il sistema occidentale offre meno vincoli. Però, stia attento. Di là, all’Est, forse vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. Ma di qua, all’Ovest, alcuni non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo, anche nella libertà. Riconosco che da parte nostra c’è un certo azzardo a perseguire una via che non piace né di qua né di là…”.

L’intervista uscì sul “Corriere” il 15 giugno 1976 e fece un gran rumore sia in Italia (il filosovietico Armando Cossutta sbottò: “Questa cosa a Enrico gliela farò pagare”), che in Europa. E ha continuato a farne ancora tanti anni dopo. Fino a quando, il 24 maggio 2000, sulle pagine dell’ “Unità”, un giovane storico, Roberto Gualtieri (attuale sindaco di Roma), sulla base di documenti inediti del PCI conservati all’Istituto Gramsci e di carte provenienti dagli ex archivi sovietici, sostenne che Mosca non solo avrebbe conosciuto ma anche condiviso la clamorosa affermazione del segretario del PCI… Ma sarebbe stata solo una tattica per ricucire gli strappi con il PCI.

L’Ucraina non fa parte della Nato né la sua adesione era in agenda. Ma, dopo che la Russia, nel 2014, si era presa la Crimea e, nello stesso anno, aveva iniziato a fomentare, inviando truppe mercenarie ed esperti militari, la rivolta indipendentista di una parte della minoranza russa nelle regioni orientali dell’Ucraina (Donec’k, Luhans’k e Charkiv), sarebbe stato comprensibile che andasse a cercare di trovare un alleato che, seppur non disposto “a morire per Kiev” (come ha sempre ribadito il presidente americano Biden), potesse garantire quello che, dopo molte reticenze ed esitazioni, l’Unione Europea sta dando. La Russia vuole conquistare l’Ucraina per ricostruire l’impero sovietico: perché la democratica ucraina, come quella dei paesi baltici, possono rappresentare un “cattivo esempio”. Possono ad esempio provocare altre “rivoluzioni arancioni”, come stava accadendo recentemente in Bielorussia e Kazakistan. In questi casi è stata chiamata a intervenire l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO o OTSC: Organizatsiya Dogovora o kollektivnoy bezopasnosti), un’alleanza militare creata il 15 maggio 1992 da sei nazioni appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti (Russia, Bielorussia, Armenia, Kirghizistan, Kazakistan, Tagikistan). Ne faceva parte anche l’Azerbaijan, ma se ne è andato nel 1999 (dal 2017 al 2018 segretario generale del CSTO è stato l’armeno Yuri Grigoryevich Khachaturov). La Serbia partecipa come osservatore dal 2013.

Non era necessario arrivare alla guerra di questi giorni per capire che la NATO, in mancanza di un forte, realmente unitario e ben attrezzato esercito dell’Unione Europea, è l’unica sicurezza che gli ex paesi dell’Est hanno di non essere attaccati dalla Russia e poter proseguire il loro cammino democratico. Le recenti minacce che Putin ha fatto a Svezia e Finlandia, nel caso aderissero alla NATO, sono, fino a prova contraria, solo parte di un’isterica e inopportuna sequela di dichiarazioni di un leader in difficoltà.

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).