La giornata dei giusti

Il male è semplice da realizzare. Se qualcuno ha in mente di farlo, ci riuscirà. È il contrario che è difficile e sempre fragile e perdibile in ogni momento. Ma che cos’è il “contrario del male”? Se esso è un’azione, il suo contrario deve esserla altrettanto: un’azione che fa del bene.
Vengono in mente i duri e amari versi della poesia A un papa (1958) di Pier Paolo Pasolini:

«Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te».

Quindi il male è anche non fare il suo contrario. Le azioni “difficili e sempre fragili e perdibili in ogni momento” sono il Bene. E bisogna concentrarsi su queste azioni fragili e precarie. Esse sono le azioni dei Giusti. I Giusti sono coloro che fanno il Bene per gli altri.

Nella riflessione degli ultimi decenni, la nozione e la percezione del Giusto è cambiata.

Nella Bibbia (Genesi, 19) il “giusto” era il perno di una trattativa tra Dio e Abramo che cercava di salvare dalla distruzione le città di Sòdoma e Gomorra, luoghi di peccato e corruzione senza speranza. Inizialmente, a Dio sarebbe bastato che si trovassero cinquanta giusti per salvare le due città. Poi, Abramo contrattò che si scendesse da cinquanta a quarantacinque, da quaranta a trenta, a venti. Dio, alla fine, si accontentò dell’irriducibile numero di dieci. Ma purtroppo ne venne trovato uno solo, di nome Lot, che era figlio di Aran e nipote di Abramo e la distruzione fu inevitabile.Dieci giusti avrebbero salvato gli abitanti di quelle città: ma non ce n’erano.

Nella tradizione delle interpretazioni successive, l’idea di Giusto divenne qualcosa di grandioso e carico di responsabilità. I Giusti erano soltanto 30: una quindicina attorno a Gerusalemme e l’altra nel resto del mondo. Yehoshua’ ben Lewi aveva detto che «se Israele ne fosse stato degno, diciotto Giusti sarebbero vissuti in Terra d’Israele e dodici fuori». Ma, tentando di arrivare alla Verità, come fa la Kabbalah, cambiando i testi sacri in numeri, i Giusti aumentano: «Beati coloro che sperano in Lui» (Isaia, 30, 18), diventa: «Beati coloro che sperano nei 36». Perciò il maestro babilonese del quarto secolo Abbayyi aveva sentenziato: “Il mondo non è mai senza trentasei Giusti che ricevono quotidianamente il Volto Divino». In yiddish, i Giusti venivano chiamati “Lamedwownik”: “colui che è uno dei 36” (nel 1925 il regista Henryk Szaro girò, in yiddish, il film Lamed wow, “Uno dei 36”, con l’attore Janas Turkow).

I giusti quindi sono quegli individui nascosti che sono il fondamento del mondo, lo sostengono e lo salvano. Una sorta di “agenti in sonno” di Dio. In ciascuna generazione esisterebbero un certo numero di Giusti pari per dignità ad Abramo, Isacco e Giacobbe. I Giusti spesso sono inconsapevoli di esserlo, oppure se ne stanno nascosti, mascherandosi in tutti i modi (a costo di comportarsi esattamente al contrario di come dovrebbe fare un Giusto: se uno agisce in modo molto malvagio, paradossalmente, potrebbe essere proprio lui il Giusto!). Del resto, un Giusto nascosto muore nel momento in cui viene scoperto. Nel movimento hassidico, lo Zaddik (il Giusto) era un capo carismatico, un grande maestro cui si attribuivano anche poteri sovrannaturali.

Col tempo, si comprese che si dovevano forse rivedere i criteri di perfezione legati al concetto di Giusto. Dopo l’immane e insensata tragedia dell’Olocausto, l’ebreo polacco Moshe Bejski, uno dei sopravvissuti grazie alla Lista di Oskar Schindler, decise di istituire una Commissione che valutasse, caso per caso, i comportamenti di persone che, mettendo a repentaglio la propria vita, avevano salvato almeno un ebreo dall’uccisione. Questi sono i moderni Giusti, perchè “chi salva anche soltanto una vita, salva l’umanità intera”. NelGiardino dei Giusti di Yad Vaschem, sul Monte della Memoria, a Gerusalemme, viene così piantato un albero in memoria di ciascuno di loro (Cfr. G. Nissim, Il tribunale del bene, Mondadori, Milano 2003).

I criteri di scelta dei Giusti moderni sono stati, comprensibilmente, dopo accese discussioni, adattati alla realtà di un mondo sempre più complicato, nel quale il bianco e il nero non sono quasi mai ben distinti. Anche, ad esempio, un nazista come Oskar Schindler (industriale con pochi scrupoli, beneficiario e collaboratore della macchina bellica tedesca, e dalla vita privata non proprio irreprensibile), venne ritenuto Giusto perché, ad un certo punto, dette ascolto alla sua coscienza e, mettendo a repentaglio la vita, salvò i suoi lavoratori ebrei e le loro famiglie.

I Giusti oggi non sono delle figure che riguardano soltanto la storia ebraica, ma tutti coloro che si si sono dati, e si danno da fare, anche a rischio della propria incolumità, per salvare persone perseguitate, di qualsiasi razza, fede e ideologia essi appartengno. Questi sono i criteri che stanno alla base dei vari Giardini dei Giusti, promossi dalla Fondazione Gariwo, sono in varie città d’Europa, a partire da quello del Monte Stella a Milano (2003), assieme al Comune e all’ Ucei. Nel 2012, accogliendo l’appello di Gariwo, il Parlamento europeo ha istituito la Giornata europea dei Giusti (il 6 marzo). Nel 2017 l’Italia è stato il primo Paese a riconoscerla come solennità civile, istituendo la Giornata dei Giusti dell’Umanità.

Quest’anno al Giardino dei Giusti di Milano verranno onorate cinque figure:

Liu Xiaobo (1955 – 2017) scrittore, Premio Nobel per la pace 2010 e anima di Carta 08, il manifesto per lo Stato di diritto nella Cina comunista. Incarcerato nel 2009 viene rilasciato soltanto quando la sua malattia è in fase terminale;

Liu Xia (1961) poetessa, pittrice e fotografa, voce per i diritti umani in Cina, ha condiviso l’impegno per la democrazia del marito Liu Xiaobo;

Dag Hammarskjöld (1905 – 1961), Segretario generale dell’Onu, Nobel per la pace, “al servizio dell’umanità”. Con la sua “diplomazia preventiva” intervenne in favore di diverse popolazioni minacciate dai conflitti;

Ruth Bader Ginsburg (1933 – 2020) giudice liberal della Corte Suprema degli Stati Uniti e pioniera della parità di genere;

Carlo Urbani (1956 – 2003) medico italiano, fu il primo a identificare e classificare la SARS, combattendola sul campo e rimanendone mortalmente infettato a Hong Kong.

Tornando alle “azioni contrarie al Male”, è ovvio che il discorso vada allargato a considerare personaggi che hanno predicato, e predicano, la pace e la tolleranza, la giustizia e la solidarietà, mettendole al centro delle proprie azioni politiche e sociali. È come se ora si sentisse la nacessità di guardare più avanti e immaginare di poter considerare Giusti anche coloro che pongono le basi per la pacifica convivenza tra le persone e i popoli e si battono per un mondo nel quale l’odio e la sopraffazione non abbiano più la possibilità di prevalere.

Oggi si parla anche dei “Giusti in anticipo”: di coloro che hanno seminato e seminano quelle pianticelle che fermeranno l’odio. È un po’ un ritorno all’antica concezione dei Giusti: una sorta di Atlanti che sorreggono, con il loro pensiero e la loro azione, il nostro mondo. Basta un esempio come quello del drammaturgo Václav Havel, che è stato artefice di una resistenza non violenta al totalitarismo, dell’abbattimento non traumatico del vecchio regime e della separazione pacifica di due popoli (quello ceco e quello slovacco) che, malgrado gli sforzi suoi e di molti cittadini dalla mente aperta, ritenevano di non poter più vivere assieme; di una battaglia ideale e politica per un’Europa basata sui valori migliori della sua tradizione. Havel ha dedicato la sua vita (con molti anni trascorsi in carcere) a far trionfare questi valori di umanità e tolleranza, per un mondo che non abbia più bisogno di gesti isolati di Giusti, ma sia il più possibile fatto di tanti, anche piccoli, individui che si relazionano in modo virtuoso tra loro, riconoscendo come guida il principio di morale pratica enunciato da Immanuel Kant: «Sia sempre l’altro il fine e mai il mezzo delle mie azioni».

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Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).