Paul McCartney ha chiamato sul palco Bruce Springsteen durante il suo concerto di giovedì sera a East Rutherford, in New Jersey, l’ultimo del tour nordamericano che lo ha impegnato negli ultimi due mesi. McCartney e Springsteen – che notoriamente è proprio del New Jersey – hanno suonato “Glory Days”, dal disco di Springsteen Born in the U.S.A., e “I Wanna Be Your Man”, dal disco dei Beatles With the Beatles. Più avanti nel concerto è salito sul palco anche Jon Bon Jovi, il secondo musicista più famoso del New Jersey, che ha cantato “Tanti auguri” a McCartney, che compie 80 anni sabato.
Da alcune settimane a Tokyo sono in corso i lavori di demolizione di uno dei palazzi più famosi della capitale giapponese: la Nakagin Capsule Tower, caratterizzata da una serie di cubi di cemento con finestre a oblò che la rendono molto simile a una pila di lavatrici giganti.
本日2つ目、通算26カプセル目の取り外しは中銀カプセルタワービルB806号室。再生を10倍速にしました。 pic.twitter.com/8SZnh6o8iJ
— 中銀カプセルタワービル保存・再生プロジェクト/ Nakagin Capsule Tower (@nakagincapsule) June 16, 2022
L’edificio fu progettato dall’architetto giapponese Kisho Kurokawa e alla sua inaugurazione, nel 1972, era considerato una struttura all’avanguardia e futuristica, simbolo del movimento architettonico del Metabolismo, creato in Giappone con l’idea che l’architettura urbana fosse un organismo da trasformare e adattare alle esigenze della società. Kurokawa aveva immaginato che le capsule avrebbero dovute essere smontate e rimontate ogni 25 anni per adattarsi alle nuove esigenze della società, in linea con lo spirito del movimento metabolista, ma nel 1997 i proprietari decisero di bocciare il progetto che prevedeva questo intervento, che sarebbe stato troppo complesso da realizzare.
Da anni la Nakagin Capsule Tower aveva diversi problemi strutturali (tra cui la mancanza di acqua calda), e un anno fa si era deciso di smantellarla per far posto a una nuova costruzione. Considerato il valore architettonico del palazzo, è stato deciso di non distruggere le capsule, ma di smontarle una per una e di donarle a musei, gallerie d’arte o istituzioni, sia in Giappone che all’estero.
2022.6.2.pm15:25
解体工事着工から52日目の今日は
通算5つめのカプセル B1104が取り外されました#中銀カプセルタワービル#nakagincapsuletower
カプセルが空を飛ぶ姿は
やっぱりものすごくかっこいい pic.twitter.com/gUzLNWyh9n— 声 (@cosplaykoechan) June 2, 2022
L’esperto di comunicazione politica Lorenzo Pregliasco ha fatto un sondaggio su Twitter su un dubbio linguistico che probabilmente hanno avuto in diversi, almeno una volta: se nella giornata di mercoledì una persona dice a un’altra «ci vediamo venerdì prossimo», intende darle appuntamento dopo due giorni oppure nove, cioè il venerdì della settimana seguente? Può sembrare ovvio per qualcuno, ma al momento le oltre seimila persone che hanno risposto al sondaggio si sono in realtà divise: il 55 per cento ha scelto la prima risposta, il 45 per cento la seconda.
Se è martedì 14 giugno e vi dico "venerdì prossimo", voi cosa capite?
— Lorenzo Pregliasco (@lorepregliasco) June 15, 2022
La posizione dell’Accademia della Crusca, l’istituzione più autorevole sulla lingua italiana, è molto netta: «l’aggettivo prossimo unito ad unità temporali» come per esempio i giorni della settimana «indica la prima unità di tempo successiva al momento dell’enunciazione. Questo significa che il mese o il giorno cui si fa riferimento nella frase è il primo che arriva rispetto al momento in cui pronuncio la frase». Anche l’enciclopedia Treccani contiene una definizione simile. Se sto parlando di mercoledì e dico «venerdì prossimo», insomma, l’interpretazione più condivisa dagli studiosi è che si intenda «fra due giorni».
Poi però esiste il piano della lingua usata tutti i giorni, in cui molte persone per semplicità ed economia del discorso si limitano a usare soltanto il giorno della settimana in questione, se non è ancora arrivato: «ci vediamo venerdì», se detto mercoledì, non lascia dubbi. Il fatto che una persona aggiunga «prossimo» genera una certa ambiguità: se non si è limitata a dire «venerdì», potrebbe pensare l’interlocutore, è perché intende il venerdì della settimana successiva.
Treccani sostiene addirittura che per essere più chiari bisognerebbe dire «venerdì prossimo venturo», dato che “venturo” significa “immediatamente successivo” e quindi eliminerebbe ogni dubbio sul termine temporale. In realtà “venturo” è una parola desueta, ormai scomparsa dalla lingua di tutti i giorni, che probabilmente oggi genera per lo più spaesamento tra chi la sente. Usare “venturo” è insomma uno di quei casi in cui l’utilizzo di una forma teoricamente più corretta può generare più che altro confusione e fraintendimenti.