Quando andrà in carcere Sallusti, parte 2

«Ho difficoltà nel darle una risposta… non ci sono criteri precisi… ma lei è l’avvocato di Sallusti?». No, non lo era: era solo un qualsiasi avvocato che era andato dai procuratori Chiara De Iorio e Nunzia Gatto dell’ufficio esecuzioni, ieri mattina, a chieder conto dell’incredibile disparità di trattamento intercorsa tra Alessandro Sallusti e altri «liberi» che siano in attesa dell’esecuzione di una sentenza di Cassazione: un iter che di norma è progressivo in ordine all’arretrato – ci vogliono mesi o anni, in altre parole – ma che per il direttore del Giornale è filato a una velocità da record a conferma della volontà «ad personam» di sbatterlo dentro il prima possibile: tanto di cappello a un percorso che fa impallidire la consuetà lentezza della giustizia italiana.

Ieri il direttore del Giornale ha dichiarato di aver ricevuto materialmente la notifica (in realtà l’hanno ricevuta i suoi avvocati) e ha già dichiarato che non invocherà l’affidamento ai servizi sociali che avrebbe 30 giorni per richiedere: e siccome le misure alternative sono soltanto «a richiesta», significa che la Procura di Milano dovrebbe arrestarlo in ogni caso. Resta il mistero – si fa per dire – della corsia di sorpasso per Sallusti, personaggio «socialmente pericoloso» che potrebbe reiterare altri temibili «omessi controlli» circa articoli neppure scritti da lui: un mistero reso più fitto dal fatto che svariate fonti dirette – della Procura e della Cassazione – pochi giorni fa avevano confermato proprio a Libero che i tempi delle notifiche in Italia sono quelli che sono: da due mesi per i detenuti a due anni per i «liberi» come Sallusti. Nel suo caso, però, la Cassazione è del 26 settembre e l’ordine di carcerazione è arrivato ieri: com’è possibile?

«Noi abbiamo una segreteria che è formata da diverse persone, in relazione alle quali c’è anche una cura, diciamo, dell’attività di registrazione che dipende dal soggetto a cui si applica… se capita con me ha dei tempi, se capita con qualcun altro ha altri tempi… ho una difficoltà nel darle una risposta, dipende anche dal momento in cui l’estratto è arrivato, da chi si è trovato a lavorarlo…». Così raccontava il procuratore Nunzia Gatto, ieri mattina, all’avvocato impertinente che era interessato a sapere perché i suoi assistiti, per l’esecutività di una sentenza di Cassazione, avevano dovuto aspettare tre anni. Il procuratore De Iorio assicurava che, dal momento in cui giunge all’ufficio l’estratto giuridico, in genere la notifica è pronta entro una settimana; ma l’avvocato insisteva: «Voi impiegate una settimana da quando ricevete il fascicolo, chiaro, ma come mai il fascicolo di Sallusti vi è già arrivato? Come mai il fascicolo ha superato tutti gli altri, se all’ufficio-posta mi hanno detto che hanno due mesi di arretrati per i detenuti e due anni di arretrati per i «liberi»?».

E qui la discussione si è un po’ arenata, anche perché è venuto fuori che la notizia della notifica giunta a Sallusti era stata anticipata da Vanity Fair: «Non so, non lo leggo… Bisognerebbe fare la tara a quello che scrive un giornalista… bisogna appurare se è vero», chiosava la Gatto. Nota: era vero, al di là di qualche strafalcione tecnico scritto da Vanity Fair. Però il Corriere della Sera magari lo leggono: «Mi ha molto stupito», ha detto a quel punto Nunzia Gatto, procuratore aggiunto e capo dell’ufficio, «che quattro giorni fa, sul Corriere, quotidiano che io leggo regolarmente, è uscita una lamentela di Sallusti che dice: “Io non ho ancora ricevuto nulla, è tutto nel cassetto della procura… non hanno neanche il coraggio di spedirmela…” ». A essere precisi, Sallusti aveva detto – all’Ansa – che «non hanno il coraggio di renderlo esecutivo essendosi resi conto dell’errore che hanno fatto, si vergognano». Morale, il provvedimento diveniva esecutivo poche ore dopo: almeno questo è appurato. Ora – prima domanda – che cosa succederà? Lunedì i legali di Sallusti – questo ha detto lui – depositeranno una dichiarazione di rinuncia a qualsiasi ipotesi di pena alternativa o domiciliare. Da qui la seconda domanda: può, una procura, disporre d’ufficio una pena alternativa o domiciliare senza il consenso o l’esplicita richiesta del condannato? Pare di no.

(Libero, 20 ottobre 2012)

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera