La sindrome

«Pronto?»
«Eh»
«Volevo dirti: compra anche le patate»
«Uhm…»
«Che c’è? Non le vuoi le patate?»
«No, è che… meglio se ne parliamo di persona»
«Eh? Di che?»
«Di quello che hai detto»
«E che ho detto?»
«Di comprare quelle cose lì»
«Cioè? Le patate?»
«Sì»
«Non ho capito: hai detto che dobbiamo discutere di persona delle patate?»
«E finiscila di fare nomi»
«Ma che nomi? Manco le patate posso nominare? Tu sei malato»
«E tu sei cretina. Lo sai quante intercettazioni fanno in Italia ogni anno, eh?»
«Ma che c’entra?»
«Lo sai che basta un attimo per finire sui giornali? Sputtanati, rovinati, finiti»
«Ho capito, ma che c’entri tu? Tu sei un panettiere di Avezzano»
«Non vuol dire, basta un attimo per finire nel tritapatate giudiziario»
«Tritacarne»
«Comunque basta un pretesto qualsiasi. Le patate magari fanno parte di un gergo, di un codice. Indagano su ogni cosa: Tangentopoli, Affittopoli, Calciopoli, Vallettopoli… »
«…Patatopoli… »
«Sì, fai la spiritosa: sta di fatto che in Italia, ormai, non si può più neppure telefonare»
«Ma neanche parlare: è da tre sere, a cena, che ci costringi a tacere»
«Ci sono le intercettazioni ambientali, testona: ieri la mia voce si è sovrapposta a quella di Berlusconi, sai che potrebbe significare?»
«Ma lui era al telegiornale»
«Non vuol dire, bisogna stare accorti, è un attimo e ti blindano»
«Senti»
«Eh»
«Piglia anche le arance, già che finirai in galera»

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera