Un serio problema di democrazia

In Italia, secondo me, c’è un serio problema di democrazia.

1) Un governo avrebbe il diritto/dovere di governare sino alla fine del suo mandato e non sulla base di un monitoraggio in tempo reale dei suoi consensi. Questo in linea di principio: ma è un principio importante, altrimenti nessun governo potrebbe mai prendere misure impopolari e tuttavia necessarie; quelle, cioè, che spesso hanno svoltato l’economia di una nazione.

2) Un governo che non abbia più la maggioranza parlamentare è giusto che vada a casa. Dopodiché, secondo il comune sentire e una sorta di legislazione materiale, è giusto che si torni a votare per legittimare un nuovo governo. Un governo «tecnico» e sostenuto da pochi oligarchi – peggio ancora se stranieri – è un problema per la democrazia. Un governo allargato a forze che alle elezioni non figuravano nello schieramento vincente (l’Udc tra queste) è un problema per la democrazia. L’unica vera obiezione a che si torni a votare, ora, non riguarda «urgenze» dettate dall’estero, ma che si andrebbe alle urne con il famigerato Porcellum, che a sua volta rappresenta un altro problema per la democrazia.

3) Questo sistema elettorale, che a parole nessuno vuole ma che in concreto vogliono tutti, ha oltretutto tre cose: ci ha donato il celebre Parlamento dei nominati, ha svuotato il Parlamento delle sue prerogative e soprattutto ha fatto sì che i maledetti partiti appaiano più legittimati degli uomini che li compongono. Ecco perché i transfughi rappresentano gli stipendi che ricevono ma non certo il seguito popolare che non hanno. Ed ecco perché sono traditori due volte: del mandato popolare (che appartiene al partito, non a loro) e di coloro che li hanno messi in lista. Questo vale per chiunque, compreso chi è passato dall’opposizione alla maggioranza.

4) Siamo alla sovranità internazionale: la democrazia e l’economia sono commissariate rispettivamente dai mercati, dalle banche e da alcune nazioni che possono decidere se il nostro debito pubblico debba strozzarci oppure no. La loro decisione, all’apparenza, è vincolata al presidente del consiglio che avremo e alle riforme che intenda fare.

5) L’attuale presidente del consiglio ha detto e scritto che queste riforme le vuole comunque fare: eppure è ritenuto di scarsa credibilità dalla comunità internazionale e dai partiti di opposizione. Gli stessi partiti di opposizione, quelli che appunto ritengono Berlusconi di scarsa credibilità, non sono viceversa in grado di fare le riforme che Berlusconi dice di voler fare. Pare chiaro che far fuori Berlusconi, per l’opposizione, rappresenti il fine e non il mezzo.

6) Se anche Berlusconi facesse un cosiddetto passo indietro o «di lato», come direbbe Maroni, è ridicolo pensare che gente come Renato Schifani o Gianni Letta possano fare delle riforme che Berlusconi non possa. Se Berlusconi se ne andasse, il contraccolpo positivo che potrebbe venirne dai mercati durerebbe tre giorni, questo senza contare – se non viene ritenuto un ragionamento troppo scolastico – che in Italia è Berlusconi ad avere preso milioni di voti, non Schifani o Letta. Per non parlare, a proposito di democrazia, dei voti che non ha preso un tecnocrate alla Mario Monti.

7) In tutto questo, a proposito di democrazia, sono riuscito a non citare neppure una volta il ruolo della magistratura.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera