Facile profeta

Scriversi addosso è inelegante, però sono stufo di prendermi randellate solo perché coltivo con anticipo ciò che altri vendemmiano anni dopo. Questo lo pubblicai il 17 ottobre 2008 sul Riformista:

Emilio Fede non mi fa più ridere. Da anni. Non me ne frega niente che sia un sagoma, un personaggio, un elemento imprescindibile del paesaggio: non è imprescindibile, e il paesaggio ormai fa schifo. Ecco: forse il Riformista potrebbe essere l’ideale per scrivere due paroline su di lui: perchè uno scranno decente, per il resto, non c’è. Non c’è a sinistra, laddove da quindic’anni ne decantano soltanto un macchiettismo da riproporre di continuo nel bastante verismo dei Blob. Non lo troverete su l’Unità o su Repubblica, e non perché sia una battaglia persa: perché è una battaglia vinta, dicono che Retequattro non ha un telegiornale, stop, chi deve saperlo lo sa, chi non l’ha capito non lo capirà mai più.

E a destra? La battaglia qui è persa davvero, si fanno spallucce, che ci vuoi fare, suvvia, è Fede, la Terra gira, il mare è blu e al Tg4 c’è Emilio. Un quotidiano come Libero non l’attaccherà mai, figurarsi il Foglio, figurarsi al Giornale: direbbero subito che qualcuno vuol soffiargli il posto. Lo direbbe lui, anzitutto. Telefonerebbe a tutti. Neppure il Corriere o La Stampa o altri giornali ormai sprecheranno una parola contro di lui: tempo perso, e poi sia chiaro: ci vuole rispetto, cioè dico, Fede è stato un grande giornalista, quarantacinque anni fa fu inviato in Africa, nel 1976 ha condotto il Tg1.

Neanch’io, un paria, potrei scrivere di Fede: perchè lavoro a Mediaset, dove a loro volta di Fede non ne possono più da anni, ma non possono farci niente. Resistono. Tengono duro. Ora Fede telefonerà a tutti. Anni fa, dopo che avevo criticato durissimamente Maurizio Costanzo, i vertici di Mediaset mi dissero che se non l’avessi piantata mi avrebbero licenziato: gli opposi l’articolo 21 della Costituzione (Costanzo è un pezzo di storia della Tv, prima che un dipendente aziendale) ma per educazione smisi comunque. Con Fede è diverso, non c’è mica da farne una campagna o da scriverne oltre. Ho già finito, non c’è altro da dire. L’altro giorno Fede ha detto che Roberto Saviano «si propone molto», incassa «tanti bei soldini», e, di come si vive da scortato, beh, «io potrei raccontarglielo meglio». E che fai? Niente. Ti vergogni. Per lui e per un Paese. Per un telegiornale sacrificato al climaterio di un uomo solo. Per un’intera redazione abbruttita dai capricci di un direttore che cambia segretarie e giornaliste come cravatte, dove professionisti validissimi hanno dovuto andarsene o cavarsela in qualche modo. Ridere no, non ridi più. Emlio Fede ha avuto imperdibili occasioni per lasciare da eroe, passarelle degne del giocatore che sa cogliere l’attimo: avrebbe avuto il plauso dei grandi. Invece è ancora lì. E noi qui.

Per chi abbia voglia di proseguire, un pezzo-lettera pubblicato il 12 marzo 2008 sempre sul Riformista:

Egregio Direttore, vorrei raccontarmi che anche ‘stavolta voterò questo centrodestra’, ma non ci riesco. Vorrei soprattutto eludere quello che ieri mattina mi diceva un importante direttore di giornale: «Le liste del Pdl non sono brutte, fanno proprio vomitare». Vorrei non aver ascoltato anche quanto mi diceva, l’altro ieri mattina a Omnibus, il professor Alessandro Campi: «Oggi i parlamentari hanno una funzione tecnica che nella maggior parte dei casi è spingere un bottone. Io, una personalità che sia veramente tale, veramente indipendente, non ce la manderei in Parlamento. In questo Parlamento servono persone fedeli, capaci di star sedute anche per 15 ore».

E io gli avevo risposto così: «Ma allora di questo passo arriveremo a selezioni tipo casting, come per la Tv». Scherzavo, ma nel pomeriggio eccoti la telefonata di un ex parlamentare di Forza Italia: «Guarda che i casting li hanno già fatti. Adesso non so, ma nel 1994, per le politiche e le europee, tu mandavi il curriculum e loro ti facevano la prova video. Ma poi: non l’hai vista l’Unità di oggi?». No, non avevo ancora letto che «Il Pd fa casting ad aspiranti collaboratori» e che in centinaia avevano risposto, tra questi una famosa attrice e la solita Marianna Madia. Mi ero limitato a chiedermi, sempre a Omnibus, se la ventura Camera dei rappresentanti avrebbe potuto dirsi rappresentativa; se il Parlamento alla fine debba essere il famoso specchio del Paese oppure la sua eccellenza; se davvero, a contare, ormai, sia solo un’oligarchia di cinquanta politici in contrapposizione a centinaia di spingitori di bottoni.

Tutti quesiti retorici, perché pare assodato che la nostra politica sia ormai americanizzata e che il candidato ideale sarà sempre più la risultanza di un piano di marketing: un perfetto esponente di quella che un tempo chiamavamo «società civile» e che oggi pare solo una separatezza borghese dalla politica.

Mi piacerebbe, dunque, negare che parte delle candidature del Pdl facciano espressamente schifo e che siano solamente plastilina nelle mani del capi-listone. Ma non ci riesco. Nessuno, per definizione, è indegno di entrare in Parlamento: ma quando vedi certi esclusi ti prudono le mani. Militari contro militari, imprenditori contro imprenditori, sindacalisti contro sindacalisti, handicappati contro handicappati, e portavoce, parenti, segretarie, scienziati contro scienziati: va bene tutto. Ma ditemi perché dev’esserci la moglie di Emilio Fede, ditemi perché dev’esserci la chirurga di Berlusconi e la fisioterapista di Berlusconi quando di converso hanno spazzato e non sostituito praticamente tutti i liberali (da Alfredo Biondi a Egidio Sterpa a Lino Jannuzzi ) per infilare oltretutto anche il tassista Loreno Bittarelli, capopolo della cricca corporativa più illiberale d’Occidente.

Non hanno candidato Paolo Cirino Pomicino, ma abbiamo la giornalista del Tg4 Gabriella Giammanco, e Gabriella Carlucci, Elisabetta Gardini, l’avvocatessa Nunzia Di Girolamo già indicata come «la nuova Mara Carfagna» come se ci fossimo già abituati alla vecchia. Chissà che hanno pensato Elio Vito e Antonio Martusciello nel vedersi esclusi a vantaggio della nota conduttrice Elisa Alloro: questo mentre Maurizio Gasparri aveva il fegato di spiegare che le sciampiste stanno tutte a sinistra, dove pure abbondano segretarie e portavoce che di politica capiscono poco ma di accondiscendenza già di più. In compenso nel Pd non c’è l’islamista moderato Khaled Foud Allam, e non c’è neppure Nando Dalla Chiesa: ma c’è Massimo Calearo, che sino a due settimane fa aveva la suoneria del cellulare (sul serio) con l’inno di Forza Italia.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera