Il linguaggio normale di Saviano

(questo articolo è uscito anche su Libero)

È finito Vieni via con me e vorrei difendere Roberto Saviano ancora una volta, se non dispiace. Perché l’errore di noi tutti – la prendo alla larga – resta il cretinismo bipolare, la tentazione cioè di arruolare nell’esercito nemico (esercito e nemico: già queste sono espressioni da cretini) chiunque abbia delle opinioni variegate e non sia una caricatura servile della nostra parte politica o culturale.

In parecchi, quando Saviano commise l’errore di citare solo la Lega associata alla ‘ndrangheta, sentirono probabilmente un qualche sollievo: finalmente era inciampato a dovere, finalmente aveva creato un clamoroso precedente così da poterlo incasellare definitivamente «a sinistra» in compagnia dei vari professionisti anti-sistema e anti-Berlusconi. Saviano? Capitolo chiuso, catalogato: è uno di quelli lì, è smascherato, è un sinistro, magari lo vedremo a qualche Vaffa-day con Beppe Grillo e compagnia sghignazzante, magari lo candiderà il Pd, queste cose.

E invece no, la cretinata sta proprio qui: e caderci è facile, anche perché restiamo una nazione di tifosi. Criticare Saviano per i suoi errori non deve impedire di accorgersi che resta di un’altra pasta: come dimostra l’antipatia malcelata che ormai lo circonda proprio tra gli idoli della sinistra forcaiola, quella che non ammette sfumature e dirime ogni questione senza incertezze. L’ha notato giustamente anche il Riformista: già uno come Beppe Grillo – il Wikileaks di Sant’Ilario – durante uno spettacolo ha detto che Saviano è sostanzialmente colluso perché «non fa nomi e il suo spettacolo lo produce Endemol», ergo «Berlusconi gode come un riccio». E Santoro? Resta su chi vive, però la settimana scorsa si è divertito come un matto mentre il suo Vauro sparava una vignetta contro gli «Interminabili monologhi di Saviano» e citava una sua «Logomorrea». E Travaglio? Forse è il caso più emblematico: non attacca frontalmente Saviano – non può permetterselo – ma non gli ha risparmiato stizzite pagelline settimanali e soprattutto il rimprovero di non affondare i denti sui temi che contano, a suo dire: cioè le inchieste del suo amico Antonio Ingroia, i casi Dell’Utri, Berlusconi, le trattative che non esistono, mica Falcone, mica la n’drangheta o Piergiorgio Welby. È giunto a scrivere, Travaglio, che certi resoconti «saprebbe farli qualunque cronista»: come a non spiegarsi il perché Saviano faccia tuttavia ascolti stratosferici.

Forse è vero, forse c’è di mezzo anche qualche gelosia tra primedonne dell’anti-berlusconismo, robetta, guerricciole di parolame mediatico, attriti tra collaudate fasce di mercato editorial-politico-antipolitico. Ma non può essere tutto qui. Gomorra non è soltanto un’inchiesta coi controfiocchi che ha rivelato al mondo delle cose che neanche tanti giornalisti sapevano, in opposizione a inchieste su trattative e mafie immaginifiche che non sono neppure mai esistite. E Saviano non ne è semplicemente il profeta, colpevole di parlar male della Campania e di non essere ancora stato ammazzato come ha detto quel poveraccio di Pino Daniele.
Il punto è che Saviano ha venduto milioni di copie e ha avuto milioni di spettatori proprio non raccogliendo i dettati di chi a sinistra, avendo gioco facile con una destra imbelle, ha cercato di fagocitarlo culturalmente. Saviano segue la sua strada e per il resto se ne fotte: pubblica con Mondadori perché ha creduto in lui e perché è la miglior casa editrice italiana, fa programmi su Raitre e con Fabio Fazio – ottenendo, comunque la si veda, un successo strepitoso – perché alla fine non si capisce con chi altri avrebbe potuto farli: e il centrodestra guardi e impari, visto che in alternativa non propone mai nulla di serio. Saviano sarà anche tendenzialmente di sinistra, ma non abbastanza perché la destra lo liquidi e la sinistra lo assimili e i cretini lo possano intruppare. E quelli come lui, in questo Paese, o sono dei paraculi sterili o sono degli indipendenti dalla vita durissima: perché parlano un linguaggio tutto sommato normale, non gettano croci addosso a qualcuno ogni tre secondi, spesso raccontano verità scomode e ambivalenti: e sono tacciati, proprio per questo, anche per questo, di collaborazionismo col nemico.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera