Siamo i criceti di Bossi

Sparate? Delirio? Campagna elettorale? La tentazione è sempre quella: definire la strategia di Bossi come una perfetta assenza di strategia, limitarsi cioè a registrare che c’è un signore di Cassano Magnago che usa un registro per la sua gente e un altro per i colleghi di Roma, ladrona o meno. È da una ventina d’anni che i giornalisti trasformano in notizie delle sparate casuali, umorali, contingenti, roba che allo stesso Bossi importa zero che finisca sui giornali: domenica sera era a Lazzate – non a Versailles, e neppure al Tufello – e allora ha detto che il Gran Premio resta in Padania, anzi, che «Monza non si tocca e a Roma possono correre con le bighe», anzi, che la sigla SPQR (Senatus Populusque Romanus) per lui vuol dire solo «sono porci questi romani», e giù applausi.

Diverso è stato quando in passato ha parlato di bandiera, di secessione, di valligiani incazzati e pronti a marciare con armi croate verso la Capitale: ma per noi, non tanto per lui. Così come diverso, in concreto, è un ministro dell’Interno come Roberto Maroni che ieri ha ribadito di voler espellere tutti quei rom e quei sinti comunitari – privi della cittadinanza italiana – che non rispondano ai requisiti che l’Europa prevede per gli ospiti di qualsiasi paese. Diverso e al tempo stesso uguale: è anche questo, detto freddamente e senza trasporto, ciò che fa della Lega una forza differente. E non soltanto per la nenia del radicamento sul territorio, manco fossero formiche verdi.

È differente, la Lega, perché Bossi è sempre in campagna elettorale e non lo è mai; è differente perché Bossi non ha certo il problema di Gianfranco Fini, che vuole piacere a tutti o quasi; lo è, differente, perché lui di sondaggi non ne commissiona e può bastargli fare quello per cui i suoi parlamentari sono stati eletti: tipo cacciare i rom e portare in fondo la benedetta riforma del federalismo, dopodiché chi se ne frega di Cosentini, processi, lodi – a lui interessa Lodi, al massimo – perché intanto la barra rimane dritta. Elezioni? Benissimo, così fa il pieno e si libera dei vari tentenna. Niente elezioni? Benissimo, così entro maggio arrivano i famigerati decreti attuativi sul federalismo. Intanto, per non sbagliare, fa una perenne campagna elettorale – cioè si comporta normalmente – così che sia chiaro a tutti che cosa significherà andare al voto ma anche non andarci: che loro sono lì, non mollano e tutto sommato se ne fottono anche di cognati, cucine della sorella e altri problemi istituzionali.

Ieri, a metà pomeriggio, l’uscita di Bossi sull’SPQR (Sono Porci eccetera) registrava qualcosa come duecento lanci d’agenzia: reazioni, controreazioni, querele, denunce, sfide, richieste di scuse, indignazioni da Bruxelles, altre da Tor Bella Monaca, ministri del Pdl a precisare questo e quello, serie proposte di perizia psichiatrica, i giornalisti gasati perché anche per oggi (ieri) c’era l’ennesima cazzata da rilanciare, ingigantire, trasformare in caso con approfondimenti, ricostruzione dei precedenti, analisi dietrologiche: che dirà Silvio, che farà Giorgio? E Ballarò? Oddio, e Annozero? Questo mentre Bossi era a Lazzate, domenica sera, e a Lazzate è rimasto. Lui è ruota, noi i criceti.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera