Post fascista

All’ingresso di incontri pubblici o privati, fosse per me, scriverei questo: «Avviso. Chiunque approfitterà della libertà di parola per sabotare quella altrui verrà preso a calci nel culo. Grazie».
Una cordiale impronta di stivale, fosse per me, andava perciò ben stampata sul deretano di tutti i fascistelli che martedì scorso hanno impedito a Marcello Dell’Utri di prendere la parola durante una rassegna culturale a Como. Di Pietro aveva subito commentato: «Zittiamo quelli come Dell’Utri in tutte le piazze d’Italia, perché non è lì che dovrebbero stare, ma in galera». Fosse per me, stesso trattamento anche per lui: un anfibio direttamente sul suo culone.
E stesso trattamento, naturalmente, anche per i venti deficienti a Cinque stalle che ieri, a Torino, volevano far tacere Renato Schifani alla festa del Pd: fischi, urla e accuse di essere «mafioso» e «colluso». Li hanno zittiti: hanno fatto bene. Non è che si possono tollerare queste sanguisughe che sfruttano le occasioni altrui per farsi delle manifestazioni antipolitiche a costo zero.
Il paradosso è lo stesso di certi islamici che approfittano della democrazia per fare propaganda contro la democrazia. Certi grillini, allo stesso modo, approfittano della libertà di parola per zittire, in casa d’altri, chi ha libertà di parola. A zampate, vanno presi.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera