Il processo breve c’è già

Il processo breve c’è già, il processo breve funziona: l’hanno sperimentato quei giudici che a Milano hanno sbrigato l’Appello del caso Mills in un solo mese e mezzo, per esempio. Il processo lento, invece, nella stessa Milano impiegava una media di sette anni per mandare in primo grado un processo per usura. Il processo lento, nel resto d’Italia, impiegava un minimo di cinque anni per un penale in primo grado, da otto a trent’anni per un civile, sette anni e mezzo per un divorzio, quattro anni per un’esecuzione immobiliare. Il processo breve, invece, ha fatto filare il primo grado del processo Mills per la bellezza di 47 udienze in meno di due anni: hanno lavorato talvolta sino al tardo pomeriggio, talvolta anche nei weekend. E’ lo stesso processo breve che ha visto depositare le motivazioni della sentenza d’Appello in soli 15 giorni anziché in 90: così il ricorso in Cassazione è stato velocizzato.

Ma non c’è soltanto il solito caso Berlusconi. Il processo breve, inteso come discrezionalità della magistratura nel dare impulso ai processi che preferisce, ha chiuso il caso Cogne in tre anni, e, in generale, corre come un treno ogni volta che i giornali ne scrivono. C’è stata gente, durante Mani pulite, che è stata giudicata nei tre gradi di giudizio in soli due o tre anni: tipo Sergio Cusani, Walter Armanini, Paolo Pillitteri, Bettino Craxi, socialisti e democristiani vari. Altri imputati, dopo dieci anni, erano ancora fermi al primo grado: come mai? Forse è perché mancava la carta per le fotocopie, o perché il cancelliere era in malattia, insomma le solite cose che secondo l’Associazione nazionale magistrati costituiscono i veri problemi che ci vedono in coda a tutte le classifiche sulla giustizia. Il processo lento, a Napoli, è quello che ha disinteressato la magistratura circa le barricate abusive, le aggressioni ai pubblici ufficiali, i reati di resistenza, danneggiamento, incendio e occupazione: mentre il processo breve, intanto, bloccava gli impianti di combustibile derivato dai rifiuti, chiudeva il termovalorizzatore di Acerra, interdiva le aziende Fibe e Fisia: tutto in tre secondi. Il processo breve è fatto così: se c’è qualche comitato a fare dimostrazioni, per strada o meglio ancora in televisione, va come un treno. E’ sensibile.

Gli amici del processo lento dicono che il processo breve sarebbe come un’amnistia, dicono che finirebbero estinti anche il processo per il crac Parmalat, il processo per il crollo della Casa dello Studente a l’Aquila, il processo alla Thyssenkrupp per il rogo di Terni, quello per la scalata di Antonveneta, eccetera. Gli amici del processo lento, però, non si chiedono perché accidenti questi processi stiano durando così tanto, non si chiedono mai se non ci sia, per caso, anche qualche umana responsabilità . Macché. Manca la carta per le fotocopie, ti spiegano. La cancelliera è in maternità, insistono. E’ colpa del governo che fa le leggi ad personam. Non c’è altro.

Che poi: le leggi ad personam, Berlusconi, le fa eccome. Tuttavia – volendo essere cinici – se assieme ai suoi problemi, Berlusconi, risolvesse anche quelli di un Paese, come dire: se ne potrebbe parlare. Alcuni, non nascondiamolo, piuttosto preferiscono che le cose vadano male a tutti, e che la giustizia faccia schifo, purché vadano male a Berlusconi e la giustizia faccia schifo anche per lui. Se il punto fosse questo – e qui siamo semiseri – ci sarebbe da auspicare conflitti d’interesse berlusconiani in ogni campo possibile: sanità, ferrovie, infrastrutture eccetera; risolva pure i problemi propri, se appartengono a tutti. E’ una sciocchezza, l’abbiamo detto: ma è un’illusoria sciocchezza anche pensare – specialità delle anime belle – che le leggi non siano quasi sempre ad personam, a modo loro: è la base del lobbismo legale. Se faranno il testamento biologico, per il resto, sarà per il caso Englaro; hanno fatto un referendum solo per Tortora; ci sono leggi che prendono il nome di Valpreda, Bacchelli, De Lorenzo, Previti, Carnevale, Caselli, persino Santoro. Queste leggi, a distanza di anni, restano divise in due sole categorie: leggi buone e leggi cattive.

Anche la Giustizia – dettaglio – non è solo un pallino di Berlusconi. La Giustizia è un nodo che angustia il Paese da decenni, è una zeppa sulla strada di uno sviluppo pieno, è il sostanziale schifo in cui è ridotta ormai da decenni. Un innocente incarcerato ingiustamente resta la più cocente sconfitta di uno stato liberale, e nondimeno delle carceri da sudamerica. La normativa sul processo breve si può discutere come tutto a questo mondo: ma è qualcosa, è un tentativo. Il Partito democratico, intanto, non ha nessuna riforma della giustizia da opporre a quella berlusconiana. Nessuna. La posizione dell’opposizione (forcaioli compresi) resta la medesima già ribadita dell’Associazione nazionale magistrati: «Non è così che risolvono i problemi», cose del genere. Li risolveranno loro, i problemi che hanno creato.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera