Elogio di Rosy Bindi

La renderanno simpatica per davvero, anzi, sarebbe già diventata un idolo delle folle se lei stessa ogni volta non provvedesse a riperdere posizioni per via di una certa sua arroganza connaturata. Ciò detto, tutto sommato, quando in Parlamento c’erano solo donne brutte, si stava meglio: almeno avevi la certezza che non passavano di lì per caso e che dei meriti dovevano averli per forza. Mentre ora, a vari livelli, sei costretto a guardare con sospetto delle signore magari bravissime ma che hanno l’handicap di essere belle; delle signore, cioè, che sono riuscite in politica non perché sono belle, ma nonostante lo siano. Se non sfruttata come sappiamo, la bellezza infatti può ancora rappresentare un limite, almeno da noi. Naturalmente si parla di eccezioni, perché per il resto – dalle circoscrizioni a Montecitorio – l’apparenza mediamente non inganna, e le donne molto belle che fanno politica sono quasi tutte delle capre. Inutile strillare: il risultato delle quote rosa vere o fittizie, delle quote marketing elettorale, delle quote copertina o tv, delle quote «noi-sì-che-siamo-moderni», beh, eccolo qui il risultato. Il reclutamento di femmine a manciate, durante la ultime campagne elettorali, era una mera variante quantitativa, non qualitativa: erano «tot donne» da sbattere in lista. Sicché non ci sono mai state, come oggi, tante donne in politica. E la vera emancipazione ha fatto soltanto passi indietro.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera