Criceti nella ruota

Ci siamo: dopo i paesi anglosassoni – e dopo i falliti tentativi, da noi, del ministro Girolamo Sirchia – anche in Germania si discute di far pagare più tasse agli obesi e di vietare i fast-food ai minori: più o meno come dovrebbe accadere ad alcolisti, ai fumatori e a tutte le categorie le quali – questa la tesi – pesino maggiormente sul sistema sanitario nazionale per via di colpe proprie. L’alternativa, come si discuteva nel Regno Unito, è che questi derelitti siano curati per ultimi o quantomeno in coda a pazienti con uno stile di stile reputato più accorto. Sarebbe un giro di vite come si dice storico, giacché – prima osservazione nostra – stravolgerebbe il caposaldo secondo il quale non sono possibili discriminazioni tra pazienti neppure in caso di malattie presuntamente auto-inflitte. E qui infatti sorge il primo problema: come si fa a stabilire che una malattia sia davvero auto-inflitta? Non c’è medico disposto a negare che il patrimonio genetico sia causa predominante nell’insorgenza di qualsivoglia patologia, il che spiega perché ci sono novantenni che fumano due pacchetti al giorno e ventenni salutisti coi tumori ai polmoni; così pure, maliziosamente, non si mancherebbe di far notare che il danno auto-inflitto più frequente è oneroso resta quello dello sciatore fratturato, del calciatore domenicale stirato – gli ospedali ne ridondano – e del jogger che per una vita intera ha corso respirando benzene. Ma questi discorsi sono reputati evasivi o dilettantistici. Cosicché si sta operando una discriminazione tra cittadini e cittadini, ed è questo a trasformare uno stato laico in stato etico senza troppi patemi d’animo. Del resto lo sprone è forte: hanno tirato in ballo i soldi, non il salutismo.
I criteri di calcolo dell’obesità peraltro appaiono quantomeno discutibili perché cambiano di continuo: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha determinato delle soglie differenziate tanto che il calcolo della massa corporea, cambiato nel 1998, in Oriente ha portato il numero degli obesi a raddoppiare in una notte. In Italia se ne cominciò a parlicchiare quando il ministro propose razioni più modeste nei piatti dei ristoranti, coi panini e i tramezzini a non dover superare i cinquanta grammi: ci fu una mezza sollevazione popolare. Ma ci arriveremo anche noi, sono passaggi obbligati anche se certe campagne neosalutistiche seguiteranno a trionfare più nei paesi protestanti e meno qui nel suk latino, dove si scontreranno sempre con la nostra consueta arte della mediazione. Ma la strada è quella. Il diritto internazionale ovviamente vieta di discriminare le condizioni fisiche di una persona e le sue probabilità di contrarre malattie, e così pure vieta che le aziende possano indagare in tal senso le le persone che vogliano assumere: è per questo che sia lo Stato che le aziende stanno puntando tutto sui comportamenti privati dei singoli, magari sull’onda di autentiche fobie culturali. In alcuni stati americani, per dire, non assumono scapoli (e non mancano studi secondo i quali gli scapoli vivano meno) mentre in Canada non assumono chi faccia uso di profumo: si sono convinti che gli odori e i profumi (persino l’incenso delle chiese, denominato «incenso passivo») equivalgano a emissioni di sostanze comunque patogene. Dunque il ciccione, il fumatore, il bevitore, poi chissà, il caffeinomane o l’interista: ragioni in fondo se ne trovano di ottime. Si parla di prevedere la scritta «nuoce gravemente alla salute» per le bottiglie di vino e sulle merendine.
L’importante è sapere dove stiamo andando. Negli Usa, un terzo dei datori di lavoro chiede esami del sangue e delle urine ai colloqui di assunzione: si cercano nicotina o tracce di altri comportamenti anche legali. In Europa, con tanto di sentenza, è già possibile non assumere obesi e fumatori. Si vogliono declassare le scelte personali a curriculum di idoneità sociale, si stanno spalancando le porte a una definitiva intromissione dello Stato-madre nel nostro privato, si vuole ufficializzare una Sanità pubblica che inglobi ormai la dimensione sociale e comportamentale della nostra vita, un pensiero unico e igienizzato che individui una devianza in ogni presunta causa di insalubrità, in ogni stress, in ogni dipendenza, in ogni potenziale instabilità affettiva.
Esagerazioni? Per niente. Siamo alle derive ideologiche, alle pubblicità progresso, ai neosalutismi religiosi semplicemente improbabili, veri e propri fanatismi di gente che spesso vive di diete e palestre e ginnastiche. In Arkansas, le autorità scolastiche sono tenute a pesare gli studenti e a indicare l’Indice di massa corporea: e questo, notare,  in una civiltà che è sempre spiccata per la salvaguardia delle libertà individuali e non certo per modelli di riferimento tipo il Gesundheitsplifcht nazista, il «dovere di mantenersi sani» già caro al noto salutista Adolf Hitler. L’’Organizzazione Mondiale della Sanità imporrà forti limitazioni al contenuto di zucchero e grassi in alcuni prodotti dei quali limiterà peraltro a pubblicità. Non bastasse, adesso è spuntata una ricerca secondo la quale il fumo da cucina uccide ogni anno un milione e mezzo di persone, soprattutto donne e bambini che morirebbero per esalazioni che equivarrebbero, respirate per un giorno, a due pacchetti di sigarette.
Insomma la strada è segnata: ci avviamo alla repressione di ogni stile di vita che pesi sui bilanci statali. Pare che gli obesi costino centinaia di milioni di euro. Negli Stati Uniti. Hanno persino calcolato che la sedentarietà impone allo Stato un costo di 24 centesimi per ogni miglio che – attenzione – una persona non corra. E ora di corsa in palestra, a correre come criceti nella ruota.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera