I compensi Rai nei titoli di coda, una cialtronata

Trovo ridicola e cialtronesca la decisione della Commissione di Vigilanza Rai di trasmettere i compensi dei conduttori nei titoli di coda delle trasmissioni, esito raggiunto grazie a un emendamento votato all’unanimità da una maggioranza e un’opposizione ormai ostaggio del peggior neo-pauperismo giacobino. Non bastava pubblicare tutti i costi e compensi Rai (tutti, però) sul portale internet, come suggeriva la serietà e Sergio Zavoli: macché, dovrà andare in onda l’invidia sociale affinché i cittadini, superficialmente, «conoscano e giudichino» come ha detto Giorgio Merlo del Pd. E su quale base, di grazia? Non scriveranno, nei titoli di coda, quanti soldi una trasmissione porti effettivamente in azienda in termini pubblicitari, non scriveranno se un compenso a un conduttore sia legato solo a quella trasmissione o spalmato su altro in termini d’impegno e di tempo. Non scriveranno un accidente, soprattutto, di tutto quello che possa far comprendere davvero perché la Rai è uno spaventoso carrozzone con un passivo centinaia di milioni di euro con diecimila dipendenti più tremila precari, totale 13.248, una follia. Non scriveranno neppure l’elenco delle società e case di produzione che hanno appalti in Rai, il quanto e il come, gli amici e i parenti; non scriveranno le miriadi di dirigenti e direttori perfettamente disoccupati che incassano scintillanti stipendi per fare precisamente niente; non scriveranno il singolo ammontare di tutti gli stipendi pubblici come sarebbe giusto; non spiegheranno insomma – esempio a caso – come sia possibile che al neo-pensionato Gianni Minoli vadano due milioni di euro per una consulenza. Macché: mischieranno indistintamente servizio pubblico e puro intrattenimento – voglio vedere che si incaricherà del distinguo – e a finire «giudicati» ed esposti, senza un criterio simultaneamente comprensibile, saranno soltanto coloro che bene o male il carrozzone lo mandano avanti nell’ora di massimo ascolto, coloro che ripagano tutto il resto, coloro che fanno e devono fare audience perché altrimenti alla terza puntata li chiudono. Non fosse chiaro, io sono per la trasparenza massima: ma autentica, accessibile, totale, non nascosta sotto una punta dell’iceberg che scorra in titoli di coda che nessuno legge mai, e che, appunto, nasconde un iceberg. Che capolavoro di dispotismo capitalista. Il Codacons ha già chiesto che vengano messi anche i compensi delle televendite. Sul Corriere.it, ieri, già si chiedeva che nei titoli di coda sia elencato anche il percorso fatto dai giornalisti per entrare in Rai. Un lettore proponeva che anche i cronisti della carta stampata, «siccome sono in parte, dipendenti dello Stato, assieme alla firma dell’articolo riportino il compenso annuo lordo». E non può esserci fine.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera