Gli “assessori a tempo” non sono una soluzione

L’idea degli assessori comunali a tempo, formulata qualche giorno fa dal Movimento Cinquestelle non solo è strampalata ma è faziosa, perché sottintende un’impostazione profondamente sbagliata che mira a sottrarre alla politica due ingredienti fondamentali perché produca buoni frutti: il tempo e la strategia. Per quanto riguarda il primo, l’idea degli assessori a tempo non è innovativa né rivoluzionaria: il sindaco, affidando le deleghe, nomina gli assessori e li incarica della realizzazione di parte del programma di mandato, che viene votato dal consiglio comunale al suo insediamento e che vincola l’attività di governo della città alla sua realizzazione. Il mandato di assessore è dunque un mandato fiduciario, come tale revocabile in ogni momento. I cosiddetti “rimpasti di giunta”, spesso a metà mandato, servono proprio per cambiare alcuni assessori o ridistribuire le deleghe, di norma dopo una verifica dello stato di attuazione del programma. Non c’è nulla di straordinario quindi nei rimpasti di giunta, li fanno già tutti.

Quello che qui cambia, però, è la dichiarazione anticipata di scadenza, per una nomina che viene di fatto confinata al raggiungimento di un singolo obiettivo a brevissimo termine e quindi di piccolo cabotaggio. Per amministrare bene una città, invece, bisogna avere la capacità di immaginarla tra dieci e tra venti anni. Pensare ai bisogni dei cittadini, alle nuove generazioni, alle esigenze produttive, ossia a come si trasformerà nel futuro grazie alle azioni intraprese oggi. Bisogna avere anche il secondo ingrediente: la strategia. E quindi una visione a lungo termine, vedere agli altri nel futuro, come diceva Foa, per tessere veri progetti strategici in grado di migliorare il tessuto cittadino, materiale e immateriale. In una parola, bisogna costruire un progetto strategico e avere quindi il coraggio di selezionare prima e implementare poi solo azioni selezionate e mirate, perché le ridotte capacità finanziare degli enti locali molto spesso non lasciano ampi margini di manovra finanziaria. E’ un lavoro che deve essere impostato subito, all’inizio del mandato, e portato avanti con pervicacia, senza mollare mai, aggiustando il tiro se necessario, ma soprattutto senza lasciarsi sovrastare dalle emergenze quotidiane, sempre abbondanti e spesso imprevedibili.

E invece questa impostazione che cosa afferma in realtà? Afferma che gli unici obiettivi da perseguire sono quelli a breve, ossia l’ordinaria amministrazione: mi asfalti le strade, mi sistemi il verde pubblico, organizzi due mostre e quattro sagre. Qui invece si vuole rinunciare alla visione a lungo termine, capace di incidere davvero sulla struttura della città e sulla qualità della vita dei suoi abitanti, e limitarsi al raggiungimento degli obiettivi di amministrazione ordinaria per cui dovrebbero bastare i dirigenti (di norma pagati minimo il doppio, spesso il triplo degli assessori) e la struttura amministrativa. Si focalizza l’attenzione su una manciata di assessori, anziché sulle decine di dirigenti e le centinaia di dipendenti.

Si elimina la strategia e rimane la tattica avara degli obiettivi minimi. Questo espediente è pericoloso perché sottrae il ceto politico (e non solo un partito, sia chiaro) al compito che gli è proprio e che è insostituibile: la capacità di programmazione. Meglio limitarsi a piccoli progetti, limitati nel tempo e per impatto economico, facilmente controllabili, che sbiadiscono le forti competenze politiche e di conoscenza della cosa pubblica che un buon amministratore locale deve acquisire e mettere in pratica.

Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.