Storia dei Monty Python

Ieri all’Arena O2 di Londra c’è stata la prima dello spettacolo di reunion dei Monty Python. Per molte persone compreso me è difficile non commuoversi solo a scrivere queste righe. Qui comunque trovate un’amorevole recensione del Guardian, qui invece un selfie di Terry Gilliam.

Monty Python, un’introduzione

I Monty Python nascono nel 1939, si potrebbe dire. È John Cleese il primo a venire alla luce. Segue a distanza di un anno Terry Gilliam l’americano. Non passano neanche due mesi ed ecco arrivare Graham Chapman. Mentre il primo febbraio del 1942 è la volta di Terry Jones, gallese. Eric Idle e Michael Palin giungono uno a ridosso dell’altro nel 1943, rispettivamente il 29 marzo e il 5 maggio.
I sei si ignoreranno bellamente per i primi trent’anni della loro vita, studieranno materie inutili come medicina e architettura. Fin quando accadrà: una serie di circostanze li farà incontrare così tante volte da non pensare possibile evitare di lavorare insieme.
Anche se il sospetto di sfiducia si annida nel gruppo fin dall’inizio. Ecco come Micheal Palin ricorda Terry Gilliam: “Ho incontrato Terry per la prima volta alla Rediffusion Television quando Humphrey Barclay ci disse che dovevamo conoscere questo disegnatore di fumetti. Ecco, era un americano strambo. Pensavo che l’avremmo visto e finita lì. Credo fosse anche disoccupato al tempo. Ci siamo incontrati e la cosa che mi rimase più impressa di lui era che indossava un grande cappotto, un cappotto molto lungo. Un cappotto direi veramente enorme. Un cappotto proprio gigantesco”.
Ecco come John Cleese ricorda Graham Chapman: “Lo conobbi a un provino per il Footlights Dramatic Club il mio primo anno a Cambridge. Venivano selezionati soltanto 25 studenti all’anno, e per entrare occorreva che qualcuno ti notasse in giro per il College mentre stavi facendo qualcosa di buffo. Io e questo tizio allampanato cominciammo a chiacchierare prima dell’audizione e uscimmo a mangiare qualcosa. È molto strano ma mi ricordo che la mia reazione nei suoi confronti fu un sentimento di repulsione. Era una sensazione tutta di stomaco. Credo semplicemente che non mi piacesse per niente”.
Una sfiducia che nel tempo delle prime frequentazioni poteva trasformarsi in disistima.
Ecco come Graham Chapman parlava di Terry Gilliam: “In Terry notavamo l’assoluta povertà del suo inglese. John diceva che il suo linguaggio era limitato, e che rispetto alle cose o diceva ‘figo’ o ‘mi fa veramente cagare’. Nessuna sfumatura possibile. Mi ricordo una volta durante un tour in Canada stavamo sorvolando il Lago Superiore e Terry sporgendosi dal finestrino guardava il lago e poi si girava verso di noi e ci diceva: ‘Ehi ragazzi – guardate che gran mucchio d’acqua qua sotto’”.

Ma come nascono i Monty Python?
Siamo nel pieno del fermento della trasformazione degli anni ’60. L’Impero Britannico si sfalda e la generazione beatlesiana s’ingrossa: l’ondata di liberazione dalla swinging London si espande a macchia d’olio in tutto il Regno Unito, questo è il luogo in cui l’esperienza dei Monty Python prende forma. Soprattutto nell’ambiente dinamico dell’università, tra le compagnie amatoriali di Cambridge e Oxford.
La carriera dei sei passa anni in bilico tra i doveri universitari e il desiderio di darsi completamente al teatro.
“Era il marzo 1964”, ricorda Graham Chapman, “e venne la Regina Madre a inaugurare il nuovo reparto di biochimica e fisiologia del Saint Swithin. A quel tempo io ero il Segretario dell’Unione Degli Studenti, e così fui invitato a prendere un tè con Sua Maestà dopo l’inaugurazione.
Durante il tè spiegai a Sua Maestà che facendo parte del cast del Cambridge Circus, una rivista che facevamo, eravamo stati invitati a fare un tour in Nuova Zelanda. E questo significava che avrei perso sei mesi di corsi di medicina, e i miei erano totalmente contrari. La Regina Madre mi guardò e mi disse: ‘Ma è un posto splendido la Nuova Zelanda, lei deve andare’. Così utilizzai quest’affermazione per convincere i miei, e la cosa funzionò.
Mia madre ora poteva andare dal macellaio e dire: ‘Oh, la Regina Madre gli ha detto che deve andare’”.
Racconta Michael Palin: “C’era un mucchio di gente che allestiva commedie, sketch comici, sia a Cambridge che a Oxford, era il modo di sopravvivere. La maggior parte di noi veniva dalla scuola pubblica. Dall’istituzione scuola pubblica. E come puoi sopravvivere nella scuola pubblica se non hai un minimo di senso dell’umorismo? Noi eravamo riusciti a sopravvivere alla scuola pubblica, e adottammo la stessa tecnica di sopravvivenza anche all’università. Soprattutto chi faceva materie umanistiche, lingue, arte, storia, eravamo pieni di senso dell’umorismo. Mentre conoscevo davvero poche persone di fisica o di matematica provviste di senso dell’umorismo. Come dire, erano tutti così concentrati che preferivano spaccare l’atomo piuttosto che spaccarsi dalle risate. Capite: questo tipo di senso dell’umorismo”.

Si formano quindi le collaborazioni stabili che saranno i due nuclei dei Monty Python.
Da una parte John Cleese e Graham Chapman, i due di Cambridge, dall’altra Terry Jones, Eric Idle, e Michael Palin, di Oxford.
Idle, Jones e Palin erano tra i protagonisti di Do Not Adjust Your Set, uno show televisivo che aveva conquistato un pubblico di nicchia, tra cui gli stessi Cleese e Chapman.
“Graham e io” dice Cleese “guardavamo Do Not Adjust Your Set. Era il nostro piccolo sollazzo del giovedì pomeriggio. Finivamo presto a teatro, e ci mettevamo a guardarlo. Era la cosa più divertente che ci fosse in televisione. Figuratevi il resto. E in un giorno di noia, dissi a Graham: ‘Perché non chiamiamo questi tizi e vediamo se vogliono fare uno show insieme a noi?’”.
Racconta Eric Idle: “L’unica cosa che mi ricordo è che una volta che avevamo deciso di incontrarci, e organizzammo un pic-nic. Guidammo lungo il Tamigi, da qualche parte vicino Eel Pie Island. Quest’incontro iniziale sarebbe servito a decidere quello che dovevamo fare e come farlo. Quindi andammo a parlare con i dirigenti della BBC, e dicemmo loro che tipo di show avevamo in mente. Essenzialmente dicemmo: ‘Non ne abbiamo idea. E penso che li convincemmo’.”
Terry Jones a proposito racconta: “Io non mi ricordo nessun pic-nic”.

La BBC accetta effettivamente l’idea del gruppo di realizzare una trasmissione tutta loro; il punto era allora come realizzarla. “L’unica idea che avevamo era che volevamo sbarazzarci della ‘battuta finale’”, spiega Graham Chapman. “Per anni la gente era stata a creare ‘battute finali’, compresi noi. Era ora di dire basta. Il produttore sembrava abbastanza perplesso che non ci fossero ‘battute finali’. Diceva ‘Okay ma come facciamo a finire se non diciamo al pubblico che deve applaudire alla battuta finale?'”
“Facevamo delle tremende discussioni sul materiale”, dice Cleese. “Era sempre sul materiale, e non su come recitare quello che scrivevamo. Mi ricordo che una volta litigammo per ore se un candelabro doveva essere interpretato da una capra o da una pecora. Sapevamo che dovevamo avvitare una lampadina a ciascuna delle quattro zampe ma ci fu una lite accesissima: tre contro tre, e ci insultammo pesantemente: ‘Pecora di merda! Che senso ha una pecora? Dev’essere una capra!’”

“Ci portammo dietro del vecchio materiale”, spiega Eric Idle. “Per esempio avevo scritto per Ronnie Barker di ITV lo sketch di Gomitino. E me lo rifiutarono. E se ci fate caso, se lo leggete e basta, non ci sono battute, e capite così perché non gli piacque. Quando lo lessi ai Pythons invece mi ricordo che si sganasciarono dalle risate, e dissero Okay si mette”.
I sei lavorano, scrivendo in gruppi, all’inizio i cinque inglesi, il due di Cambridge più spesso tra loro, e i tre di Oxford tra loro. Ai cinque si aggiunge il lavoro di Terry Gilliam, con le sue animazioni. “Gilliam con i suoi piccoli cartoon è riuscito a farci diventare popolari in America”, dice sempre Idle. “Perché ha offerto agli Americani quello che gli Americani amano di più: tette e violenza”.
Sono proprio Idle e Cleese i più prolifici, mentre è Champan sicuramente il meno attivo in fase di scrittura: “Graham mi infastidiva”, sottolinea Idle, “perché poteva starsene completamente zitto per tutto il tempo in cui noi ci mettevamo a scrivere. Mi ricordo che una volta venne a casa mia perché dovevamo scrivere qualcosa per i Pythons. Io pensai: ‘Va bene, non dico niente finché non parla lui’, e lui si sedette lì con la pipa e credo che passammo due, tre ore abbastanza piacevolmente. Poi a un certo punto si alzò e disse: ‘Devo andare’, mi salutò e se ne andò. Penso che fosse felice perché non avevamo neanche cominciato”.

Ma da dove venivano le idee per questo o quello sketch? Da dovunque. Il famoso sketch del pappagallo ha origine ad esempio dal garagista di Micheal Palin. Come ricorda John Cleese: “Quando facevamo Come irritare la gente Micheal cominciò a parlarmi di quando portava la macchina dal suo garagista. Lui andava dal tizio e gli diceva: ‘Mi sa che ho un problema con la frizione’. E il tizio, il garagista, diceva: ‘Splendida macchina, una splendida macchina’ e Micheal diceva: ‘Beh, sì, è una splendida macchina, ma adesso mi dà questo problema con la frizione’. ‘Splendida macchina, non si discute’. ‘Sì, non si discute ma adesso ho questo problema’. ‘Beh, senta’, diceva il garagista, ‘semmai le desse qualche piccolo problema, me la porti che ci do un’occhiata’. ‘Il fatto è che’ riprendeva Micheal ‘mi ha dato qualche problema e gliel’ho portata’. E lui allora diceva: ‘Gran macchina, splendida macchina, se le da qualche problema, me la porti’. E allora Micheal diceva: ‘No, no, no, la frizione rimane incollata’. E lui replicava: ‘Segno di qualità, se ha una frizione che rimane incollata per i primi tremila chilometri, è segno di qualità della macchina’.”

I Monty Python diventano presto un gruppo affiatato.
“Siamo sempre stati una compagnia molto democratica”, ricorda Terry Jones “Credo che è su questa base che decisi di farne parte. Mi ricordo che all’inizio, al primo incontro con la BBC, John disse: “Non vogliamo nessuna di quella roba tipo personalismi. Non vogliamo che alla fine delle puntate ci siano i nostri nomi con le nostre faccette associate’. E andammo dritti per questa strada. Con qualche minima oscillazione.
John per esempio era sicuramente una personalità dominante, ma in termini esclusivamente artistici. Perché in realtà non penso che nessuno dominasse sugli altri. Nessuno aveva l’ultima parola, o qualcosa del genere”.

Michael Palin, Eric Idle, John Cleese, Terry Jones e Graham Chapman scrivevano e andavano in studio, seguendo un calendario molto disciplinato, con orari d’ufficio, dalle nove alle cinque, mentre Gilliam interveniva sempre in un secondo tempo: “Andavo ad assistere alle registrazioni una volta a settimana. La mia vita a dire il vero rimaneva separata da loro per il resto dei giorni. Loro se ne andavano al pub o al ristorante insieme, mentre io me ne stavo chiuso in casa a tagliare pezzetti di carta, fare collage, colorare. Ero sempre l’elemento dispari. E non è che ci fosse qualche problema in questo. Arrivavo nei giorni di registrazione con vagonate di filmati. E cercavo sempre di non estraniarmi dal loro spirito e di essere coinvolto. Volevo far parte del gruppo. E loro in modo paternalista, direi molto delicato, loro per integrarmi mi permettevano durante le registrazioni di indossare un’armatura di ferro e di picchiare qualcuno con un pollo di gomma”.

Ma l’aspetto più interessante è il modo in cui venivano concepiti gli sketch.

Michael Palin racconta lo sketch del boscaiolo: “Io e Terry lavoravamo insieme la maggior parte delle volte e mi ricordo benissimo il giorno in cui scrivemmo la canzone del boscaiolo. Eravamo al primo piano a casa mia e mi venne quest’idea di un barbiere che era un maniaco omicida, un barbiere assolutamente inadatto al suo lavoro. Mi ricordo che andavamo avanti gingillandoci con quest’idea tutto il giorno. Ecco c’è questo barbiere che è un maniaco omicida… Sì c’è questo barbiere che è un maniaco omicida che… Non sapevamo come uscirne. Poi alla fine della giornata, dalle sette meno un quarto alle sette e un quarto, ci venne in mente all’improvviso questo finale in cui lui si alza e dice: ‘Basta, non voglio più fare questo lavoro! Io voglio fare il boscaiolo!’

Dopo aver accumulato materiale sufficiente per vari mesi di trasmissioni, il problema diventa quello di trovare un nome.
Dal diario di Micheal Palin: “Terry e io abbiamo buttato giù delle idee sugli zoo e su un guardiano di uno zoo che combatte contro dei predatori. Ad ogni modo ogni personaggio era interpretato da Graham Chapman e ci piaceva il nome Megapode. Così cominciammo a girare intorno a questo nome… The Arthur Megapode Cheap Show… The Admiral Megapode Flying Circus… The horrible Earnest Megapode Panic Show… The Venus De Milo Panic Show… The Megapode Atomic Circus… The Vaseline Parade….The Megapode Atomic Circus… The Vaseline Parade…”.
Gwen Dibley è stato il nome più probabile per un bel po’”, ricorda Eric Idle, “era un nome che aveva trovato Michael, perché questa era una donna realmente esistente che gli era capitato di vedere in una foto, e immaginammo che fosse abbastanza divertente per lei leggere sul giornale dei programmi che aveva una trasmissione tutta sua.
Poi venne fuori un nome composito: ‘Python’ era John – era un soprannome che si era dato da solo – e io aggiunsi ‘Monty’ perché c’era un tizio in un pub che frequentavamo a Mappleborough Green, vicino a Studley, che si chiamava Monty, indossava un farfallino e sembrava un tipo simpatico”. “’Monty Python’ era divertente, allora decidemmo di fare come quando prendevano le decisioni nell’antica Persia. Lì ti dovevi ubriacare tutta la notte fino diventare completamente sfatto. Se la mattina dopo ti ricordavi quello che avevi deciso il giorno prima, allora voleva dire che funzionava. Così facemmo anche noi”.

“Tutto nel programma proveniva dalle osservazioni o dalle esperienze che ognuno aveva avuto”, dice Graham Chapman.
“Effettivamente potevamo fare qualcosa, potevamo arrivare a cambiare il modo di pensare della gente. Non pensavamo di essere così intelligenti da fare prediche. E tutti gli sketch che facevamo erano al limite.
Come lo sketch del negozio di pompe funebri in cui John porta il corpo di sua madre in un sacco e discute con il tizio delle pompe funebri su cosa farne. Volevamo solo mostrare come sia stupido preoccuparsi della morte. E loro invece tagliano lo sketch nel montaggio. E io quando lo seppi divenni così furioso che diedi un calcio alla porta dello studio di registrazione. Purtroppo non la spostai di un millimetro e mi ruppi due dita del piede”.

Il primo episodio del Monty Python’s Flying Circus fu registrato il 7 Settembre 1969 e fu trasmesso domenica 5 Ottobre alle 20 sulla BBC.
È subito un successo, diventa un programma di culto.
Immediatamente i Monty Python producono dischi, stampano libri, sono in tour per tutta l’Inghilterra. Si forma un schiera di fan secondi solo a quelli dei Beatles. E forse dei Rolling Stones. E dei Pink Floyd. E dei Beach Boys. E dei Village People. E dei Jefferson Airplanes…
Alla prima serie del 1969 ne segue subito una seconda nel 1970, ma bisognerà aspettare fino al 1972 per avere la terza, e il 1973 per la quarta, che sarà registrata senza John Cleese, che dei sei sembra il più rigoroso e attento al non far diventare la comicità dei Pythons un meccanismo ripetitivo e meramente autocelebrativo. Nel frattempo però il nome dei Monty Python, e i Monty Python stessi, fanno il giro del mondo.

Nel 1971 i sei realizzano E ora qualcosa di completamente diverso, un film che raccoglie il meglio dei loro sketch televisivi. La regia è affidata a Ian MacNaughton, come era anche nel Flying Circus che durante le riprese riceve tutte le critiche del gruppo, soprattutto quelle di Terry Jones e Terry Gilliam che non nascondono di volersi mettere loro stessi dietro la macchina da presa, non lesinano occasione per dire come avrebbero girato loro questa o quella scena.

Ian MacNaughton viene ricordato soprattutto perché si ubriacava con Graham Chapman ogni pausa pranzo della lavorazione del film.
Il film servirà soprattutto a farli conoscere e apprezzare dal pubblico americano, mentre nel resto d’Europa sono ancora un fenomeno di nicchia.
Nella primavera del 1971 i Pythons sono invitati dal produttore televisivo tedesco Alfred Biolech a mettere in scena una serie di show originali in Germania.
“Pensammo che fosse abbastanza strana l’idea di partire e andare a fare le nostre cose in Germania”, dice Micheal Palin, “e questa perplessità era dovuta sicuramente alla convinzione che i tedeschi avessero meno senso dell’umorismo di noi”.
Eric Idle ricorda: “Alfred Biolech ci fece quest’offerta meravigliosa: ‘Venite in Germania, vi faremo fare un giro per vedere anche dei posti su cui potreste scrivere degli sketch’. E noi pensammo: “Fantastico: un tour di scrittura. Non si era mai vista una cosa del genere’. Fu un viaggio di cinque giorni in giro per la Germania. Arrivammo all’aeroporto di Monaco e eccoli lì i tedeschi che ci offrono questi enormi boccali di birra di benvenuto. E poi ci portarono direttamente a Dachau, e lungo la strada ci perdemmo in mezzo a una pioggia scrosciante. Ci fermammo a chiedere la strada e la gente non aveva assolutamente idea di dove fosse. Ma alla fine arrivammo a Dachau e pioveva a dirotto ed era tardi e ci dissero che era chiuso. Allora Graham urlò: ‘Digli che siamo ebrei, così ci fanno entrare’.”

Ricorda Terry Gilliam: “Credo che fossimo d’accordo fin da subito su quello che volevamo nel nostro programma, ma anche e soprattutto su quello che non volevamo. Cercavamo di procedere seguendo un filo completamente libero, un flusso di coscienza. E questa cosa funzionò così fin dall’inizio.
Una delle cose che tutti avevamo notato, guardando Peter Cook e Dudley Moore e tutti i programmi del genere, era che avevano sempre bisogno della battuta finale. Riuscivano a costruire questi sketch grandiosi, tutti questi personaggi, ma c’era sempre questa battuta finale che era debole e ti lasciava una specie d’amaro in bocca soprattutto quando lo sketch era perfetto.
Così decidemmo ‘ok, sbarazziamoci della battuta finale e freghiamocene. È tutto un unico flusso di coscienza. Non abbiamo bisogno di battute finali. Andiamo avanti finché la cosa regge e poi passiamo a qualcos’altro’”.
“La cosa migliore che abbiamo fatto”, dice Graham Chapman “è stato sbarazzarci della battuta finale. Per anni la gente faceva queste cose in cui alla fine c’era la battuta finale. E anche noi come scrittori abbiamo fatto la stessa cosa. Il produttore rimaneva piuttosto perplesso se non c’era la battuta finale perché, diceva, ‘come faccio a finire un pezzo se non indico al pubblico dove applaudire? Deve esserci qualcosa lì.’ Beh, il fatto è che noi non ci preoccupavamo molto del pubblico. Che facessero come volevano”.

È difficile dire se i Monty Python fossero in sintonia coi tempi o se fossero i tempi ad essere in sintonia con i Monty Python.
“I Pythons hanno sicuramente cambiato la comicità ma in un senso direi negativo”, dice John Cleese. “Perché penso che invece di avere dei seguaci, ci sia stata molta più gente che ha preso le distanze. È come se vedessi che noi avevamo aperto la strada per un certo tipo di comicità, ma che non è stata una strada molto battuta.
D’altra parte penso che abbiamo reso un sacco di gente contenta. Soprattutto li abbiamo fatti ridere, che forse è l’esperienza più piacevole che si può avere.
Dopo aver guardato i Monty Python la gente non poteva prendere il mondo sul serio almeno per il resto della serata.
Un tizio una volta mi ha detto che non poteva vedere il telegiornale dopo aver visto il Flying Circus. Varie volte mi sono commosso particolarmente, quando un sacco di studenti, soprattutto americani, venivano da me a dirmi: ‘Quello show mi ha aiutato a passare gli esami. Senza vedere i Monty Python sarei stato bocciato’. Mi piace pensare che abbiamo avuto questo tipo di effetto sulla gente. In America, ovviamente, il Saturday Night Live, è stato influenzato dai Monty Python. E infatti la cosa divertente, è la gente che guarda ilSaturday Night Live e poi guarda il Flying Circus, e pensa che noi abbiamo copiato tutto da lì”.

Ma l’influenza dei Monty Python non si limita all’innovazione della comicità, ma è forse addirittura entrata a far parte del linguaggio di tutti giorni.
L’esempio più eclatante è la parola spam che oggi viene usata per indicare i messaggi di posta elettronica indesiderata o in genere tutta la spazzatura inutile che gravita intorno alla rete.
Beh, tutto questo ha avuto origine in uno sketch.

“Avevo saputo”, ricorda Michael Palin, “che durante le registrazioni dei Beatles in studio Paul McCartney faceva una pausa per vedere e fare vedere agli altri il nostro show, e poi tornavano a registrare. È stato il primo momento in cui mi ricordo di aver pensato ‘È straordinario. I Beatles sono interessati a noi?’ Il resto della storia, che non ho ragioni per contraddire, è che George Harrison dice di aver mandato un biglietto di complimenti alla BBC dopo la prima trasmissione che avevamo mandato in onda. Ma questo biglietto non ci arrivò mai, forse perché la segreteria della BBC non aveva idea di chi fosse questo tale signor Harrison, o di che cosa fosse il nostro programma”.
“Avevo saputo che Elvis”, dice Eric Idle, “aveva preso a chiamare la gente ‘Mi scusi gentiluomo’ dopo aver visto il mio sketch di Gomitino.”
“E infatti”, dice sempre Palin, “quando si trattò di finanziare Monty Python e il Sacro Graal, chi venne a investirci se non i Led Zeppelin e i Pink Floyd?”

E ora qualcosa di completamente diverso non era andato così bene” – ricorda Terry Jones – “John l’aveva fatto perché pensava di guadagnare un sacco di soldi. E così non era stato. Io ero entusiasta all’idea di fare un altro film e alla fine persuademmo John che dovevamo pensare a un film. Quando ci mettemmo attorno a un tavolo a parlarne, Micheal se ne venne fuori con quest’idea di Re Artù accompagnato da Patsy, uno scudiero che simulava l’incedere del suo cavallo sbattendo tra loro due noci di cocco”.
“Ero elettrizzato anch’io”, dice John Cleese “dall’idea di provare a lavorare in un nuovo film. Non avevo idea di come si facesse un film. Ed è divertente se uno si legge la prima bozza della sceneggiatura del Monty Python e il Sacro Graal di quanto poco di quella roba sia rimasta nel film, il 10%. Una mezza sceneggiatura di un film sui Cavalieri della Tavola Rotonda, buttata giù Michael Palin, circolava già da un pezzo: dopo aver girato in lungo e in largo per il Medioevo alla ricerca del Graal, i prodi Cavalieri finivano per trovarlo ai giorni nostri, e precisamente a Londra, da Harrod’s – perché da Harrods alla fine si trova tutto. Mi ricordo che quando Terry e Mike tirarono fuori la storia delle noci di cocco per simulare il cavallo, fu il lampo che ci fece che idea di cinema volevamo”.

Racconta Terry Gilliam: “Volevamo fare dei veri film. E se avessimo avuto i soldi, avremmo usato dei cavalli veri, ma la cosa meravigliosa erano le limitazioni che ci erano imposte dal budget. Non potevamo fare ciò che volevamo e quindi dovevamo ingegnarci e ringraziare Dio. Così l’idea delle noci di cocco ci salvò il culo. Non saremmo mai riusciti a girare quel film con dei cavalli veri”.

Ancora John Cleese: “Il primo giorno delle riprese fu particolarmente difficile perché Graham era con la corona in testa e tutta l’armatura sul ponte tibetano sul lato della montagna.
Io pensavo ‘Graham è un montanaro, lui è abituato a arrampicarsi. Ma il fatto era che sembrava paralizzato dal terrore. Penso che fosse il vecchio Gray. Il nervosismo dei primi giorni, e probabilmente aveva bevuto un po’ prima di cominciare”.

Sul suo diario Micheal Palin annota:
Io, John ed Eric ci siamo messi seduti ad ascoltare le storie della montagna dai tizi della protezione civile. Hanno detto che c’è un sacco di gente che muore ogni anno su quelle montagne spettacolari. Avremo delle splendide riprese, con tutti questi strapiombi terrificanti da vedere.
(Domenica:) Oggi è stato il giorno più ricco di avvenimenti.
Io sono rimasto a ridere come uno scemo per un bel po’ dopo aver gustato dell’erba di altissima qualità che aveva portato Eric.
Graham ha finito per essere sedotto da un signore di Abeerden che gli ha parlato tutto il tempo della possibilità di farsi una vacanza insieme a pescare. Graham alla fine ha evidentemente resistito ma e mi è venuto a svegliare all’una di notte completamente ciucco, battendo alla porta: urlando sosteneva di essere Ethel il Kaiser.
(Lunedì:) Stanotte Graham mi ha svegliato di nuovo. Mi ero appena addormentato, l’ho sentito gridare dalla sua stanza, diceva di essere Betty Mardsen. Ha gridato a squarciagola facendo tutta una serie di voci buffe.
(Martedì:) Tutto sommato stanotte Graham è stato abbastanza carino: mi ha infilato un biglietto sotto la porta che diceva ‘Con i miei migliori auguri, firmato Betty Mardsen

Ricorda Eric Idle: “Era un film di sketch, con la storia di una ricerca. Così la parte della ricerca ti fa entrare nel film perché ti fa dire ‘Okay andiamo a cercare questo Graal’. È tutto lì e ci sono tutte le avventure che i cavalieri incontrano strada facendo; e solo alla fine realizzi che non c’è la benché minima trama.
Il fatto era che non sapevamo come finirlo. Credo di essere stato io stesso ad aver contribuito al finale del film quando buttai lì come battuta: ‘Facciamola finita e basta. Arriva la polizia e arresta tutti’. Mia figlia odia quel finale, mi dice: ‘Ti sembra un finale? che razza di finale è? Fa schifo’. Ma non è colpa mia, la mia era solo una battuta. Non pensavo l’avremmo realizzato veramente”.

“Il primissimo giorno delle riprese la cinepresa si ruppe”, racconta Terry Gilliam. “Al mio primo ciak da regista! Che dovevamo fare? Facemmo tutto ciò che c’era di sbagliato da fare. Cercammo il modo di avere un’altra camera che funzionasse e ci mettemmo a girare i primi piani. Dei primi piani che avremmo potuto girare nel giardino di casa di chiunque. Eravamo in uno posto strepitoso e giravamo i primi piani. Era idiozia pura. Ma imparammo a fare un film molto in fretta”.

“Eravamo scomodissimi”, dice Micheal Palin, “per via della cotta di maglia che in realtà non era vera cotta di maglia, ma era lana spessissima. E quando diventava umida diventava pesantissima e cedeva poco a poco e ciondolava, e ti sembrava come di avere del piombo infilato nelle mutande”

Terry Gilliam ricorda:“Alla fine dei primi giorni delle riprese, Terry Jones e io eravamo lì semplicemente a cercare di tenere in piedi questa cosa. Graham era sempre brillo e ululava in giro, gridava ‘Tutto questo non serve a niente!’ E rivolto verso di noi: ‘Siete una manica di stronzi! Inutili pipparoli del cazzo! Qui ci voleva Ian MacNaughton’ ”.
“Andavo in giro”, dice Terry Jones, “e il mio motto era ‘Don’t panic, Niente panico.’ Che è l’epigrafe che sta all’inizio della Guida galattica per autostoppisti.
Eravamo tutti, tutti in questo stato di panico soppresso. Avevamo scelto questa location che a pensarci a posteriori era folle. Perché era inutilmente lontana dalla strada e per portare l’attrezzatura da una parte all’altra ci voleva ogni volta mezz’ora d’arrampicata. Per cui era un posto idiota dove girare. Poi cominciò a andare meglio. Il montato giornaliero la sera sembrava essere decente. Ma era un incubo filmare perché non avevamo mai il tempo necessario. E stavamo sempre lì a guardare l’orologio. Per esempio dovevamo fare la scena del matrimonio nel Castello di Doune, e lo scenografo ci fece vedere gli arredi per l’interno del castello. Aveva costruito queste scale che sembravano meravigliose, e noi avevamo detto ‘fichissime!’. Poi la mattina successiva ci preparammo a filmare, e non c’era più niente, nessuna scala. E il tizio ci disse: ‘Io sono lo scenografo, le scale le ho progettate e costruite – dovete chiamare gli operai del set per sistemare tutto come volete”.

“Abbiamo sempre saputo che c’è gente non apprezza certi sketch – racconta John Cleese – Come per esempio quello del Cavaliere Nero, in cui c’è questo Cavaliere Nero che sfida Re Artù. I due ingaggiano un duello, e Re Artù con la spada gli taglia un braccio. Ma il Cavaliere Nero non si arrende e combatte con l’altro braccio. Allora Re Artù gli taglia anche l’altro braccio. Ma il Cavaliere Nero non cede, sfotte Re Artù e lo prende a calci. Re Artù è perplesso, ma alla fine gli taglia via una gamba. Neanche così il Cavaliere Nero si arrende, e zompettando su una gamba sola, prende Re Artù a spallate. Re Artù gli taglia anche l’ultimo arto, e lascia il Cavaliere Nero per terra come un tronco umano. A quel punto il Cavaliere Nero prende a insultarlo… Alla gente questo sketch non piaceva”, continua John Cleese, “perché lo trovava troppo violento. Anche una donna che conoscevo, una ragazza intelligentissima, una tipa con cui avevo avuto anche una relazione, di nome Pippa, mi disse: ‘Come avete potuto farlo? Dovete rendervi conto che molta gente non lo trova divertente. Per molta gente quel tipo di violenza è molto reale. Quando voi fate qualcosa di violento che immaginate sia divertente, c’è sempre gente che lo considera surreale e ride per questo – altra gente invece viene toccata davvero, come fosse una situazione reale’. Ovviamente alcuni dei produttori volevano tagliare (anche loro) il Cavaliere Nero, che era la cosa più divertente del film. Troverete sempre che c’è un certo numero di persone che trova irritante quello che invece fa ridere la maggior parte delle persone. Quello che ho sempre voluto dire a questa gente è: ‘Okay, se lo tagliamo siete contenti. Ma avete fatto caso che voi siete in sette e non vi piace questo sketch, mentre ci sono ottantaquattro persone che lo trovano divertente? Volete impedire a queste ottantaquattro persone di vedere questo sketch perché a voi questo sketch vi infastidisce? Ad ogni modo sono io che sto dentro all’armatura del Cavaliere Nero fino a quando ha tutte e due le gambe. E poi c’è la mia controfigura che si chiamava Richard Burton… sì come Ben Hur. Un tizio che faceva l’orafo a Londra, e che aveva una gamba sola, ovviamente”.

“Facemmo una proiezione con il primo montaggio del film e alla gente non piacque affatto”, ricorda Terry Gilliam. “La gente usciva dalla sala a metà. Credo che anche Graham ed Eric se ne siano andati prima della fine. Il suono era completamente toppato e c’era una tale attesa e tensione nel gruppo che credo che loro pensassero che io e Terry avessimo fato una cagata assoluta”.
“Prendemmo a rimontare e ritagliare il film”, dice Terry Jones, “e a cercare di far funzionare le cose. Imparammo che non puoi andare dalla gente, fargli vedere una scena e chiedergli: ‘È divertente questo?’, perché ti dirà ‘Non so’. L’unico modo per avere un parere onesto è fargli pagare il biglietto”.
“È facile oggi dimenticare”, racconta David Sherlock, il compagno di Graham Chapman, “che si erano tutti ipotecati la casa per realizzare Monty Python and the Holy Grail. Ma la sera della prima Graham perse completamente l’autocontrollo e cominciò a borbottare cose contro lo schermo durante la proiezione di gala. E la gente non gli diceva niente, veniva da me e mi diceva: ‘Ma non puoi dirgli di smetterla?’. E lui era anche Re Artù, ossia il ruolo che tutti avevano declinato. (‘No, noi preferiamo fare tutti i ruoli di contorno stupidi. Non vogliamo fare Re Artù’. Graham era nel panico assoluto.) E questo è il punto in cui arriva l’alcol. Andai da Lesley-Davies-Dawson, che era seduta nella fila dietro col suo nuovo marito, e che era l’unica persona alla quale credo Graham potesse dar retta. E le dissi in sintesi: ‘Non so che fare. Non riesco a gestire questa situazione’. ‘Okay’, disse ‘ci penso io’.E se lo trascinò al bar e gli apparecchiò un paio di gin tonic e aspettò che se li scolasse. Finiti quelli gliene diede altri con sempre meno gin e sempre più acqua tonica. Fino alla scena della battaglia finale. Fino all’ultimo rullo. Fino a quando mancavano due minuti. Allora rientrarono in sala. E fu un successo”.

Un successo che dura da trent’anni, e che addirittura ha convinto Eric Idle a riprendere l’ispirazione del film per realizzare con la collaborazione di John Du Prez e di Mike Nichols un musical che dal 2005 a Brodway registra il tutto esaurito.
Spamalot è una parodia del Musical in sé, non solo del ciclo di Re Artù – quello di Re Artù un ciclo che è durato tre secoli, “roba da far impazzire un ginecologo”.

Nel 1976 i Monty Python fanno un tour in Nord America, raccogliendo un enorme successo. È prima Amnesty International a interpellare i Python per uno spettacolo di raccolta fondi. Ed è John Cleese a prendersi carico dell’organizzazione di A poke in the eye, ossia Un Colpo nell’occhio, chiamando oltre i suoi compagni altre protagonisti della comicità mondiale, da Alan Bennett a Neil Innes. Segue una serie di serate al City Center di New York, e poi il Canada. “E penso che fu durante il tour in Canada”, ricorda Micheal Palin “che qualcuno se ne venne fuori con questo titolo – Gesù Cristo – La ricerca della gloria, che piacque subito a tutti, ma in quel periodo bevevamo probabilmente troppi gin e troppy brandy, anche troppo vino rosso, e fumavamo un po’ troppa erba.
“Penso che eravamo a New York”, ricorda Eric Idle, “quando qualcuno ci chiese: ‘E allora che avete in mente per il futuro?’. E io dissi: ‘Oh, il nostro prossimo film sarà Gesù Cristo – La ricerca della gloria’. O forse non sono stato io. Ma era un periodo in cui facevamo un po’ confusione fra di noi, su chi era chi”.
Gesù Cristo – La ricerca della gloria venne fuori durante il tour promozionale di Monty Python e il sacro Graal”, ricorda Terry Gilliam. “Eravamo in un pub di Amsterdam e mi ricordo Eric che se ne uscì con questa storia di Gesù Cristo – La ricerca della gloria e noi ci rotolammo dalla sedie, era una trovata fantastica”.
“Eravamo, mi sembra, in Nuova Zelanda”, cerca di mettere a fuoco John Cleese, “quando qualcuno disse qualcosa a proposito di Gesù e la ricerca della gloria. Ma mi potrei sbagliare. Quello era un periodo di eccessi. Oltre che di grandi stravolgimenti geografici”.
“Penso che fossimo in Uganda”, prova a ricordare Graham Chapman. “Era la stagione dei monsoni credo. C’erano tutti questi monsoni in giro che brucavano nei prati. A qualcuno venne l’idea di un film su Gesù. Piacque a tutti, e festeggiamo ordinando sakè”.

Brian di Nazareth”, racconta John Cleese “doveva essere la storia del tredicesimo discepolo e di come questo discepolo arrivasse sempre tardi rispetto agli eventi fondamentali. Per cui, ad esempio, saltava l’Ultima Cena perché stava con la moglie e chiacchierando con vari amici e poi tra un aperitivo e l’altro, si faceva troppo tardi per la cena”.
“Mi ricordo”, dice Micheal Palin, “che era abbastanza difficile trovare il tono giusto. Ci preparammo attentamente sulla Bibbia e su tutto quel periodo storico. Poi ovviamente ci vennero una serie di idee, soprattutto quest’idea che c’era una specie di febbre da Messia in quel periodo in Giudea. Questa era la vera chiave, e ci diede il tema centrale del film. E cominciammo a creare un personaggio che non era Gesù, ma conduceva una vita quasi parallela a quella di Gesù, una specie di vicino della porta accanto del Messia”.
“Quando poi uscì”, ricorda Terry Jones, “in Norvegia fu l’unico posto dove lo bandirono. Così in Svezia fecero dei manifesti che dicevano: ‘Un film così divertente che è stato vietato in Norvegia!’”

“In un certo senso un po’ assurdo”, dice Terry Gilliam, “siamo stati molto attenti a non essere blasfemi, essendo poi totalmente blasfemi su quest’altro tizio di nome Brian”.
“Brian di Nazareth non è blasfemo”, dice Terry Jones, “è eretico. Non è blasfemo perché considera la storia della Bibbia parola di Dio; devi credere nella Bibbia, devi capire e conoscere la storia della Bibbia per gustarti il film. È eretico perché prende in giro il modo in cui la chiesa interpreta la Bibbia”.
“John ha sempre voluto interpretare Brian”, ricorda Eric Idle, “e per me era una sorpresa, perché John era perfetto per fare Reginald. John non sarebbe stato bravo quanto Graham nel ruolo di Brian. Graham è straordinario e si era ripulito dall’alcol e non era più un alcolista. Cominciò a smettere di bere e questo è quello che accadde quel Natale. Ebbe un crollo totale e sbraitava contro tutti e tutti, e alla fine ammise di essere un alcolizzato”.
“John”, ricorda Terry Jones, “voleva il ruolo di Brian e io ero del tutto contrario. Pensavo davvero che si sbagliasse. Perché la cosa fantastica di Graham è che lui poteva fare il ruolo principale di un film perché ti viene da simpatizzare automaticamente per lui”.

Con la scusa di concentrarsi a scrivere il film, i Monty Python si trasferirono alle isole Barbados. Come appunta sul suo diario il 7 gennaio 1978, Terry Jones: “Per qualche ragione che non so neanche spiegare a mia moglie, dobbiamo andare alle Barbados a riscrivere completamente il film. Evidentemente lì c’è la temperatura ideale perché l’inchiostro della biro possa scorrere senza il freddo eccessivo lo raggrumi o il caldo eccessivo lo faccia sciogliere troppo. Può essere difficile credere che facendo questo viaggio alle Barbados risparmieremo tempo e soldi e realizzeremo in fretta tutto quello che serve per il film, ma evidentemente i produttori hanno calcolato che questa villa palladiana sulla spiaggia per quindici giorni era il modo migliore per economizzare i nostri sforzi”.

Sul diario di Michael Palin lo stesso giorno invece si legge: “Mentre John, Eric, Terry Jones e io ci stiamo beatamente impigrendo e progettando una scuola preparatoria qui, alle Barbados (John vuole disperatamente fare il professore di matematica), Terry Gilliam, al quale abbiamo assegnato il ruolo di professore di ginnastica, mangia le mele locali. Che sono mele molto piccole… e velenose. Non sappiamo se Terry tirerà le zampe questa notte stessa, ma il contratto è stato stilato in modo che in caso di morte il suo compenso sarà equamente distribuito tra gli altri componenti del gruppo. Questo è probabilmente il modo in cui Dio lo sta punendo per il fatto di aver dimenticato di portare qui alle Barbados il suo copione, visto che eravamo venuti qui apposta per lavorare…”
La storia si formava e man mano che la storia si formava lievitava anche il budget del film. “Il produttore John Goldstone”, ricorda Eric Idle, “andava su e giù per l’America a cercare soldi. Noi stavamo proprio lì a New York e allora li incontrammo, e ci dissero ‘Non ce la si fa’. Amavano la comicità dei Pythons, ma il tema era troppo problematico, allora chiamai George Harrison e lui mi disse: ‘Non ti preoccupare, i soldi te li do io”. E io dissi: ‘Wow”. Il budget era cresciuto da 400mila dollari a 4 milioni di dollari, e nessun produttore ce li avrebbe mai messi”. Invece Geroge mantenne la parola data, e pagò tutto. Si ipotecò la casa e racimolò i soldi, fu straordinario. Pagò il film perché voleva vedere il film. Il più costoso biglietto mai pagato nella storia del cinema. Dio lo benedica”.

“L’idea che avevamo era che per costruire il film dovevamo concentrarci molto sulla resa cinematografica”, racconta Michael Palin. “E che il contributo in questo senso di Terry Gilliam era fondamentale come era stato per il Sacro Graal. Se non hai a disposizione una tremenda quantità di soldi, allora assicurati almeno che le scene che giri non sembrino un gruppo di dementi con dei fondali di legno dietro di loro. Ingaggiamo varie comparse che sembravano veramente Giudei o Arabi. E molte scene bibliche epiche risultano credibili anche se sono state realizzate nel nord dell’Inghilterra. Terry Gilliam fu fondamentale nella scelta delle location, anche se poi il film lo diresse Terry Jones”.

“Quando abbiamo cominciato a girare la Crocifissione”, racconta John Cleese, “molti di noi si ammalarono piuttosto seriamente. Ed era anche una cosa piuttosto divertente, perché mi ricordo che quando arrivammo proprio alla scena della Crocifissione, mi ricordo che pensavo: ‘Basterebbe già avere questa febbre malefica senza il bisogno di essere crocifissi’.
“Girare il film andò avanti senza problemi”, dice Michael Palin, “. Solo alla fine c’inceppammo un po’. Non sapevamo come regolarci bene con la Passione e la Crocifissione, anche se ero molto fiero che tutta l’ultima parte io e Terry Jones eravamo riuscita a scriverla privilegiando l’aspetto storico: il gioco era prendere questi personaggi storici come Pilato e dargli delle caratteristiche moderne”.
“Come finire il film?”, dice Eric Idle, “Una volta che eravamo a casa di Terry Jones e non avevamo idea di che cosa metterci alla fine, io dissi: ‘Facciamola finire con una canzone’. E pensavo che dovesse essere una canzone allegra. Nella mia testa avevo sempre idea che fosse una specie di canzone da fischiettare, come una canzone da film Disney con un ritmo fischiettato. E tornai dritto a casa e la buttai giù, poi andai a prendere mio figlio a scuola, e gliela suonare per vedere se funzionava. E il giorno dopo la feci sentire a tutti gli altri, e dissero: ‘Okay, è questa’. E oggi è una canzone che boh tutti hanno cantato. Io ne ho una versione di Art Garfunkel. E un’altra in cui canta Jack Nicholson. È diventato un classico. Uno standard”.

“Ho l’impressione”, ricorda Michael Palin, “che il periodo in cui girammo Brian di Nazareth sia stato il periodo più felice per i Pythons dal tempo delle prime due serie del Flying Circus. Ognuno sembrava aver dato un contributo importante, ognuno aveva il suo momento. E poi fu un successo, ed erano tutti felici.

Nel 1982 i Monty Python sono di nuovo in America. “Eravamo stati a New York, e ci dicemmo perché non farci pure l’altra costa?”, dice Eric Idle. “Sembrava un posto fico dove andare. E Live at Hollywood Bowl sembrava un titolo così strepitoso che decidemmo di farne uno spettacolo”. È Denis O’ Brien, il loro manager, a organizzare lo show, e vale come la consacrazione hollywoodiana. Nell’arena dove si erano esibiti Frank Sinatra ed Errol Garner. E tra le diecimila persone presenti accorsi vedere lo show dal vivo dei Pythons, ecco i fan storici: Mick Jagger, John Belushi e tutta la truppa del Saturday Night Live, Richard Branson, Martin Scorsese, George Harrison… “George Harrison era convinto”, dice Terry Gilliam, “che i Pythons avessero ricevuto lo spirito dei Beatles dopo lo scioglimento. Perché noi cominciammo praticamente l’anno dopo che loro si sciolsero”. John Cleese ricorda: “Dissero che c’era anche Jack Nicholson, ma io non lo vidi”.

Ma sempre Denis O’ Brien preme perché dopo Brian di Nazareth i Monty Python girino subito un altro film. “Denis O’ Brien”, racconta Eric Idle, “andò da John e gli disse: ‘Senti, avete fatto Brian di Nazareth, se fate un altro film, non dovrete più lavorare’. E credo che questo fosse il tipo di argomento che faceva presa su John che non voleva mai lavorare. Ma fece presa fino a un certo punto, perché lui non voleva lavorare neanche a quel film. ‘Voglio solo andarmene su un’isoletta a leggermi in libro’, diceva. E così cominciammo a lavorare a questo progetto di film per anno senza coinvolgere John”.
Terry Jones ricorda: “La Universal ci fece un’offerta ottima. Ci diedero 8 milioni di dollari, che erano un mucchio di soldi a quei tempi; e carta bianca sul serio. Gli dicemmo che non avrebbero potuto visionare la sceneggiatura”. “Vendemmo il progetto del film”, dice Eric Idle, “a un tizio della Universal che si chiamava Ted Mount. Lui voleva sapere come pensavamo questo film e noi gli scrivemmo una poesia di quattro righe che diceva:

In questo film c’è tutto
C’è tutto quello che ci si mette:
dal senso della vita
alle tipe con le grosse tette.

Allegammo alla poesia anche un piano di budget delle spese previste, e Mount ci disse okay.
Recentemente l’ho incontrato l’ho voluto ringraziare a distanza d’anni per la fiducia. E lui mi ha detto: ‘Ero in credito con l’Universal perché riuscii a ingaggiare i Monty Python, perché con i Pythons nella nostra scuderia tutti i comici d’America volevano firmare un contratto con noi, tutti da Eddie Murphy a tutti gli altri. Insomma, essere nella stessa scuderia dei Pythons: era questa la motivazione per cui volevano farlo. E ancora vanno avanti con la storia che non lo facevano per guadagnare. I produttori sono tutti dei paraculi bastardi…”

“Dopo Brian di Nazareth non volevamo fare un film piccolo, o leggero”, dice Eric Idle, “volevamo fare un film che parlasse della nascita, della vita e della morte. Un film su temi forti. A un certo punto venne fuori un titolo che era La terza guerra mondiale dei Monty Python. Un gran titolo, e anche abbastanza indicativo di quello che stavamo cercando”.
“C’è stata un’idea a un certo punto”, ricorda John Cleese, “che io pensavo che fosse molto divertente, che era la ricerca del senso della vita sponsorizzata dalle sigarette Benson & Hedges. L’idea era che ci sono questi esploratori che se ne vanno a zonzo in Land Rover per il mondo, e a me quest’idea è sempre piaciuta. Io e Graham scrivemmo un bel pezzo di questa sceneggiatura, e a un certo punto ci mettemmo anche un ayatollah che catturava i due esploratori. Poi c’era questa scena in cui condannavano a morte proprio l’ayatollah Khomeini e penso che se fossimo riusciti a girare il film, saremmo stati colpiti da una fatwa, tipo Salman Rushdie. Sono piuttosto serio. Così devo la mia vita probabilmente al fatto che alla fine non infilammo quel materiale nel film. Ma penso che fosse la direzione giusta per lavorare”.

“Poi ce ne andammo in Giamaica”, racconta sempre Cleese. “L’idea era come con le Barbados. Staccare da tutto e concentrarsi a scrivere il film. Ma dopo circa tre giorni, una notte mi rivolsi verso gli altri e gli dissi ‘Perché non abbandoniamo il progetto? Non se ne esce. Perché non ci godiamo dieci giorni di vacanze fantastiche e ce ne torniamo a casa e diciamo quanto abbiamo lavorato duro e quanto è stato amaro ammettere che non ce l’abbiamo fatta, non abbiamo nessuna sceneggiatura, ci dispiace’.
Agli altri l’idea non dispiacque, ma poi la mattina successiva a colazione arrivò quel rompicoglioni di Terry Jones che aveva fatto non si sa come un sacco di lavoro. Aveva una struttura divisa in varie fasi e un titolo, Il senso della vita. Allora demmo un’occhiata, considerammo la cosa, e dicemmo: ‘Okay, va bene, facciamolo’”.

Il Senso della vita prende la sua forma destrutturata durante le due settimane passate in Giamaica. L’idea di dividere il film in una serie di momenti corrispondenti alle fasi più importanti della vita mette d’accordo tutti. C’era la nascita, l’educazione, la guerra, la mezza età, i trapianti di organi vivi, gli anni del declino, e la morte. E in più arrivò il contributo di Terry Gilliam, che parallelamente costruisce un piccolo film nel film The Crimson Permanent Insurance, una specie di film di pirati ambientato nel mondo delle assicurazioni. “Questo film nel film di Gilliam”, dice Eric Idle “era pensato per arrivare al minuto sessantottesimo del Senso della vita quando le cose diventavano noiose. Arrivava questo corto sulla Crimson Permanent Insurance, che ti scuoteva e poi il film si avviava verso la fine. Ma il progettino di Gilliam diventava sempre più lungo, Terry stava sforando come al solito qualsiasi budget, e la cosa andò completamente fuori controllo e invece di durare sei minuti arrivò a durarne sedici”; “Terry”, ricorda Cleese, “non voleva fare il regista allora gli chiedemmo di realizzare una sequenza da infilare in mezzo al film. La cosa lo entusiasmò e sforò il budget che aveva di circa un milione di dollari, e quello che doveva essere una cosa di pochi minuti nella sua prima versione durava ventisette minuti. E alla fine era troppo lungo e decidemmo di piazzarlo all’inizio”.


The Crimson Permanent Assurance di PigLips

“Lasciammo fare la maggior parte del montaggio a Terry Jones”, dice John Cleese. “Mi chiese il parere una o due volte e gli diedi la mia opinione. E lui come al solito fece l’opposto, che era quello che accadeva in genere tra me e lui. Era un sistema che funzionava perfettamente. Io dicevo la mia ed ero contento, lui faceva come gli pareva ed era contento”.
“Ci sono delle cose fantastiche nel film, è un film potente in ogni scena”, dice Michael Palin. “Mr. Creosoto, penso che sia una delle cose migliori che abbiamo fatto nell’intenzione di elevare delle piccole trovate verso una sorta di grandiosa dimensione surreale, gotica, stravagante. O la scena di Eric e Graham che fanno i Protestanti è uno dei pezzi di recitazione più forti che i Monty Python abbiano mai realizzato. È recitato divinamente. Ed “Every Sperm is sacred” è delle canzoni migliori”.

“E all’improvviso”, ricorda Eric Idle, “lo volevano a Cannes. Io andai al Festival e fu fantastico. Perché i primi sedici minuti, il film di Gilliam, The Crimson Permanent Insurance li rese bendisposti. Si aspettavano della roba alla Pythons ma si ritrovarono questo filmetto delizioso che li mise nell’umore giusto in modo che li potessimo colpire ben bene con gli sketch. E tutto il tempo c’era John che continuava a dichiarare ai giornali che si sarebbe vergognato se avessimo vinto. Mentre Terry Jones faceva l’opposto. Appena sceso all’aeroporto annunciò subito che avremmo vinto, se non altro perché avevamo comprato tutti i componenti della giuria. E ci fu un giornale che titolò proprio: “I Pythons comprano la giuria”. E fu un doppio bluff perché quando effettivamente ci dettero il premio, Terry salì sul palco a riceverlo e dichiarò che potevano trovare i soldi nei bagni, direttamente sotto i tubi della tazza”.
“E Galaxy song?”, dice John Cleese “Galaxy Song non è una delle migliori canzoni che abbiamo scritto. Ma è una delle migliori canzoni mai scritte. Io all’inizio pensavo il contrario. Ma mi feci convincere da Terry e dovetti ammetterlo quando vinse il premio per la miglior canzone a Cannes”.

Il senso della vita è l’ultimo film dei Monty Python, anche perché nel 1989 Graham Chapman muore di cancro. E se già in vita prima era il meno partecipe in fase di scrittura, adesso da morto diventa tutto più complicato.

I Monty Python realizzano insieme ancora un paio di dischi, mixando del vecchio materiale. Ma non si riuniscono più per spettacoli o film: tutto questo fino al 1998, quando si ritrovano ad Aspen per uno spettacolo-intervista di beneficenza.
“Aspen fu un successo”, ricorda Micheal Palin, “in parte perché Aspen era un posto veramente splendido dove stare. Stava nevicando, il teatro dov’eravamo era piccolo, un vecchio teatro con circa quattrocento persone e l’atmosfera era incredibilmente calda”.
“Avevamo portato con noi da pesare su una sedia del palco anche le ceneri di Graham. E a un certo punto a Terry Gilliam venne in mente questo. Si alzò, fece un movimento brusco e fece rovesciare le ceneri sul palco. Poi si diede da fare per cercare un aspirapolvere per raccoglierle”.

“Penso”, dice Palin, “che la qualità del lavoro dei Pythons sia stata la cosa più importante. Ci sono state cose che abbiamo fatto che forse non erano così divertenti. Ci sono stati dei momenti negli spettacoli in cui avevo l’impressione che qualcosa non funzionasse e che poteva essere fatta meglio. Ma penso che abbiamo mantenuto nel tempo un occhio critico. Quello che pensavamo facesse ridere poi faceva effettivamente ridere. Non ci siamo dovuti vergognare di noi stessi a un certo punto. D’altra parte penso che la comicità dei Pythons sia stata una comicità liberatoria. Ha liberato un sacco di gente, facendola ridere per le cose più disparate. Non cercavamo di fare una parodia di un mondo in particolare. Andavamo in tutte le direzioni anche perché quello che scrivevamo veniva fuori da sei teste. Così ti puoi guardare un nostro film o un nostro spettacolo e puoi godertelo in qualsiasi direzione vuoi. Può essere tenero o magari stravagante o può avere uno strano fascino e poi il momento dopo può essere duro e vizioso e aggressivo. È qualcosa che è molto difficile trovare in altre forme di commedie. Ed è probabilmente questa una delle ragione per cui i Pythons sono ancora qui”.

Christian Raimo

Christian Raimo è nato (nel 1975) e cresciuto e vive a Roma. Ha studiato filosofia e ha pubblicato per Minimum Fax due raccolte di racconti: Latte (2001) e Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004). È un redattore di «minima&moralia». Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia.