Dopo l’iPhone è tempo di metaversi

Nell’ultimo mezzo secolo l’industria informatica è andata avanti in una serie di passaggi generazionali regolari. Ogni 15 anni circa è sempre nato un nuovo ecosistema basato su un tipo particolare di prodotto: abbiamo avuto i mainframe, poi i PC, poi il web e poi gli smartphone. Ognuno di questi ha seguito una curva a “S”: all’inizio erano piccoli e non molto utili, sono diventati molto più grandi e molto potenti, e poi sono maturati e sono diventati noiosi, proprio mentre stava arrivando la curva successiva.

Dove sono ora gli smartphone? Proprio qui, in pieno plateau: il prossimo iPhone sarà annunciato tra poche settimane e andrà bene, sarà fantastico, ma non così interessante come il primo.

Gli smartphone di oggi sono noiosi. Per questo, negli ultimi anni, in molti si sono chiesti cosa verrà dopo. La risposta? Non lo sappiamo. Forze il metaverso sul quale Mark Zuckerberg ha deciso di scommettere Facebook? Qui una raccolta di possibili interpretazione del termine metaverso ma io (e non solo io) continuo a pensare che Zuckerberg abbia qualcosa d’altro in mente.

Zuckerberg è stato bravissimo ad agganciare la transizione tra il web e i telefonini, a trasformare Facebook da prodotto tipicamente per Pc in una app perfetta per gli smartphone. E adesso penso che lui abbia puntato il suo prossimo nemico, Epic Games, e soprattutto il metaverso emergente di quell’azienda: Fortnite. Varrà un pacco di miliardi, secondo alcuni, e inghiottirà tutti i marchi e tutti i personaggi del pianeta, trasformandosi in una piattaforma epica (e non è l’unica azienda a provarci: vedi alla voce Nintendo, ad esempio).

È esattamente il posto dove vuole andare Facebook: non i videogiochi, sia chiaro. Zuckerberg vuole inghiottire tutti i marchi e tutti i personaggi del pianeta. È questo quel che succederà dopo l’iPhone? La realtà aumentata che si sposa con il metaverso? Secondo Matthew Ball (venture capitalist, tifoso del concetto di metaverso come prossima vacca da mungere e l’autore della sovrastante raccolta di interpretazioni possibili del termine) la risposta è semplice: .

Zuckerberg, Ball, Tim Sweeney (il ceo di Epic Games) non sono da soli. A uno Zuckerberg che dice: “Penso che nei prossimi cinque anni circa passeremo dall’essere percepiti dalla gente principalmente come una azienda di social media a una azienda del metaverso”, risponde un Satya Nadella (ceo di Microsoft) che dice di voler costruire un Enterprise Metaverse, cioè “un nuovo livello dello stack dell’infrastruttura” dove “il mondo digitale e quello fisico convergono”.

C’è tuttavia un problema nascosto in profondità, sotto l’opportunità commerciale e il marketing che si sta strutturando per renderla palatabile. Un vero e proprio “peccato originale” che non ammette redenzione. Il metaverso, come lo immaginano Zuckerberg e gli altri, è una visione bislacca e per niente positiva del mondo, costruita da un mix di fantasie giovanili, opportunità di mercato percepite e distopie manifeste. Non va bene il framing, l’idea stessa di metaverso come cornice che definisca lo spazio del discorso, la narrazione dominante (così come il framing attuale dei social è estremamente tossico, vedi la nostra incapacità di andare oltre come società e istituzioni).

Quello che voglio dire è che progettare il futuro a forma di metaverso, sapendo che l’idea è già connotata negativamente e decisamente marcia se tolta dal contesto della fantascienza e messa al posto della società contemporanea, secondo me non è una saggia idea. Soprattutto, dopo non ci possiamo lamentare se viene fuori un nuovo mostro della rete paragonabile all’attuale struttura dei social, che tritano le relazioni sociali e l’energia delle persone per produrre enegagement e monetizzare gli utenti.

Al prossimo fine esegeta del tempo presente toccherà di trovare una nuova immagine che vada oltre quella di “capitalismo della sorveglianza“. Non ho personalmente l’energia per scrivere un libro di 700 pagine sull’argomento, ma il “capitalismo onirico” o, parafrasando Dylan Dog, il “capitalismo dell’incubo” mi pare una definizione plausibile. E dovrebbe farci riflettere sul fatto che i mattoni fondanti l’idea di metaverso sono una serie di distopie: il nostro mondo è in rovina e la maggior parte delle persone vive vite precarie in estrema povertà. Il metaverso stesso è un luogo che crea dipendenza, violento e un abilitatore del nostro impulsi peggiori. E non si riesce più neanche a decidere se il metaverso è così attraente perché il mondo reale è diventato così tremendo, oppure il contrario, se il mondo è tremendo, devastato e violento perché il metaverso invece è così bello e attraente.


(Questo è un piccolo anticipo della mia newsletter gratuita Mostly Weekly di domenica prossima)

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio