Keitai denwa

Per il nostro dizionario periodico ragionato di giapponese questa volta tocchiamo un tema relativamente antico, almeno parlando di tecnologia.

I keitai denwa (携帯電話, letteralmente “telefoni portatili”) sono gli smartphone giapponesi dei tempi che furono, cioè di prima che nel 2007 arrivasse l’iPhone e il mondo si trasformasse in un susseguirsi di tavolette di vetro o metallo (o di vetro e plastica), piccoli monoliti tascabili simili a miniature di 2001 Odissea nello Spazio.

I keitai denwa invece sono stati un prodigio vero e hanno portato l’innovazione, quella vera, prima di tutti gli altri nel settore del mobile: tecnologie come le video-fotocamere, i giochi per mobile, lo streaming video, la navigazione con Gps, i player Mp3.

Il Giappone era talmente avanti che, ricordo, leggendo il libro di Howard Rheingold, Smart mobs, l’impero del Sol Levante sembrava un po’ il posto del futuro, quello dove si trovavano le tendenze che anni dopo sarebbero apparse nel resto del pianeta. Anche William Gibson ci andava a nozze, non a caso, già dall’inizio degli anni Ottanta.

Nel mio piccolo, nei primissimi anni duemila, quando sono andato per la prima volta a Tokyo, mi stupii di vedere tante persone in pausa pranzo mangiare da sole “in vetrina”: appollaiati sugli sgabelli con una ciotola di ramen o di udon davanti, guardavano intenti il piccolo schermo del telefono che tenevano in mano, incuranti del mondo che gli passava davanti. Erano persi altrove, connessi altrimenti con il loro keitai denwa.

Non è che non avessi mai visto un telefonino. Anzi, ce l’avevo anche io, anche all’epoca. Erano tuttavia anni in cui da noi il telefono usciva dalla tasca solo per andare direttamente all’orecchio, o al massimo si scrivevano gli sms ma per leggere quelli che arrivavano ci volevano due secondi: cosa diavolo avevano da guardare il telefono tutto il tempo, i giapponesi? Ora lo sappiamo.

E lo sapete anche voi. Ad esempio, tre su quattro di voi che state leggendo questo articolo lo state facendo con il vostro smartphone (e siete in quattro in tutto, probabilmente, compreso me che sto cercando i refusi). Ci pensate? Tutto questo prima del 2007 non c’era. E adesso il mondo è diventato diverso.


Con questo piccolo dizionario tematico di giapponese voglio condividere non tanto una competenza linguistica, quanto una esplorazione intellettuale di un altro modo di pensare e rappresentare le idee con le parole. Non sono un parlante giapponese e quindi è possibile che ci siano micro e macro imprecisioni: se le notate e le segnalate le correggo volentieri e mi considero arricchito dal vostro aiuto.

Nota ulteriore per gli appassionati del genere, e gli impazienti: nella mia newsletter gratuita Mostly Weekly pubblico ogni domenica, fra le altre cose, anche un’altra parola giapponese nella sezione chiamata in modo appropriato “Yamatologica” di cui queste sono versioni ulteriori arricchite.

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio