Apple ieri ha cambiato tutto cercando anche di non cambiare nulla

Apple ha annunciato il suo primo processore “fatto in casa” per Mac, chiamato M1, e tre modelli del suo computer nato nel 1984, il Mac, basati sulla nuova architettura. Uno è un portatile ultraleggero (e senza ventole), il MacBook Air. Un altro è il portatile più carrozzato ma ancora di dimensioni contenute, il MacBook Pro 13 pollici. L’ultimo è il più piccolo e compatto dei personal computer da scrivania di Apple, il Mac mini.

Craig Federighi

Apple Silicon M1 Craig Federighi

Tutti e tre, sostiene Apple nella presentazione che è stata fatta martedì sera (ora italiana), vanno molto di più e molto meglio dei precedenti Mac che sostituiscono, dotati di processore Intel. È una questione termica, in buona parte, perché questi nuovi computer scaldano meno e al tempo stesso fanno di più. Ma è anche molto, molto più complicato di così.

Quello che è ho capito è che questa transizione è estremamente difficile per Apple, ma l’azienda guidata da Tim Cook sta riuscendo nella prima parte dell’esercizio: comunicare la Grande Rivoluzione e al tempo stesso rassicurare tutti che il Mac rimane esattamente uguale a prima. Nessuna delle due cose è vera, a mio avviso. Ovverosia, non penso che le cose stiano esattamente così, e questo rende l’esercizio ancora più interessante, oltre che riuscito.

La Grande Rivoluzione è il passaggio a un processore sviluppato internamente da Apple e prodotto dai taiwanesi di TSMC, che sono più avanti di Intel nella finezza delle lavorazioni, arrivando ai 5 nanometri di miniaturizzazione. Processori con transistor più piccoli, 16 miliardi in questo caso, hanno performance migliori di processori con transistor più grandi perché le componenti sono più vicine, consumano meno energia, hanno bisogno di spostare meno gli elettroni, e probabilmente hanno un design più moderno.

Il processore M1 (immagine Apple)

Il processore M1 (immagine Apple)

In realtà non è una Grande Rivoluzione perché il processore di Apple è un vecchio amico. È da più di un decennio è quello che viene utilizzato sugli iPhone e gli iPad. Apple ha fatto un lavoro costante, sia in termini di ricerca e sviluppo che di acquisizione di aziende specializzate nel design dei chip, di produzione e ottimizzazione di questi chip. La Grande Rivoluzione, se una rivoluzione c’è stata, è stata parecchi anni fa. Ed ha pagato tantissimo, in termini di resa di mercato, perché gli iPhone e gli iPad sono diventati prodotti tecnologicamente superiori alla maggior parte della concorrenza (secondo Apple a tutta la concorrenza, ma concediamoci il beneficio del dubbio) anche e soprattutto grazie ai processori della serie Axx.

La Grande Rivoluzione dunque non è quella del processore, che è una evoluzione estrema di un design già noto e ben maturo. E non è neanche così recente: se ne parlava da parecchi anni. Infatti, i tempi di attesa per questi Mac con Apple Silicon sono più lunghi dei sei mesi che ci separano dall’annuncio della scorsa primavera, fatto durante la WWDC, la conferenza internazionale degli sviluppatori di software per l’ecosistema Apple. L’idea che i Mac sarebbero passati ad Apple Silicon girava da più di cinque anni. Il lavoro fatto per portare l’architettura che fa girare iOS/iPadOS (i sistemi operativi di iPhone e iPad) su Mac è ancora antico.

Il processore di Apple M1 contro un processore tradizionale per Pc (immagine Apple)

Il processore di Apple M1 contro un processore tradizionale per Pc (immagine Apple)

Invece, anche l’altro aspetto, cioè la continuità tranquillizzante che Apple propone, ovverosia che il Mac è sempre il Mac, che Big Sur (la nuova versione del sistema operativo) sia effettivamente “bicefala” cioè capace di girare in modo uguale su un “vecchio” Mac con processore Intel e su un nuovo Mac con processore M1, secondo me è fuorviante. La nuova architettura M1 è basata su presupposti completamente diversi da quelli delle architetture hardware tradizionali per i personal computer, e il sistema operativo è stato fortemente ottimizzato per funzionare bene su quel tipo di macchina. Quando, tra un paio di anni, non verranno più realizzate versioni di macOS compatibili anche per processori Intel si vedrà con tutta probabilità dove sta andando a parare Apple: nei suoi laboratori probabilmente quella generazione di sistemi e hardware sta uscendo adesso dalla fase progettuale e viene testata in maniera più completa ed estensiva.

Tuttavia, è proprio la logica di funzionamento che cambia: Apple Silicon ha nuclei di calcolo specializzati per funzioni diverse, sia in termini di performance (più lenti e parsimoniosi, più veloci e consumosi) sia in termine di funzioni (grafica con Metal, machine learning con il Neural Engine). E sono tutti impilati su un unico wafer di silicio che si chiama SoC, system on a chip. In pratica, su un chip unico vengono integrate una serie di funzioni prima svolte da chip diversi. In questo chip ci sono anche i controller per la sicurezza (Secure Enclave) e la gestione della memoria, oltre alla memoria stessa, che si chiama Unified Memory, memoria unificata, perché viene messa a disposizione contemporaneamente di tutti i nuclei di calcolo.

i tre Mac con M1 presentati da Apple in sintesi (Immagine Apple)

i tre Mac con M1 presentati da Apple in sintesi (Immagine Apple)

I nuovi chip assolvono così a funzioni note (grafica, calcolo lineare) e nuove (machine learning) in modo inedito rispetto alle architetture tradizionali x86 e Amd per i personal computer. Questo vuol dire poter riprogettare il computer attorno al nuovo modo di funzionamento (accensione istantanea, connessione costante, funzioni in background anche a computer spento, velocità di funzionamento differenziate, capacità di spostare ampi carichi di lavoro accedendo a tutta la memoria) ma anche riprogettarne il sistema operativo.

Per gli sviluppatori che realizzano software tradizionalmente questo vuol dire poco, perché lo scopo del sistema operativo è quello di nascondere la complessità sottostante, astrarre e offrire un set di risorse uniforme che possa essere “consumato” dagli applicativi in modo indipendente dal singolo tipo di computer. Però quando si cambia architettura parte del cambiamento di paradigma tocca anche gli sviluppatori ai piani più alti, e questo sta accadendo adesso, con la possibilità di realizzare software basato su framework pensati originariamente per iPhone e iPad. Oppure trasferire direttamente queste app nel Mac con pochi cambiamenti.

Tre Mac con M1 e responsabilità ambientale (Immagine Apple)

Tre Mac con M1 e responsabilità ambientale (Immagine Apple)

L’interfaccia è poca cosa, è una pellicola sopra la tecnologia, e chiedersi se i Mac avranno lo schermo touch o cose del genere è futile: è più interessante capire la pervasività di sistemi always on e con machine learning disponibile per qualsiasi funzione in modo facile e veloce. La videocamera dei MacBook, che rimane la stessa versione a 720p di non eccelsa qualità, ad esempio, fa un salto in avanti perché c’è un nuovo processore del segnale video che è potenziato nel suo funzionamento dal machine learning. Risultato? Le immagini riprese per le videoconferenze sono di qualità molto migliore grazie al cambiamento di architettura, non al cambiamento del sensore di ripresa. E i software adesso possono accedere a sistemi di machine learning per fare ad esempio gestione del framing dei fotogrammi video nei software di editing multimediali, eliminando le vibrazioni e i tentennamenti durante la ripresa in modo naturale. O aumentando la risoluzione delle fotografie. Cose di questo genere.

MacBook Pro M1 (immagine Apple)

MacBook Pro M1 (immagine Apple)

Il Mac è stato il quinto computer prodotto dall’azienda (dopo il primo Apple I, seguito da Apple II, dal Lisa, e dall’Apple III, più svariate declinazioni come l’Apple IIGS) ed ha definito un modo di intendere l’informatica. Ha cambiato già due volte processore, dall’originale 68K di Motorola ai PowerPC del consorzio Ibm-Motorola-Apple, sino ai processori Intel presi nel 2005 per rilanciare le performance. I vari passaggi hanno avuto conseguenze importanti dal punto di vista commerciale e anche strategico (ad esempio, i Mac con Intel sono direttamente paragonabili ai loro concorrenti con Windows, e possono installare Windows sia in una partizione separata che come sistema operativo unico, oppure virtualizzarlo dentro macOS) ma hanno sempre rispettato le logiche di architettura e di mercato dei personal computer definite negli anni Settanta e primi anni Ottanta.

Mac mini M1 (Immagine Apple)

Mac mini M1 (Immagine Apple)

Adesso l’integrazione fortissima delle componenti in un unico chip, che deriva dal settore embedded ed è stata fatta esplodere dagli smartphone, più l’integrazione verticale estremamente spinta di hardware, software e servizi, che è una caratteristica di Apple perché produce sia il proprio software che il proprio hardware e adesso anche le componenti principali della scheda madre, portano a un cambio di passo significativo. I nuovo Mac sono molto diversi da quelli precedenti, sia dal punto di vista hardware che software che commerciale, anche se esteticamente sono rimasti uguali al millimetro.

L’esempio di questo cambiamento che è e non è tale, viene dal processore M1: i tre Mac hanno performance molto diverse in termini di velocità, autonomia e flessibilità. Però utilizzano tutti lo stesso identico processore (a parte la versione base del MacBook Air, ma la differenza è quasi irrilevante). Stesso processore vuol dire stesse specifiche in termini di numero di transistor, frequenza di clock (non rivelata) e consumo elettrico. Come è possibile avere prestazioni diverse dallo stesso processore?

MacBook Air M1 (immagine Apple)

MacBook Air M1 (immagine Apple)

La risposta sta nella complessità e coralità di funzionamento delle sue componenti. E dal fattore termico, il “thermal envelope” che fa fare “throttling”, accelerare o rallentare tutto, a seconda della temperatura operativa del processore. Che cambia in funzione dello spazio a disposizione, del modo in cui viene raffreddato e dalla quantità di energia che viene passata ai nuclei di calcolo.

In buona sostanza, se con un unico processore si possono fare tre computer con tre profili commerciali diversi, e a tendere probabilmente anche un altro paio di computer, questo vuol dire che il processore in un certo senso è diventato una commodity. E che la creazione dei computer è un esercizio guidato dal marketing più che dagli ingegneri. Il che è molto, molto interessante. Questo, secondo me, è infatti il succo della trasformazione ed è un cambiamento notevole che porterà a conseguenze ancora più notevoli, entro un anno o due.

Su questo argomento tornerò domenica anche nella mia newsletter, Mostly Weekly., ci sono infatti parecchie cose delle quali si deve ancora parlare e voglio raccogliere un po’ di articoli in rete fatti da analisti esperti di tecnologia per capire che cosa si sta dicendo.

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio