Una polemica necessaria

La sonnacchiosa atmosfera milanese post-natalizia è stata scossa in queste ultime ore da una polemica sul destino di un’importante area della città: l’area ex-Enel ubicata di fronte al Cimitero Monumentale, che verrà radicalmente trasformata da un progetto approvato in epoca Moratti e confermato in ultima lettura dall’attuale Consiglio Comunale del 23 dicembre scorso.

La polemica, con una lettera aperta al sindaco e all’assessore all’urbanistica, è stata lanciata da Gianni Biondillo sul Corriere della Sera e da Marco Belpoliti su Il Fatto Quotidiano e quindi su doppiozero.com, che, partendo dalla disastrosa qualità del progetto presentato, punta direttamente al tema della qualità delle architetture che verranno realizzate in futuro a Milano e al tema, delicatissimo e fondamentale, della consapevolezza o meno della politica su questo argomento.

Il progetto redatto dall’architetto Giancarlo Perrotta, noto per le modestissime e, da poco rifatte, torri della Stazione di Porta Garibaldi, è una vera offesa all’area per ignoranza urbana e sfregio alla memoria dei luoghi che si trova a demolire. L’area ex-Enel è un isolato urbano a cuscinetto tra la zona Paolo Sarpi e il Cimitero Monumentale, per lo più realizzato durante gli anni Trenta con un’architettura civile, rigorosa e modernista che definiva i limiti fisici della città che si affacciava verso le campagne e i grandi vuoti che si perdevano all’ombra del Monumentale.

In una città che si dice civile ed evoluta, la riforma di un’area così delicata della città sarebbe stata sottoposta a concorso internazionale, magari accompagnato da un confronto pubblico aperto e trasparente.

Invece si è preferito affidare il progetto a uno dei tanti architetti normalizzatori, di portarlo silenziosamente attraverso tutto l’iter amministrativo, e di attendere la naturale scadenza delle tappe che portano alla sua realizzazione. Sono certo che non ci sia stata alcuna pecca nella procedura, così come tanto minuziosamente e burocraticamente ha sottolineato l’assessore de Cesaris  in risposta all’intervento di Belpoliti, ma impressiona la totale assenza di un qualsiasi pensiero sulla qualità e la bellezza (ma sì, usiamo questa parola tanto importante e scivolosa) di architetture che offendono per mediocrità progettuale e per insipienza concettuale la nostra città.

Per quanto riguarda la polemica specifica e i rendering, grotteschi e qualsiasi nella loro genericità, rimando a www.areaexenel.com. Sono immagini che mi offendono in quanto cittadino, soprattutto perché ripropongono tutto quel bagaglio di luoghi comuni, palazzinacce di periferia, materiali volgari, modernetto d’accatto che hanno costruito le nostre città e le nostre periferie negli ultimi decenni, e che andrebbero respinte con ogni forza, in ogni città italiana.

L’area ex-Enel, oltre al valore specifico che dimostra per la città di Milano, diventa simbolica dell’impossibilità di continuare a sprecare occasioni vitali per i nostri territori che non potranno più permettersi nei prossimi anni il consumo insensato di territorio com’è avvenuto fino ad ora.

In una fase storica in cui le risorse saranno sempre più ridotte e i terreni sempre più preziosi, ogni progetto, ogni intervento di trasformazione dovrebbe essere regolato da un confronto pubblico condiviso e trasparente che veda nel nuovo progetto e nella sua qualità un elemento centrale da cui partire, e su cui costruire una diversa forma di consapevolezza collettiva per il futuro fisico e ambientale del nostro Paese.

Come cittadino vorrei vedere dal sindaco Pisapia e dalla sua giunta la rottura di quell’inerzia amministrativa, carica d’ignavia e d’indifferenza, che sta portando tanti cattivi progetti a essere realizzati nel territorio della città che amministra, perché il tema-problema della bellezza dei luoghi che viviamo e abiteremo non riguarda il gusto personale mio o del sindaco, ma la dimensione etica e civile dei luoghi e della loro anima.

Tanti casi in Europa e nel mondo dimostrano che, quando un’amministrazione ha il coraggio di fare scelte forti puntando sulla qualità diffusa dei luoghi e dei progetti che li ricostruiscono, queste scelte costruiscono città in cui vale la pena vivere, creare, abitare e pensare a un futuro differente.

I toni avvocateschi e politicanti dell’assessore de Cesaris che elenca le quantità, i numeri, i benefici del nuovo intervento, dimenticando che tra le brutte architetture nessuno ama ritrovarsi, scambiarsi esperienze e idee, vivere, mi hanno impressionato e spero sia un semplice incidente di percorso da parte di chi dovrà decidere molto sul futuro governo del territorio metropolitano.

La bellezza dei luoghi e dei progetti non sono argomenti da salotto o semplici questioni di gusto personale, perché tutte le città che hanno un’anima che vale la pena ricordare hanno avuto il coraggio delle scelte e la visionarietà che pensare futuro vuol dire sapere avviare la costruzione di una città come laboratorio vivo e aperto alla qualità.

Mi piace guardare alle lettere aperte di Biondillo e di Belpoliti come a un gesto chiaro e civile per una presa di posizione pubblica e progettuale sulle nostre città, ma sono soprattutto curioso di vedere che risposte vere, sostanziali, saprà dare questa giunta su cui tante speranze si sono accumulate in questi mesi e che non possono essere ridotte a semplici precisazioni amministrative.

Sono tempi difficili, e nessuno pensa di fare le nozze con i fichi secchi, ma chi crede che la bellezza, la qualità siano un semplice sogno per tempi ricchi si sbaglia.

Chi dice che non si possa costruire bellezza con budget bassi? Chi ha il coraggio di aprire una strada nuova e di produrre modelli che puntino a sostenibilità finanziaria, equità civile e qualità dei luoghi che abiteremo nei prossimi anni? Chi ha il coraggio di trasformare Milano in un laboratorio urbano, sociale e civile alternativo a quanto fatto negativamente in Italia in questi decenni?

La brutta architettura costa quanto, se non più di quella che noi definiamo architettura di qualità.  E in più ha un ulteriore problema: che la gente oltre a disprezzarla silenziosamente, ne verrà avvelenata quotidianamente, pensando che tutto il mondo sia così, e che non ci sia via d’uscita alla mediocrità con cui abbiamo cementificato il nostro Paese.

 

Luca Molinari

Luca Molinari, storico e critico d’architettura, vive a Milano ma da qualche anno è professore ad Aversa presso la facoltà di architettura. Cura mostre ed eventi in Italia e fuori (Triennale Milano, Biennale Venezia, FMG Spazio e molto altro). Scrivere per lui è come progettare, e l’architettura è la sua magnifica ossessione. Dirige www.ymag.it sito indipendente di architettura e design