Sul green pass e le polemiche

Io capisco molto bene le inquietudini che solleva il green pass e gli elementi critici che teoricamente presenta. E sono anche convinto che il governo non possa puntare tutto su quello strumento di pressione, perché gli spazi di convincimento di una larga fascia di non vaccinati sono molto ampi. Faccio un esempio: perché non vedo degli spazi televisivi in cui si spieghi come funzionano quei vaccini, in che cosa differiscono dagli altri, in cui si risponda in modo semplice alle domande anche strampalate che persone a volte confuse e impaurite si pongono? C’è sicuramente un gruppo di mestatori (quanti sono?) fanatici e pericolosi, che vanno bloccati con tutti i mezzi leciti, ma c’è anche un vasto gruppo di persone che non si vaccinano per paure varie e anche appunto per teorie strampalate. L’ideale sarebbe arrivare ad un numero di vaccinati tale da tollerare statisticamente anche chi non vorrà vaccinarsi. In una società articolata e aperta ci dovrebbe essere posto anche per gli strampalati. E di certo non è la colpevolizzazione l’arma vincente.

Ben vengano quindi le opinioni di tutti e tutte. E certo – per far riferimento agli interventi delle ultime settimane – non si può certo chiedere a persone che di professione hanno sempre studiato le conseguenze storiche delle cose (storici, filosofi, sociologi, etc.), e che hanno una vista particolare per le conseguenze inattese degli avvenimenti e ora hanno davanti agli occhi una cosa, il green pass e gli obblighi vaccinali, che apre una gamma vastissima di potenziali conseguenze impreviste, di stare zitte, di non ragionare o di non immaginare conseguenze potenziali. Non solo non si può pretendere che non lo facciano, ma sono convinto che non possiamo privarci del loro punto di vista (e non credo di pensarlo per questioni corporativistiche, essendo anch’io un accademico). È importante che ne parlino e che mettano sotto pressione i decisori e non sempre bisogna essere d’accordo.

Ci sono però delle cose che non mi tornano nel famoso documento degli universitari e universitarie e nel punto di vista di Barbero o di altri intellettuali intervenuti in questi mesi e giorni.
Del documento apprezzo l’idea di tenere vivo il dibattito sul green pass, che è uno strumento straordinario e che non può essere reso perenne o ordinario. Trovo invece un po’ squalificante del documento stesso l’evocazione di altre epoche storiche (il fascismo, immagino, anche se un po’ pavidamente non viene detto in modo esplicito), perché non mi aspetterei di trovare un uso dell’analogia storica così grossolano in un documento di storici. L’intellettuale che nel modo più brutale ha usato l’analogia è stato, a dire il vero, il filosofo Agamben, che fin dall’inizio della pandemia non si è fatto scrupolo di paragonare professori e professoresse che non si fossero ribellati alla didattica a distanza ai professori che firmarono il giuramento di fedeltà al fascismo; poi ha paragonato il green pass a una tessera verde che rende chi ne è privo automaticamente portatore di una sorta di “stella gialla” e espone invece quanti la portano a conseguenze di controllo e di costruzione di un regime dispotico di cui anche loro si renderanno conto a proprie spese.
Ora, dal mio punto di vista, un conto è segnalare dei pericoli e delle incongruenze, un altro conto è l’uso di strette analogie storiche che squalifica metodologicamente chi le propone. Evocare il fascismo, il nazismo, il genocidio, in che cosa ci aiuta a comprendere la situazione attuale nella sua particolarità e nella sua concretezza storica? In che cosa ci aiuta a risolverla, o anche solo a focalizzarla? Quello che spesso viene rimproverato a chi studia ed è alle prime armi, e cioè di attualizzare il passato, di mettere insieme fenomeni diversi, di non avere reale gusto per la particolarità e la concreta diversità storica diventa qui il criterio interpretativo unico. Non solo, introduce anche un’interpretazione del passato quasi meccanica, come a trovare leggi universali. Ogni volta che un governo, un’istituzione, un potere, ha operato in modo eccezionale nel suo momento eccezionale allora si è imposto, si è voluto imporre, ha portato a conseguenze irrevocabili e imperiture? Funziona davvero così la storia? E davvero le difese istituzionali di cui siamo forniti sono così fragili, così evanescenti, così inutili? Per questo trovo scoraggiante che in un documento di persone che studiano la storia si legga che il green pass fa “affiorare alla mente altri precedenti storici che mai avremmo voluto ripercorrere”.
Così come trovo sconfortante che si dica che nelle università chi non ha il green pass non vede riconosciuto il diritto allo studio. Le università hanno fatto uno sforzo gigantesco nell’ultimo anno e mezzo perché studenti e studentesse potessero avere comunque corsi di qualità (ci si è riusciti sempre? No. A marzo-aprile 2020 siamo partiti da zero e con una certa confusione, ma nessuno ha perso l’anno o i corsi), siamo tornati in aula in modo duale (in presenza e a distanza contemporaneamente) non appena è sembrato possibile, un anno fa (e poi ci siamo riposizionati sull’on line con il secondo lockdown) e ora che la situazione è migliorata – perché ci sono i vaccini! – quasi tutte le attività sono di nuovo in presenza. E chi non ha il green pass?

Chi non ha il green pass – cioè non vuole vaccinarsi e non vuole neppure fare il tampone per garantire chi gli sta intorno – nella maggior parte delle università, o forse tutte, può comunque seguire le lezioni a distanza. Certo, la situazione non si può perpetuare in questo modo, non è così che immaginiamo il futuro prossimo, così come siamo stufi di mascherine e distanziamenti, ed è giusto che si faccia pressione sul governo perché trovi strumenti alternativi, ma davvero possiamo dire che ora, in questo momento, la situazione sia quella di un dispotismo incipiente attraverso il green pass? E che cosa dovremmo fare, ora? Eliminare ogni difesa e poi magari chiudere tutto subito dopo? O fare i corsi a distanza per tutti?
Peraltro, non capisco la logica nel dire che sarebbe meglio se il governo si decidesse per l’obbligo vaccinale, perché meno ipocrita del green pass. Ma il green pass è proprio lo strumento che aiuta a non introdurre l’obbligo vaccinale, che sarebbe una soluzione molto più traumatica proprio nella logica del documento degli storici. Com’è possibile che la mia libertà sia messa in crisi da un green pass che mi dice che se non voglio vaccinarmi devo farmi il tampone e non dall’obbligo di inocularmi il vaccino? Si può essere contro il vaccino obbligatorio e a favore del green pass; ma come si regge il contrario, cioè essere contro il green pass ma a favore del vaccino obbligatorio? Si dice che è per smascherare l’ipocrisia dello stato che non si assume la responsabilità di obbligare al vaccino. Ma la questione dell’ipocrisia non è troppo astratta e, nella situazione in cui siamo, del tutto evenemenziale? Se noi ci concentrassimo sulla specificità del presente, non troveremmo che il green pass – lo ripeto: capisco e condivido l’analisi teorica dei rischi potenziali del dispositivo – è uno strumento pragmatico per cambiare il verso degli avvenimenti per un certo numero di mesi? Se si tornasse alle chiusure, il costo sociale e individuale non sarebbe troppo alto? Non si rischierebbe davvero di innescare nella popolazione fenomeni ancora più pericolosi? E se l’eccezione, oggi, nel presente, fosse davvero un’eccezione?

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.