Napolitano e Renzi

Il gioco si fa duro, Giorgio Napolitano non tira indietro la gamba. Le macchine convergenti nell’operazione di far saltare processo riformatore e legislatura stanno alzando i giri del motore.
La componente oltranzista della destra berlusconiana passa dalle minacce ai fatti. Al senato tenta il primo affondo, non votando la legge costituzionale che istituisce il comitato ristretto: se il colpo fosse andato a segno (ci sono andati vicini) sarebbe già stato mortale. Sarebbe crollato l’impianto sul quale si regge il tentativo di Napolitano e Letta. È il segnale di quanto il fronte antiministeriale nel Pdl sia determinato a spaccare tutto, ulteriormente spinto dal rinvio a giudizio di Berlusconi per il caso De Gregorio.

La saldatura con lo schieramento teoricamente agli antipodi, in realtà convergente, è certificata dal Fatto, che contro Napolitano fa proprie le accuse di “tradimento del patto” avanzate dalla Santanchè senza neanche misurarle con la realtà fattuale degli ultimi mesi.
Il capo dello stato ribatte, colpo su colpo, per difendere la dignità propria e della funzione contro «faziosità e vociferazioni calunniose», e per tenere accesa la speranza sulla capacità dei partiti di adempiere «contro ogni conservatorismo» agli impegni di riforma istituzionale e costituzionale che hanno solennemente assunti.

Qui la novità è nel faccia a faccia con Matteo Renzi. Un po’ per calcolo suo, un po’ per strumentalizzazione altrui, Renzi era stato arruolato nel partito dei nemici del Colle: l’uomo che ha fretta, che vuole scalzare Letta e le larghe intese e per questo sfida apertamente il capo dello stato. L’incontro ha sciolto il nodo. Napolitano, politico pragmatico, s’è confrontato col probabile futuro segretario del primo partito d’Italia. Ha chiesto garanzie sulla continuità di sostegno al governo. Le ha ricevute. E in qualche modo ha ricambiato, già nel discorso tenuto pochi minuti dopo: quando ha rilanciato l’urgenza di fare in parlamento (senza deleghe alla Consulta) una riforma elettorale «per la democrazia dell’alternanza», citata in connessione con l’esaltazione dell’efficienza del sistema per l’elezione dei sindaci.

Il rischio di operazioni neo-proporzionalistiche, condotte fin dentro la Corte costituzionale, era il principale degli assilli di Renzi: dopo averlo risolto dentro al Pd, ora può considerarsi tranquillo anche sul lato del Quirinale. Davvero non è poco.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.