Gli archetipi di Star Wars

Tanto tempo fa nella nostra galassia un uomo di nome George Lucas iniziò a pensare a una storia di fantascienza. Non aveva molti elementi e la trama non era ancora ben chiara, aveva però in mente un concetto: doveva essere un western spaziale, basato sulla contrapposizione tra macchine e uomini (che già aveva trattato nel suo sfortunato THX 1138) ma condito da elementi della narrazione mitologica classica. Solo una cosa pareva decisa sin dall’inizio, il titolo: Star Wars. L’idea iniziale si sarebbe trasformata nel tempo e una volta realizzata lo avrebbe portato lontano. Molto lontano.

Sono molte le voci sulla genesi della storia di Star Wars, lo stesso Lucas ha cambiato spesso la sua versione dei fatti avvolgendo così nella leggenda un’epopea che è già mitica di suo. Quel che appare certo è che il primo soggetto ufficiale sia datato 1973, l’anno nel quale il regista, dopo i primi difficoltosi passi nel mondo del cinema, era stato finalmente proiettato nell’olimpo dei filmmakers hollywoodiani grazie al successo di American Graffiti. Era stato proprio questo ad avergli offerto la possibilità di riprendere in mano il vecchio progetto di un film ambientato nello spazio. Si trattava di una scelta rischiosa: THX 1138 (L’uomo che fuggì dal futuro) non era stato un grande successo, perciò l’idea di realizzare ancora una volta una storia di stampo fantascientifico non sembrava, agli occhi di produttori e finanziatori, la migliore delle idee. In realtà l’esperienza maturata con i due film realizzati precedentemente aveva fatto capire a Lucas l’importanza di trattare tematiche più vicine al pubblico e dunque raccontare storie universalmente riconoscibili.

Le influenze e i riferimenti di Star Wars: da Flash Gordon a Akira Kurosawa

Se vogliamo analizzare, per quanto possibile, l’immaginario del giovane Lucas non possiamo non tenere conto di tre elementi fondamentali: la passione per la space opera come Flash Gordon, le sensazioni che provò vedendo alla televisione le prime immagini dei voli spaziali della NASA e i corsi che seguì all’università di antropologia, mitologia e storia del cinema.

Flash Gordon (1936) e Star Wars (1977)

In effetti, Lucas e il suo produttore di fiducia Gary Kurtz, avevano pensato di acquistare i diritti relativi alla trasposizione cinematografica di Flash Gordon. Il suo amico regista Francis Ford Coppola si propose di accompagnarlo ma l’incontro non andò come Lucas sperava perché la spesa si era rivelata insostenibile. Al ritorno era molto depresso ma alla fine disse a Coppola: “Beh, vorrà dire che me ne inventerò uno io”. Così decise di impegnarsi in una sceneggiatura completamente nuova ed originale.

Quando si dice “anno nuovo, vita nuova”, il primo di gennaio del 1973 George Lucas si sedette alla scrivania imponendosi ritmi impiegatizi, otto ore al giorno per cinque giorni a settimana. Prendeva note, immaginava luoghi, creava personaggi, inventava strani nomi e assegnava loro possibili caratterizzazioni. Terminato il lavoro, frustrato perché la sua storia era troppo difficile da capire, Lucas poi iniziò a scrivere un trattamento di tredici pagine chiamato “The Star Wars”. Era il 17 Aprile 1973.

Il regista fece ricerche sulle fiabe, sulla mitologia e sulla psicologia sociale. Attinse a piene mani dai serial fantastici, leggendo quanto più possibile libri di fantascienza. Isaac Asimov, Edgar Rice Burroughts, Alex Raymond, Frank Herbert e tanti altri maestri del genere fantascientifico furono i compagni di viaggio di Lucas per tutto il periodo di stesura della prima sceneggiatura.

Metropolis (1927) e Star Wars (1977)

Un’importante fonte di ispirazione che aiutò il regista in questa fase embrionale fu il cinema di Akira Kurosawa. In particolare Lucas era affascinato da due film: Seven Samurai del 1954 e soprattutto da The Hidden Fortress del 1958. Per forgiare la trama originale del futuro Star Wars, i due film di Kurosawa si rivelarono un pozzo traboccante di idee.

In particolare Kurosawa:

– proponeva uno stile esotico;

– nell’incipit dei suoi film faceva ritrovare i protagonisti nel mezzo dell’azione.

Niente veniva spiegato, dunque anche lo spettatore era come proiettato in un nuovo mondo. Durante le prime visioni Lucas, che non era a conoscenza del contesto feudale giapponese, rimase talmente impressionato da sentire quasi la sensazione di trovarsi in quell’ambiente. Per lui era un po’ come fare il lavoro dell’antropologo: osservare la società e descriverne le molteplici caratteristiche. Il giovane regista californiano ammirava inoltre il look da “realtà immacolata” che traspariva dai film di Kurosawa.

Il braccio tagliato in “The Hidden Fortress” (1958) e “Star Wars” (C-3PO e Ponda Baba)

Fu soprattutto la trama di The Hidden Fortress ad interessare di più George Lucas:

Una principessa viene inseguita dai nemici del suo clan intenzionati a mettere le mani sul suo tesoro. Va in suo aiuto il generale Makabe e, lungo la fuga, i due si imbattono in due contadini un po’ svitati (uno alto e magro e uno basso e tozzo), i quali non fanno altro che punzecchiarsi, che si uniscono a loro. Giunto a un passo dalla salvezza il gruppo viene catturato dal nemico. Ma alla fine questi si rende conto della buona causa per cui combattono i suoi prigionieri e li aiuta a fuggire.

I due contadini di “The Hidden Fortress” (1958) e i due droidi di “Star Wars” (1977)

Abbiamo dunque già una principessa, un tesoro da proteggere, un eroe intenzionato a salvarla e una coppia che rappresenta la linea comica della storia. Nella prime bozze di Star Wars la storia è talmente simile al film di Kurosawa che risulta palese l’influenza del regista nipponico sul progetto filmico finale di Lucas. E non deve dunque meravigliare il fatto che anche in questo caso Lucas avesse pensato di acquistare i diritti di The Hidden Fortress per un remake.

L’incipit di “The Hidden Fortress” e di “Star Wars”

Fortissime e determinanti influenze giunsero poi dal dramma musicale Der Ring des Nibelungen di Richard Wagner. Anche questa storia era raccontata in modo non lineare, creava un proprio universo popolato da creature dalle più svariate sembianze, presentava una spada magica, due gemelli, un eroe cresciuto senza genitori e istruito da una strana creatura, un conflitto centrale tra padre e figlio ma anche tra potere e amore. Addirittura i nomi del poema originario lasciarono in lui suggestioni che non riuscirono ad abbandonarlo: Dankwart, ad esempio, personaggio de “La canzone dei Nibelunghi”, lo porterà a Darth Vader.

L’altra radice proveniva dal genere western. In particolare Sentieri selvaggi di John Ford (1956) offrì a Lucas un nuovo possente filo della trama:

Gli indiani attaccano la fattoria degli zii del giovane Martin dandogli fuoco. Il ragazzo si salva e viene iniziato alla vita dallo zio che lo aiuterà a trovare se stesso e a liberare la fanciulla rapita fino a uccidere il capo indiano.

Lucas si impadronisce così di un topos del western classico per fare sua una serie di canoni di sicura presa da poter reimpiegare con successo.

“Sentieri selvaggi” (1956) e “Star Wars“ (1977)

Spazio, ultima frontiera

Lucas inseguiva la sua infanzia. Ricercava il tempo perduto, quell’aspetto di fiaba mitologica che apparteneva ai tempi in cui era bambino e che aveva ritrovato prevalentemente nei western, prima che diventassero seri e che ponessero problematiche sociali, critiche o esistenziali. Tutti i film che lo avevano influenzato erano quelli che aveva visto intorno ai dieci anni: Scaramouche (nel 1952 a otto anni), I sette Samurai e I ponti di Toko-Ri (nel 1954 a dieci anni), Sentieri Selvaggi e Il pianeta proibito (nel 1956 a dodici anni).

All’università aveva studiato la mitologia dei racconti popolari. Una delle idee di base era l’esistenza di un mondo esotico che sarebbe stato esplorato da un giovane guerriero. Se per la cultura della vecchia Europa poteva essere rappresentato dal mito di Ulisse, negli Stati Uniti quel mito era nei western. Ormai però il vecchio West, mitizzato e utilizzato in tanti successi al cinema, non era più l’unica frontiera degli americani. Per le persone della sua generazione il West non esisteva più. Era stato l’ultimo mito esotico.

Nel 1957 l’Unione Sovietica aveva lanciato in orbita Sputnik I, il primo satellite costruito dall’uomo. L’anno successivo gli Stati Uniti avevano risposto con l’Explorer. Nel 1969 la NASA aveva spedito Neil Amstrong e Buzz Aldrin sulla superficie lunare, un evento che era divenuto il trionfo delle capacità tecnologiche umane. Lo spazio era diventato la nuova frontiera per tutto il genere umano, soprattutto al cinema, dove il connubio tra western e science fiction era riuscito a dare nuova linfa vitale al genere legato al mito della frontiera e dell’avventura, smentendone così la prematura morte.

Gli ipotetici mondi in cui ambientare la storia di Star Wars, i suoi protagonisti e le sue vicende interne potevano essere calate in un ambiente infinito, multirazziale, esotico, pericoloso, sconosciuto. Lucas iniziò a immaginare uno spazio immaginario come quello dei sogni dove si combattono mostri, si salvano le persone in pericolo e vincono lealtà e amicizia. Ma volle che questo immaginario sembrasse vero, come vero era stato il west di una volta. Si iniziò a concentrare così sul realismo di queste galassie piuttosto che sull’aspetto fantastico. La trama di Star Wars stava lentamente iniziando a prendere una sua forma.

Il primo trattamento

Il precoce soggetto datato 1973 era però molto diverso da quello che il pubblico ebbe modo di conoscere più tardi. La storia ruotava intorno ad una principessa in pericolo ed al suo prode difensore, oltre ai due contadini che facevano da spalla comica all’avventura. L’idea di far narrare la vicenda a personaggi umili restava una costante dei primi lavori scritti. Dopo un anno, nel 1974, la storia si faceva più complessa e presentava molte delle caratteristiche di quella che sarebbe diventata la storia finale: una battaglia eroica fra un gruppo di ribelli ed un malvagio impero galattico. Il personaggio negativo per eccellenza era già delineato e si chiamava Darth Vader, le sue sembianze richiamavano da un lato il supercriminale dei fumetti della Marvel Dottor Destino dall’altro i samurai giapponesi.

Samurai e Darth Vader

La ricerca del produttore

Lucas e il suo produttore Gary Kurtz portarono il trattamento prima alla United Artists, che lo rifiutò per questioni di budget, poi alla Universal Pictures, che in precedenza aveva finanziato American Graffiti. Tuttavia, il felice precedente non aiutò Lucas, anzi: “Non possiamo prendere questo film – gli rispose Lew Wasserman, il capo della casa di produzione – è troppo strano, dovresti seguire lo stile di American Graffiti”. Hollywood ha sempre amato viaggiare sul sicuro. Quando si tratta di rischiare migliaia di dollari a nessuno viene voglia di fare il pioniere. La fantascienza non era popolare nella metà degli anni Settanta e i dirigenti degli studios erano, come spesso capita, alla ricerca solo di quello che era popolare l’anno precedente, senza cercare di guardare avanti in direzione di ciò che avrebbe potuto diventare popolare l’anno successivo.

“Robin Hood” (1938) e “L’impero colpisce ancora” (1981)

“Il film non è sul futuro, è una fantasia molto più vicina alla fratelli Grimm che a 2001: Odissea nello spazio – spiegò Lucas – la ragione principale per la quale voglio farlo è quella di dare ai giovani una sana e onesta storia di fantasia, la medesima che la mia generazione aveva visto attraverso i western e i film di avventura o di pirati. Ora hanno L’uomo da sei milioni di dollari e Kojak. Dove sono le storie d’amore, l’avventura e il divertimento che una volta erano presenti in tutti i film?”.

“Scaramouche” (1952) e “Il ritorno dello Jedi” (1983)

In seguito fu la volta del rifiuto della Walt Disney Productions (proprio la casa di produzione che poi avrebbe acquistato la Lucasfilm nel dicembre del 2012). Lucas e Kurtz erano scoraggiati ma non demorsero. Una (nuova) speranza venne però tenuta in vita da tutti i loro sostenitori, amici e addetti, che dopo aver letto il trattamento avevano detto: “Però, è davvero una buona idea!”. Così Lucas incontrò Alan Ladd Jr., il capo della 20th Century Fox, e nel mese di giugno del 1973 finalmente trovò un accordo per scrivere e dirigere il film. Ladd non colse il lato tecnico del progetto, credette semplicemente nel talento di Lucas (il regista stesso raccontò: “Ha investito in me, non nel film”).

L’accordo diede a Lucas 15.000 dollari per la prima stesura, 50.000 dollari per la versione definitiva della sceneggiatura e 100.000 dollari per dirigere il film. Non sono cifre alte, ma Lucas chiese una clausola che fece sorridere i dirigenti della Fox: riguardava i diritti su eventuali sequel, sulla vendita della colonna sonora e soprattutto sui prodotti legati al film, il merchandising. La Fox accettò tutto, non poteva sapere che sarebbe stato quel cavillo a far diventare Lucas uno degli uomini più ricchi del mondo.

Lucas così iniziò a scrivere seriamente la sceneggiatura di Star Wars, ma ebbe fin dal principio molta difficoltà. Dei quattro anni di lavoro che il film richiese, due vennero dedicati alla scrittura. Ci furono quattro versioni complete con quattro storie e quattro personaggi diversi. La prima era su un vecchio; la seconda su una ragazza; la terza su due fratelli e la quarta sulle avventure di un giovane agricoltore e una principessa. Prima di optare per un genere che assomigliasse al mitologico, la cosa più difficile per Lucas fu sapere che tipo di film volesse fare.

La sceneggiatura: due anni, quattro versioni

Ci volle invece un po’ più di tempo per caratterizzare i tre eroi protagonisti della storia, un’audace giovane principessa di nome Leia Organa, l’intrepido contrabbandiere chiamato Han Solo, ispirato a Francis Ford Coppola, e soprattutto il giovane fattore idealista il cui nome originale era Luke Starkiller (probabilmente, vista l’assonanza Luke/Lucas, il più autobiografico dei personaggi). Nei viaggi interminabili verso pianeti sconosciuti, i personaggi sono accompagnati da due robot messaggeri petulanti che litigano fra loro in continuazione e da una sorta di vecchio sciamano consigliere chiamato Obi-Wan Kenobi (il nome è un omaggio ai film di Kurosawa: “Obi” è la cintura utilizzata per chiudere il kimono, “Wan” ricorda il titolo onorifico giapponese “San” e “Ken” è la traduzione giapponese di spada. Non per nulla Lucas aveva in mente di affidare la parte a Toshiro Mifune, il protagonista de La fortezza nascosta e I sette samurai, prima che la superstar giapponese rifiutasse il ruolo). Il malvagio Impero galattico sta per porre fine alla pace creata dal Senato della Repubblica tra i vari pianeti spaziali. Gli avvenimenti che seguiranno decideranno perciò la sorte del mondo nel bene e nel male.

Durante l’avventura Luke diventa un Cavaliere Jedi, un custode della pace dotato di un potere mistico detto “La Forza”, grazie all’aiuto dello sciamano Obi-Wan Kenobi. Il nome dell’ordine dei cavalieri glielo suggerirono il titolo di “Jeddak” (presente in John Carter di Marte di Edgar Rice Burroughs) e il genere che narra le vicende dei samurai (il Jidai-geki del quale proprio Kurosawa è il massimo rappresentante). Una delle caratteristiche più importanti di queste prime sceneggiature, cosi come del lavoro finale, era l’attenzione maniacale verso le creature e le macchine. C’erano astronavi spaziali di ogni sorta, robot, pistole e spade laser all’interno di interi mondi automizzati. Dal momento in cui iniziò il suo processo di scrittura nel gennaio 1973, Lucas fece varie riscritture la sera dopo le sue giornate di lavoro. Avrebbe scritto quattro sceneggiature diverse per Star Wars. È sempre stata quel che si dice una buona idea in cerca di una storia.

La prima versione

Nel maggio 1974, aveva ampliato il trattamento della pellicola in una bozza di sceneggiatura, aggiungendo elementi come i Sith, la Morte Nera, e un generale di nome Annikin Starkiller. Modificò Starkiller in un adolescente e spostò il generale in un ruolo di supporto come un membro di una famiglia di dwarf. Lucas immaginò un contrabbandiere, Han Solo, e il suo mondo natale Corellia, un pianeta industriale rinomato in tutta la galassia per le fabbriche di astronavi (qui verrà prodotto il Millennium Falcon). Il corelliano Solo agiva sempre con un grande mostro dalla pelle verde con le branchie. Rifinì poi il personaggio del co-pilota, Chewbacca, basandosi sul suo cane Alaskan Malamute, di tipo spitz, Indiana (nome che poi avrebbe utilizzato per il personaggio di Indiana Jones). In questa prima versione Luke non c’è. Lucas cominciò a cercare ispirazione ovunque, iniziò a guardare film di fantascienza, a divorare fumetti science fiction e a leggere libri sul mito, soprattutto le teorie di Joseph Campbell (in particolare “L’eroe dai mille volti”) e Carlos Castaneda. Di quest’ultimo lo colpirono due cose: il personaggio dello sciamano di nome Don Juan, che per lui diventerà Obi-Wan, e la teoria della “Forza della Vita” che in Lucas sarà sempre e solo “la Forza”. Il suo primo script raccolse le idee incorporate da molte nuove fonti. Lo script introdusse anche il concetto di un Maestro Jedi e di suo figlio, che si allena per essere un Jedi con l’aiuto di un amico del padre. Il film iniziava ad avere una sua struttura. La prima sceneggiatura diventò gigantesca: cinquecento pagine capaci di contenere tutto quello che voleva raccontare. C’erano elementi samurai e zen che si ritrovavano in Kenobi. Il vecchio guerriero si aggrappava a una tradizione che era andata perduta. Lo script era molto più intellettuale, più dialogato, vi si parlava della forza e della religione.

La seconda versione

Lucas completatò una seconda bozza di Star Wars nel gennaio del 1975, apportando pesanti semplificazioni e introducendo il giovane eroe, che viveva in una fattoria, di nome Luke Starkiller. I riferimenti biografici erano sempre più evidenti: anche Lucas era stato ragazzo di campagna cresciuto in una piccola cittadina, a Modesto, in California. Annikin divenne il padre di Luke, un cavaliere Jedi. “La Forza” diventa un campo di energia mistica. Questo secondo progetto aveva ancora alcune differenze rispetto alla versione finale sia nei personaggi che nelle relazioni. Come la storia dei due fratelli: il più giovane cercava il maggiore perduto il quale era in possesso di un cristallo che avrebbe permesso loro di vincere la guerra. Han e Luke nacquero in seguito da questi due fratelli, ma Lucas li trasformò considerevolmente. Il copione stava diventando più una fiaba in contrasto con l’azione delle versioni precedenti. Questa versione si concludeva con un altro testo scorrevole che aveva le funzioni di “anteprima” della successiva storia della serie. Questo progetto fu anche il primo a introdurre il concetto di un Jedi che si lasciava sedurre dal lato oscuro della Forza (per poi venire addestrato da un Sith con l’obiettivo di usarlo per i suoi fini).

La terza versione

Un terzo progetto, in data 1 agosto 1975, si intitolò The Star Wars: From the Adventures of Luke Starkiller. Fu la versione che raccolse la maggior parte degli elementi della trama finale, con solo alcune differenze nei personaggi e nelle impostazioni. Luke infatti qui appariva come figlio unico, con il padre già morto, cresciuto da Ben Kenobi. Lucas ancora ondeggiava tra filosofia e azione. Erano le sue due anime. Da un lato la testa, dall’altra il cuore. Negli anni Cinquanta la scienza aveva prevalso sulla fantasia e il romanzesco era stato abbandonato man mano che i viaggi nello spazio diventavano realtà. In questo filone il capolavoro fu “2001: odissea nello spazio” di Stanely Kubrick. “È uno dei miei film preferiti – aveva confessato ai critici Benayoun e Ciment di “Positif” – in esso tutto è scientificamente esatto e immaginato partendo dal possibile. È veramente l’apice della fantascienza”. Non riuscì però a convincersi ad adottare l’azione per tutto il tempo del film, riducendo così tutto il dialogo a una serie di “Da che parte?”, “Laggiù!”, “Stai attento!”. Secondo lui sarebbe stato stancante e il film ne sarebbe uscito impoverito. Così decise di combinare le due cose: rimase fedele alla sua idea iniziale di un film d’azione pieno di avventure straordinarie ma conservando un ritmo “slam bang” solo per la seconda parte. Dalle cinquecento pagine della prima stesura arrivò a centoventi. Ma fu tremendamente difficile per Lucas, perché avrebbe voluto tenere tutto.

“2001 odissea nello spazio” (1968) e “Star Wars” (1977)

La quarta versione

Strada facendo il copione subì radicali cambiamenti e per vedere la versione definitiva bisognò attendere il 1° Gennaio 1976. In questa quarta edizione la mole di informazioni, la caratterizzazione dei personaggi, l’alternarsi delle vicende divennero sempre più complessi. La storia stava trasformandosi in una saga. Fu allora che Lucas decise di girare solo un atto di Star Wars e gli mise come titolo: The Adventures of Luke Starkiller as taken from the Journal of the Whills, Saga I: The Star Wars.

La versione definitiva: A New Hope

La figura di Obi–Wan Kenobi è uno dei punti di forza della trama nonché colui che trascinava Luke nell’avventura. Egli è il maestro, colui che trasmette autorevolezza. Un po’ saggio e un po’ guerriero, Obi–Wan Kenobi racchiude in sé tutte le caratteristiche del mentore a cui Luke può ispirarsi. L’ordine dei Cavalieri Jedi, di cui Obi-Wan Kenobi faceva parte, appare come un clan detentore di conoscenze perdute e affascinanti. Il saggio cavaliere, fornito esclusivamente di una spada laser, arma elegante e potente allo stesso tempo, è uno dei personaggi più intriganti dell’intero romanzo. La “Forza” è l’altro concetto chiave di Star Wars. Un potere immenso, il mantice che accomuna e lega ogni cosa. Nel romanzo il concetto della “Forza” non veniva approfondito molto, ma le poche informazioni date erano capaci di stimolare l’attenzione e le fantasie del lettore. Infine, dallo svolgersi della trama emergevano una serie di informazioni che spingevano il lettore a porsi mille domande. L’universo di Star Wars era ricco di segreti e di sorprese che non venivano in realtà sviluppate. Da dove venivano i protagonisti della storia? Quale era il loro passato? Perché la Repubblica, all’inizio del libro, era sull’orlo del collasso? Luke sarebbe riuscito a seguire le vie della Forza apprese da Obi-Wan Kenobi? Dopotutto il romanzo si chiudeva con la vittoria della Repubblica sull’Impero, ma il finale lasciava aperte nuove finestre sul mondo galattico di Star Wars.

I dirigenti della 20Th Century Fox non rimasero particolarmente colpiti da quest’opera così Lucas per sopperire alla loro sfiducia contattò Ralph McQuarrie, un famoso vignettista al quale commissionò una serie di schizzi che potessero dare un’idea del risultato visivo al quale Star Wars si ispirava. Gli schizzi di McQuarrie convinsero finalmente i produttori della genuinità del progetto Star Wars e diedero così l’approvazione finale all’avvio dei lavori delle riprese il giorno di capodanno del 1976. Il budget previsto per l’intera operazione era stato fissato in poco più di 8 milioni di dollari e questo a riprova dello scetticismo che circolava nei corridoi della casa di produzione, ma Lucas poté finalmente iniziare il casting del film, la scelta delle location, dei costumi ed affrontare soprattutto il problema di come realizzare gli inevitabili effetti speciali che il film richiedeva.

Le riprese: il concetto di “futuro usato”

Il 22 marzo 1976 è una data storica, segna l’inizio delle riprese di Star Wars. Durante la produzione e le riprese Lucas continuò ad apportare modifiche allo script. Cambiò il nome di Luke da Starkiller a Skywalker, aggiunse la morte di Obi-Wan e modificò il titolo: da The Star Wars a Star Wars. Per le scenografie si rivolse a John Barry e Roger Christian ai quali fece una sola raccomandazione: “Voglio un futuro usato”. Era un concetto nuovo: non più metalli scintillanti tipici della sci-fi, ma navi, dispositivi e robot invecchiati e sporchi. Lucas era convinto che per rendere maggiormente credibile la sua saga fosse necessario abbandonare la lucentezza tradizionale e l’architettura futuristica dei film di fantascienza realizzati fino a quel momento. Tra le astronavi, la più complessa da costruire si rivelò il Millenium Falcon. Roger Christian voleva che l’interno somigliasse a un sottomarino e per realizzarlo comprò dei rottami di un aereo che nessuno voleva. Ci mise tre settimane solo per creare il chess set nella stiva del Falcon. Alla fine il budget superò, con enorme disappunto della 20th Century Fox, i 10 milioni di dollari.

Le riprese in Tunisia

Le riprese di Star Wars ebbero inizio nel deserto tunisino per le scene di Tatooine, il pianeta natale di Luke Skywalker, ma partirono subito con il piede sbagliato. Lucas si ritrovò già in ritardo nella prima settimana di riprese a causa di oggetti di scena malfunzionanti e guasti elettronici. Come se non bastasse il Paese venne colpito da una serie di anomali temporali, assolutamente inconsueti per il luogo, che bloccarono ulteriormente le riprese. Non si vedeva nulla, la terra e il cielo si confondevano, le astronavi erano macchie grigie e i robot sagome informi.

 Le riprese a Londra

Dopo due settimane e mezzo di riprese in Tunisia, cast e troupe si trasferirono nell’ambiente più controllato di Londra. Per i set riguardanti gli interni delle stazioni spaziali o della nave di Han Solo, vennero scelti gli studi di Elstree, dove era stato girato anche 2001: A Space Odyssey di Stanley Kubrick. Vennero messi in piedi trenta set differenti relativi a pianeti, astronavi, grotte, sale di controllo, cantine e corridoi della Morte Nera. Ma anche qui i problemi proseguirono. Fu una esperienza terribile per Lucas e miriadi di aneddoti su quei giorni circondano ancora il film: erano frequenti gli ammutinamenti della troupe di veterani inglesi che terminava improrogabilmente di lavorare nell’ora prefissata (le 17.30) lasciando Lucas nel bel mezzo di una scena e che non vedeva di buon occhio questo giovane americano alle prese con vecchie ferraglie e mostri pelosi. A questo si aggiunsero apparecchi meccanici che non funzionavano, attori poco entusiasti (“George tu puoi anche scriverlo ma io non posso dirlo!”, sbraitò una volta Harrison Ford), Mark Hamill che fece un incidente d’auto sfregiandosi il volto e limitando nuovamente le riprese. Nessuno della troupe aveva interesse per il film e nessuno lo prese sul serio. La maggior parte era convinta di lavorare a una pellicola per ragazzi involontariamente divertente. Gli stessi attori erano certi di trovarsi dentro una macchina destinata a fallire (Harrison Ford raccontava di lavorare con due personaggi ridicoli: una principessa con due focacce in testa e un gigante vestito da scimmia). L’atmosfera grottesca era arrivata a un punto tale che, contrariamente a quanto accade normalmente, il cast derideva il suo regista. Lucas iniziò a soffrire questa tensione e ad apparire sempre più depresso. Al punto che Spielberg offrì a Lucas il suo aiuto come direttore della seconda unità (fu in quel periodo che nacque la celebre scommessa tra i due registi). Lucas dovette fare i salti mortali per riuscire a finire il lavoro in tempo per la consegna pattuita con i finanziatori. Al suo ritorno in patria il regista era poco soddisfatto del girato, iniziò ad assemblare il materiale e gli effetti speciali.

Gli effetti speciali e la Industrial Lights & Magic

Per gli effetti speciali Lucas voleva creare delle soluzioni rivoluzionarie che gli spettatori non avessero mai visto prima. Si recò quindi dal migliore in circolazione, Douglas Trumbull, ormai famoso per 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che però rifiutò l’offerta del regista segnalandogli comunque la disponibilità del suo assistente: John Dykstra. Dykstra aveva collaborato alla realizzazione di Silent Running di Douglas Trumbul e al film di Robert Wise Andromeda. Il giovane tecnico accettò con entusiasmo: mise in piedi un team di settantacinque persone: studenti universitari, artisti, ingegneri ed informatici che formarono il reparto degli effetti speciali e che Lucas accolse nella sua neonata Industrial Lights & Magic.

Per quanto riguarda il comparto sonoro Lucas contattò un vecchio amico dell’USC, Ken Miura, il quale propose il suo miglior allievo, Ben Burtt, come tecnico del suono. Lucas impose una scelta di suoni il più possibile naturali. Per le navicelle spaziali, per le spade laser, per il linguaggio incomprensibile delle creature aliene e per tanti altri casi specifici si decise allora di usare dei suoni striduli, fruscianti, roboanti, metallici poi manipolati grazie agli apparecchi audio elettronici a disposizione di Lucas.

Il montaggio

L’intento principale di George Lucas era quello di catapultare lo spettatore in un universo nuovo e complesso. Si poneva dunque un problema che in letteratura si definisce come «patto narrativo», una sorta di accordo tra autore e lettore. Il lettore deve capire in quale vicenda è stato catapultato, così da accettare personaggi, luoghi, simboli e linguaggio utilizzati nella storia. Tutto dipende dunque dall’incipit della storia.

L’incipit

Da un campo totale l’azione si sposta all’interno di una piccola nave in fuga, al centro dell’azione sono due robot, C1P8 e D3BO sbalzati da una parte all’altra dello scafo. Un gruppo di soldati ribelli si posizionano a difesa dell’ingresso principale della nave. La porta esplode, nasce una piccola battaglia, le forze ribelli cercano di contrastare l’invasione delle truppe imperiali. I robot fuggono tra raggi laser ed esplosioni. Il montaggio è frenetico, quasi una serie di fotografie in successione. Fino all’apparizione di Darth Vader a figura intera. La musica scompare, accuratamente sostituita dal suono sinistro del respiratore, un accorgimento che suggerisce allo spettatore la natura semi umana del malvagio cavaliere Sith. La principessa Leila introduce un disco di dati nel robot C1P8 prima di venire catturata, i robot riescono a fuggire attraverso un guscio spaziale di salvataggio.

L’ologramma della principessa in “Forbidden Planet” (1956) e “Star Wars” (1977)

L’avventura è appena cominciata, eppure grazie al montaggio cosi veloce, capace di seguire più avvenimenti contemporaneamente, lo spettatore viene subito coinvolto. L’esempio dell’incipit iniziale di Star Wars mette infatti in luce due caratteristiche vincenti del suo montaggio. Da una parte la linearità degli avvenimenti, resa attraverso le scelta accurata di piani e campi consequenziali. Dall’altra l’alternanza di più avvenimenti, come per esempio nelle sequenze in cui irrompono le truppe ribelli ed inizia il combattimento, mentre la principessa nasconde i piani della Morte Nera nella memoria di C1P8.

Il finale

Lucas per tutto il film asseconda due scelte precise: il montaggio alternato e le dissolvenze incrociate. L’inseguimento tra caccia ribelli e imperiali nelle sequenze finali del primo episodio è la testimonianza più diretta dell’incisività di Star Wars in fase di montaggio. La corsa contro il tempo per distruggere la temuta Morte Nera si trasforma infatti in una vera corsa di velocità, camuffata da abili scelte tecniche. Ma la scelta più interessante ed innovativa è quella di intervallare le scene di inseguimento con i dialoghi tra i piloti attraverso le radiotrasmittenti. I caccia sfrecciano velocissimi tra le pareti della stazione spaziale, schivano i raggi laser delle torrette difensive, si esibiscono in mirabolanti manovre evasive, il tutto condito dai dialoghi serrati in primo piano tra Luke Skywalker e compagni. Sullo sfondo corrono a velocità impressionante le pareti della Morte Nera, dando una credibile idea di velocità.

Battaglie nei cieli e duelli spaziali. “The Bridges at Toko-Ri” (1954) e “Star Wars” (1977)

George Lucas ed i suoi collaboratori impiegarono circa quattro mesi e mezzo per ultimare tutti i lavori di effetti e montaggio. Fu proprio in sala montaggio che Lucas riuscì a salvare Star Wars da un inevitabile fiasco commerciale.

Il testo scorrevole

Prima di chiudere definitivamente il progetto Lucas decise di inserire all’inizio del film un testo introduttivo a scorrimento. Sei paragrafi di quattro frasi ciascuno, sul modello delle vecchie serie spaziali anni trenta, come il tanto amato Flash Gordon. Lucas compose la scritta introduttiva con molta accuratezza cercando di non usare troppe parole o termini che la gente potesse non comprendere. L’incipit ricalcava alla perfezione il più classico dei «C’era una volta…» presente nella maggior parte dei libri di fiabe: “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…”.

Il celebre riassunto scorrevole in “Flash Gordon” e “Star Wars”

Subito dopo appare il titolo del film e la scritta scorrevole color oro, piegata tridimensionalmente verso uno sfondo stellato. La scritta introduce lo spettatore alle vicende che stanno per essere narrate, il tutto accompagnato dal tema musicale principale della colonna sonora. Tutte le informazioni necessarie sono condensate nella scritta scorrevole, perciò soldati in divisa, battaglie e principesse in pericolo sono già facilmente collocate nell’immaginario dello spettatore. La scritta svanisce ed un movimento di macchina fa apparire in lontananza un pianeta. Dopo pochi attimi ecco comparire un’astronave in fuga dall’attacco di un immenso incrociatore spaziale. Raggi laser, esplosioni e la maestosità dell’incrociatore spaziale, che con la sua mole riempie l’intero spazio visivo, rendono questa scena una delle più efficaci dell’intera saga di Star Wars. Questo incipit fu talmente forte e coinvolgente da diventare un vero marchio di fabbrica per l’intera saga.

La musica

Le musiche furono affidate al compositore John Williams, che negli anni Sessanta aveva scritto musica per programmi televisivi di successo, raggiungendo in molti casi un notevole livello qualitativo. Con la London Simphony Orchestra al gran completo, Williams incise la colonna sonora del film (la sola vicenda della sua composizione merita una storia a parte).

L’uscita

Prima dell’uscita Lucas decise di organizzare, nella sua casa di San Francisco, una proiezione di Star Wars riservata alla cerchia ristretta dei suoi amici registi, per raccogliere le loro impressioni e cercare di salvare il film. Fu Brian De Palma a esprimere le maggiori perplessità: “Non si capisce niente di quello che succede”, Spielberg invece fu il più prodigo di complimenti: “Incasserà almeno trentacinque milioni di dollari!”. Scorsese non si presentò. Il film uscì il 25 maggio 1977. L’intera industria cinematografica era talmente scettica sulle prospettive di Star Wars che il film fu distribuito in sole quaranta sale degli Stati Uniti. Anche Lucas non aveva grandi aspettative, anzi. Per allontanarsi anche mentalmente dall’esperienza di un flop prese sua moglie e decise di andare alle Hawaii. Ma anziché dalle acque dell’oceano, moglie e marito vennero raggiunti dall’onda dello strepitoso e immediato successo del film. Nonostante l’opinione generale sul sicuro fiasco ai botteghini del film, la gente restò in coda per ore pur di vederlo e al termine di quel 25 maggio quasi tutte le quaranta sale che proiettavano Star Wars avevano battuto i loro record di incassi. Francis Ford Coppola, che in quel momento era nelle Filippine, alle prese con il suo Apocalipse Now (che inizialmente avrebbe dovuto girare proprio Lucas), inviò un telegramma al vecchio amico: “Mandami dei soldi. Francis”. Spielberg raggiunse invece Lucas alle Hawaii. È qui che i due iniziarono a parlare di un progetto comune che si sarebbe chiamato I predatori dell’arca perduta. Ma questa è un’altra storia. Alla fine di quello stesso anno, era già diventato il film più di successo nella storia del cinema. Agli inizi del 1978 Star Wars era stato promosso anche dall’industria cinematografica, conquistando dieci nominations per la statuetta dell’Oscar. Il 3 aprile 1978 quella storia partorita dalle fantasie di una infanzia irrimediabilmente perduta e fortemente inseguita se ne aggiudicò otto.

Non aggiunsero nulla. Il film, ormai, era già leggenda.

Piero Trellini

Scrive per la Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore e Domani. Ha lavorato per Il Messaggero, il Manifesto, Sky e altri. Collabora con Nuovi Argomenti e Art e Dossier. Scrive serie televisive. Ha pubblicato “La partita” (Mondadori), “Danteide” (Bompiani), “L’Affaire” (Bompiani) e “La partita. Le immagini di Italia-Brasile” (Mondadori).
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