L’ABC della viticoltura

Gianni Tadiotto è un bravissimo enologo. Siccome a tavola ho difficoltà a scegliere il vino, mi sono fatto spiegare le basi della viticoltura, l’ABC insomma.

Allora, siccome capisco pochissimo di vino, comincerei dalle elementari, cioè mi dici quali sono i vitigni principali, da cui derivano gli altri?
Tutte le viti attualmente conosciute derivano dal ceppo originario, ovvero la Vitis Vinifera, conosciuta come Vite Europea, arbusto rampicante della famiglia delle Vitaceae, che ha fatto la sua comparsa sulla terra circa un milione di anni fa.

Facciamo un po’ di storia, dai.
La vite è una delle specie coltivate per prime dalle antiche civiltà: fu domesticata nella Mesopotamia intorno al 4000 a. c. e si diffuse in coltura prima nella parte orientale del bacino del Mediterraneo, poi in Grecia, nella Magna Grecia italiana, in Francia ed in Spagna.

In Italia?
In Italia fu domesticata dagli Etruschi intorno al 1000 a. c. e si diffuse in coltura nelle aree interne dell’Italia Centrale e della Campania. Esistono altre tipologie di viti come quella americana, ma la Vitis Vinifera è quella che porta la formazione dei vini migliori al mondo.

Parliamone allora.
Le varietà di Vitis Vinifera più diffuse nei vari continenti sono una cinquantina e ad oggi i principali paesi produttori di uva da vino sono Italia, Francia, Spagna, Germania e Grecia.

Come mai così tante varietà?
Le ragioni della proliferazione di tanti vitigni sono da ritrovare nella capacità della vite di crescere in qualsiasi situazione. La Vitis Vinifera è originaria delle foreste, ma si adatta a qualsiasi suolo e clima, nonché a tutti i processi di riproduzione: è sufficiente piantare un tralcio reciso (sarmento) in terra per ottenere un nuovo ceppo. Proprio grazie a questa sua adattabilità, la vite può variare notevolmente.

Questo significa che è difficile chiarire la genealogia?
Sì. Spetta a un ampelografo russo, il professor Negrul, il merito di avere in certo qual modo chiarito la discendenza della Vitis Vinifera: l’orientale, che comprende viti da tavola dai grossi grappoli diffusa nei paesi orientali; la pontica, con grappoli di media grandezza, il cui dominio si estende dalla Georgia alla Spagna del sud e comprende viti da vino e viti da tavola; l’occidentale, localizzata nella zona atlantica, che comprende la maggior parte dei grandi vitigni da vino francesi.

Se ricordo bene ci sono state malattie della vite che ne hanno cambiato la storia?
Certo. La storia della vite in Europa ha subito anche forti battute di arresto, come ad esempio il furioso assalto americano di insetti e parassiti della seconda metà del XIX secolo: oidio, fillossera, peronospera, vaiolo nero.

La fillossera ha fatto un casino.
È a causa della fillossera, arrivata con i viaggi in mare, che, nel XIX secolo, oltre l’85% del patrimonio viticolo europeo è andato perso: numerosi vitigni non sono stati più recuperati.

Questo in Europa…
In America la fillossera colpisce solo le foglie, in Europa essa attacca le radici che muoiono.

Quindi si è pensato di praticare un innesto…
Infatti. Soluzione banale ma efficace, arrivata solo decenni dopo, consiste nell’innestare le piante europee sulle radici delle piante americane. Le piante, quindi, oggi sono tutte innestate sia per sfuggire alla fillossera, sia perché viene meno la condizione che un certo tipo di vitigno può avere solo un territorio, basta la radice adatta e le varietà possono essere spostate facilmente.

Viva le contaminazioni
Beh, ora redigere un elenco dei vitigni utilizzati in tutto il mondo è piuttosto difficile. Bisogna tener conto se la produzione dei vini parte da un unico vitigno, come i vini dell’Alsazia e i vini pregiati di Borgogna, o da più varietà di uve.

Cioè?
Numerosi vitigni di Vitis Vinifera hanno sufficiente somiglianza perché il profano li confonda, ma anche differenze tali da consentire all’esperto di distinguerli in relazione alle necessità della pianta. Per esempio, il vino del Beaujolais è produzione di un unico vitigno, di Gamay ce ne sono per tutti i terreni e tutti i tipi di esposizione. Lo stesso vale per il Chardonnay della Champagne che è un vitigno facilmente adattabile. Attualmente assistiamo a un ritorno all’uniformità perché la maggior parte dei poderi si serve di piante provenienti da vivai.

Domanda. Un po’ come accade in Formula uno, è il pilota o la macchina, qui in viticoltura, è il vitigno o la cantina a fare un vino di qualità?
Da quanto premesso, possiamo dedurre che il vino di qualità non si fa soltanto in cantina, ma si fa anche in vigna. Se bastasse solo la cantina non ci sarebbe nessuna differenza nei vini. Ma ogni annata è diversa dall’altra, ogni zona è diversa per cui il vigneto e l’intervento dell’uomo sulla coltivazione sono fondamentali.

Sempre per ovviare alla mia ignoranza in materia, e a proposito di storia, gli anni ’80, in Italia, furono funestati dallo scandalo del metanolo, ecco, mi piacerebbe sapere tre cose a) cosa successe b) com’era il nostro vino prima dello scandalo e c) com’è diventato dopo.
Ti racconto lo scandalo al metanolo tramite la figura di Enzo Binotto, una delle vittime di quanto successe nel marzo del 1986, il mese prima del disastro di Chernobyl, per capirci.

Va bene
Enzo faceva il tornitore, lo chiamavano “occhi di gatto” perché il suo era un lavoro di precisione e lui aveva una vista perfetta. Il 3 marzo, durante una cena di famiglia, bevve un paio di bicchieri di vino acquistato dalla cognata all’Esselunga. Racconta che la moglie aprendo il vino disse “ma che odore c’ha sto vino qua?!” Fortunatamente, lei, non lo bevve. Enzo invece sì, e cominciò da subito a sentirsi poco bene. Il giorno successivo, andando al lavoro, si fermò lungo la strada per pulire i vetri della macchina perché gli sembravano appannati. L’ultima immagine che ricorda è quella dell’orologio nella sua officina: le ore 9.15 del mattino. Da quel momento in poi divenne cieco per sempre. Aveva 39 anni, una figlia di quattro anni e una di 14.

È una di quelle persone diventate cieche?
Sì, Enzo è una delle 15 persone rimaste non vedenti. Ce ne furono 153 di intossicate e purtroppo 19 decedute da vino al metanolo. Pensa che i primi morti vennero etichettati dalla stampa come alcolisti. Si capì che si trattava di intossicazione da vino solo dopo accurate indagini da parte dei Carabinieri, i quali furono in grado di ricondurre le morti e i casi di intossicazione ad un vino economico da tavola venduto al supermercato.

Dove cominciò tutto?
Proveniva da una cantina della ditta Ciravegna di Narzole in provincia di Cuneo, dove al vino erano state aggiunte dosi elevatissime di metanolo per alzare la gradazione alcolica, ignorandone la tossicità per l’organismo.

Mi spieghi cos’è il metanolo?
Il metanolo si ottiene in maniera naturale dalla fermentazione dell’uva e quantità esigue di esso sono quindi considerate normali, anzi consentite dalla legge. Ma una dose eccessiva può rivelarsi letale, come è purtroppo avvenuto.

Era il 1986, l’annus horribilis per il vino italiano…
Sì, con una vicenda giudiziaria molto lunga e travagliata, come lo sono spesso in Italia, e le famiglie delle vittime non hanno ancora ottenuto completa giustizia. I responsabili si sono dichiarati fin da subito nullatenenti, avendo poi chiuso l’attività della cantina, e il maggiore indiziato è deceduto nel 2013.

I consumi calarono drasticamente, mi ricordo
A seguito dello scandalo, il Governo assunse una serie di provvedimenti dapprima d’urgenza, poi a lungo termine, destinati a rendere più efficace l’azione di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari.

Nella sostanza?
Lo stato si adoperò per evitare il rischio di immissione al consumo di vini adulterati con metanolo; si istituì l’anagrafe vitivinicola su base regionale, destinata a raccogliere per ciascuna delle imprese che producevano uve, mosti, mosti concentrati, vini e derivati, i dati relativi alle rispettive attività. Vennero potenziati, inoltre, i servizi di controllo aumentando gli organici territoriali, come ad esempio i NAS, e stabiliti nuovi range di quantitativi di metanolo ammessi nella produzione vitivinicola.

Quindi un cambio di passo
Lo scandalo del metanolo rappresentò uno spartiacque per il settore del vino italiano. Da una parte, i consumi pro-capite scesero drasticamente e l’attenzione di operatori e consumatori si concentrò sul tema della sicurezza alimentare. Quindi dapprima è calata la produzione di vini da tavola, ma nel tempo è cominciata la produzione di vini a qualità controllata (DOC e IGT). Superato il periodo di crisi, ci si rese conto che lo scandalo poteva essere un’occasione per tanti viticoltori che lavoravano con onestà e professionalità. Puntando su qualità, innovazione e valorizzazione del territorio, invece che segnare la fine del vino italiano, lo scandalo del metanolo rappresentò per certi versi un rinascimento.

Anche la nostra scuola enologica migliorò
Dopo i primi anni di inevitabile riduzione delle esportazioni, a partire degli anni ’90 ci fu una crescita continua delle vendite all’estero (+575% in 30 anni) che generò un volume di affari superiore al doppio di quello del 1986. Fu una straordinaria metafora del passaggio, ancora in corso non solo nel vino, ma in tutto il sistema produttivo italiano, da un’economia basata sulla quantità ad un’economia che punta invece su qualità e valore.

Quali sono i problemi della viticoltura oggi?
La tradizione vinicola italiana è una eccellenza nel mondo ed è riconosciuta, a preoccupare è soprattutto il clima, con le sue variabili sempre più strane e bizzarre non garantisce più una costanza produttiva e qualitativa. Gli effetti sono grandinate e siccità spesso in contrasto con le latitudini di coltivazione, la diffusione di malattie come la peronospora provoca spesso una notevole perdita di produzione.

Che si fa?
Si dovrà per forza rimodulare la coltivazione e adeguare le varietà alle situazioni climatiche introducendo più diffusamente dei vitigni resistenti. La ricerca in questi anni ha compiuto passi da gigante nella selezione genetica e biotecnologica di vitigni con peculiarità intrinseche di resistenza agli stress biotici.

La gran parte degli agrofarmaci, fungicidi soprattutto, è usata sulla vite, il rame, soprattutto.
Il numero di trattamenti antiparassitari dovrà essere assolutamente diminuito, anche potendo utilizzare delle nuove sostanze chiamate induttori di resistenza che attivano le difese naturali delle piante, non solo verso gli agenti esterni tradizionali ma anche e soprattutto quelli climatici.

Finiamo con i buoni propostiti…
La nostra tipologia di coltivazione ha una notevole resilienza, il territorio gode di talmente tante tipologie geografiche e climatiche che dà l’opportunità di introdurre varietà che meglio si adattano anche al riscaldamento globale. La produzione dovrà credere sempre di più ad una viticoltura sostenibile in senso lato, non solo legata alla biologia. La diversificazione dovrà essere la forza che lega il territorio, riscopre i vitigni autoctoni, le certificazioni biologiche e dovrà essere accompagnata dal racconto del vino e delle singole aziende produttrici.

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.