La provincia rapita

Benevento non vuole saperne di Avellino e della provincia dall’Ave-Sannio (nome dal sapore romano-italico), per Siena, Arezzo e Grosseto si sta lavorando a una giunta monocolore ghibellina, per Asti e Alessandria sembra che interverranno gli Orazi e i Curiazi, Livorno con Pisa è un’idea da Zavattini (ma si aspetta l’opinione del Vernacoliere).

C’è qualcosa di letterario e di vertiginoso in questa vicenda di province che si accorpano di malavoglia con il “vicino”, che per noi è sempre stato il vero avversario, quando non il nemico giurato. Lo dicevano già Machiavelli e Guicciardini e siamo anche cresciuti con questi racconti – un po’ fatti storici, un po’ favole – di divisioni, disfide, scaramucce, battaglie minime dal valore enorme, da Montaperti ad Anghiari (e chi ha la mia età si è anche un po’ formato sulla quella bellissima “Storia d’Italia a fumetti” di Enzo Biagi che tutti i bambini degli anni ’70 hanno letto e che pullulava di questi episodi). A me però a leggere i commenti sui giornali alle nuove province è venuto piuttosto in mente un poema eroicomico del ’600, la Secchia rapita, che trattava di una guerra tra Bolognesi e Modenesi per il rapimento di una “secchia di legno”. I Modenesi avevano trafugato l’oggetto presso un pozzo a Bologna e portato a Modena come trofeo, e questa era diventato il motivo di una guerra, a cui parteciparono addirittura gli dei dell’Olimpo. L’autore già prendeva in giro, quattro secoli fa, quell’epica del campanile che però è uno dei tessuti culturali e letterari della storia del nostro paese.

In fondo tra marchesati, ducati, granducati, regni, feudi, repubbliche (marinare e non marinare), teocrazie, ogni città medio-grande del nostro paese è stata capitale di qualcosa (e spesso ritiene ancora di esserlo e in qualche misura lo è anche). Quando gli altri avevano un centro e tante periferie, da queste parti c’era un centro ogni pochi chilometri. Era la debolezza politica della penisola, ma anche la sua grandezza civile.

Un’osservazione estemporanea, mi rendo conto, ma solo in attesa di capire, perché non ce l’hanno ancora spiegato, se le province servano o non servano (e se non servono non ha senso accorparle, bisogna eliminarle), se i loro compiti non siano piuttosto da assorbire nelle competenze delle regioni (magari lasciando un ruolo consultivo e leggero alle rappresentanze territoriali delle province, anche ridisegnate), e in attesa di capire che senso abbiano le regioni con una provincia sola.

Reazioni dei toscani all’accorpamento delle province, di Giovanni Fontana

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.