La copia infinita

Ho letto lo scritto di Piero Trellini (sul Post) e per un istante ho provato a pensare quanto avrei impiegato a replicargli puntigliosamente: si chiede, lui, se «John Williams “copiò” il tema di Star Wars» e la risposta ovviamente è sì, ma anche no, insomma un drammatico «dipende». Da wagneriano fradicio quale sono, conosco da molti anni gli studi condotti sulle centinaia di similitudini tra Star Wars e l’Anello del Nibelungo (tema dibattutissimo) e so che George Lucas ebbe addirittura in progetto un Anello del Nibelungo scenograficamente moderno, idea a cui poi rinunciò. Restando alla musica, però, e lasciando da parte espedienti come la cospicua presenza di leitmotive o certe strumentazioni o coloriture orchestrali, il punto è che tecnicamente (ripeto: tecnicamente) le musiche di Star Wars e quelle dell’Anello del Nibelungo non hanno niente in comune. A un certo punto, Trellini scrive che Lucas chiede «una partitura operistica, tardo romantica, alla Richard Strauss» e che Williams «fece invece di testa sua». Ecco: in realtà, a dirla tutta, tecnicamente la musica di Star Wars è proprio questo, è «una partitura operistica, tardo romantica, alla Richard Strauss». Poi bisognerebbe spiegare quanto Strauss fosse epigono di Wagner. E cominciare a incrociarvi tutti gli altri compositori che Trelllini ha correttamente citato. Per concluderne che cosa? Due cose, almeno. La prima è che semplicemente tutti i compositori da Wagner in poi (tutti, persino Stravinsky) sono debitori di Wagner. La seconda è che il discorso delle copiature è un andazzo che vale per qualsiasi compositore dal ‘600 in poi (Paganini ne era ossessionato, al punto che rifiutava di scrivere le partiture delle sue opere) e soprattutto e clamorosamente vale per tutti i compositori di colonne sonore da quando il genere nacque. Non se ne salva uno. Da qualche anno, addirittura, i compositori di colonne sonore hanno incominciato a copiare clamorosamente dai compositori atonali (Schoemberg, Berg, Webern, ma anche Ligeti) per film che si prestino: tanto non se ne accorge nessuno.

Trellini si dànna l’anima per Williams, ma ripeto, vale per tutti. Si prenda uno che oggi va per la maggiore, Hans Zimmer, che peraltro mi piaceva già negli anni Novanta quando stese i bei tappeti d’archi della «Sottile Linea rossa» (erano scopiazzati dalle Answered questions di Ives e dal preludio del Lohengrin di Wagner) e che poi ebbe un successone con la colonna de «Il gladiatore». Allora, senza entrare troppo nel dettaglio, ma con certezza. La traccia 1 sembra l’inizio di Passion di Peter Gabriel. La cifra delle tracce successive è la stessa: tamburi, lamenti, clarini sospesi. Traccia 7, passaggio atonale tipo Preludio di Tristano e Isotta wagneriano, ma più melodrammatico, e poi, a 3 minuti e 20 secondi, strappone da adagio mahleriano (forse era morto qualcuno, dico nel film). Traccia 9, chiara ispirazione al Pat Metheny di Secret Story, poi copia spudorata dell’ouverture dell’Oro del Reno di Wagner, e poi, oddio, questa è bella: Quinta di Sibelius, primo movimento più aggancio pirata col quarto. Ancora: traccia 10, Zimmer copia se stesso nella Sottile linea rossa. Traccia 11, ancora Peter Gabriel. Traccia 12, un bolero imbarazzante. Traccia 13: copia sincopata del movimento Marte tratto da I pianeti di Holst (una delle musiche più copiate di tutti i tempi, che però a sua volta… mi fermo) e poi un passaggio tipo Sagra di Stravinsky, quando Russel Crowe sta al minimo sbranando una tigre. A 7 e 20 c’è una schitarrata tipo Morricone nei western di Sergio Leone (così, dal niente) e poi, da 7 e 40, il vilipendio: uno sfrontatissimo plagio del Funerale di Sigfrido di Wagner, ovviamente storpiato e semplificata, TUM TUM compreso, con crescendo e poi ancora crescendo ma non verso il Walhalla: verso l’Oscar. La traccia 14 intanto scopiazza il canone iniziale della Terza di Gorecki, mentre la frase finale riprende e un po’ sfigura il il soffio finale della Patetica di Ciakovsky. Possiamo proseguire per qualche migliaio di film. La vita è plagio più fantasia.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera