A chi conviene il dramma?

La temperatura è scesa di botto. Abbiamo vissuto mercoledì un giorno di dramma, ieri la situazione s’è stabilizzata: difficile, complicata, conflittuale, ma non quella tregenda di cui abbiamo letto ieri su molte prime pagine. La partita sulla riforma del mercato del lavoro è aperta. Oggi il governo varerà un provvedimento ampio e innovativo, pieno di contributi portati in due mesi dalle parti sociali, e lo consegnerà al parlamento. Qui la maggioranza si misurerà sulle modifiche che, in particolare sui licenziamenti economici, sono considerate necessarie da settori diversi della società e della politica.

Sarebbe stato da ingenui aspettarsi che Monti modificasse il proprio testo già ieri: c’è una logica, nel consegnare la responsabilità al parlamento. Rientra nella dialettica istituzionale. Casomai sarebbe stato improprio cambiare le carte sulla base di pressioni e trattative sotterranee, che pure ovviamente ci sono.

Sarà però utile tornare alla drammatizzazione di mercoledì. Un po’ opera di politici e sindacalisti, un po’ dei media. Epicentro del terremoto virtuale, sempre il Pd, del quale subito si è evocata la scissione, la fine, la morte sull’altare del tema più caldo per i suoi elettori. Certo ha giocato la pigrizia di chi facendo i giornali prova a ricreare nell’era Monti il clima surriscaldato che abbiamo alle spalle.

Si avverte però anche la voglia neanche tanto sottile di liquidare l’anomalia Pd separandolo in una presunta sinistra sociale e una presunta destra liberale, che se esistessero davvero sarebbero entrambe minoritarie e perdenti. Il Pd è molto di più. In questa occasione, rappresenta la speranza per il mondo del lavoro di ammodernarsi senza lasciare nessuno indietro, anzi includendo la galassia degli esclusi.

Sul mercato politico nessuno è in grado adesso di garantire analoga centralità nel dibattito e nello sforzo riformista. Che lo si attacchi da fuori per questo motivo, si capisce bene. Ma se qualcuno all’interno volesse rinunciare a una simile straordinaria chance, questo si spiegherebbe solo con la irriducibilità del ben noto filone tafazzista della sinistra italiana.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.