La mia lista dei buoni propositi:

«1. Leggere almeno trenta libri; 2. Andare in palestra tre volte a settimana; 3. Non dare più soprannomi alle persone; 4. Scrivere più spesso al mio caro amico il Vez; 5. Ignorare la Latex e il suo gruppo; 6. Guardare film e serie TV in inglese; 7. Non fare più liste».

Kathy Thornton, astronauta, con una lista. Johnson Space Center, Houston, Texas, Usa. 21 ottobre 1993 (© Roger Ressmeyer/CORBIS/VCG via Getty Images)
Kathy Thornton, astronauta, con una lista. Johnson Space Center, Houston, Texas, Usa. 21 ottobre 1993 (© Roger Ressmeyer/CORBIS/VCG via Getty Images)
Manlio Garofalo
Manlio Garofalo

È nato a Udine nel 2001 ed è laureato in Lettere moderne all’Università di Bologna, dove sta per laurearsi in Italianistica. Nel 2025 è stato finalista al Premio Calvino racconti.

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Tengo sistematicamente traccia dei film visti, dei libri letti, delle canzoni ascoltate, dei posti visitati. Non sono il solo e mi chiedo che cosa dica di me, che cosa dica di noi questa compulsione a voler recensire, condividere e quantificare tutto.

Questa, per esempio, è la lista dei miei buoni propositi per l’anno nuovo:

  • Leggere almeno trenta libri;
  • Andare in palestra tre volte a settimana;
  • Non dare più soprannomi alle persone;
  • Scrivere più spesso al mio caro amico il Vez;
  • Ignorare la Latex e il suo gruppo;
  • Guardare film e serie TV in inglese;
  • Non mangiare più cioccolatini, patatine e arachidi;
  • Imparare a cucinare;
  • Non fare più liste.

L’ultimo è il punto più importante, perché ho una lista per tutto e non ne posso più. Ho una lista per:

  • persone a cui mandare gli auguri per il 2026;
  • cose da fare durante le giornate;
  • libri letti;
  • libri da leggere;
  • film visti;
  • film da vedere;
  • canzoni ascoltate;
  • canzoni da ascoltare;
  • artisti approfonditi;
  • artisti da approfondire;
  • capitali visitate;
  • capitali da visitare;
  • ristoranti da consigliare;
  • ristoranti da provare.

Sono ossessionato dalle liste:

  • liste pratiche;
  • liste poetiche,

come le distingue Umberto Eco.

Le aggiorno con cura, le colleziono, le condivido. Bramo di conoscere quelle degli altri, di carpire i loro gusti, le loro scelte. Registro tutto nel vano tentativo di dare un ordine al labirinto dei miei interessi e di quelli altrui. Ho scoperto infatti che ci sono tantissime altre persone nella mia situazione, ma non ho ancora capito bene quali siano le cause di questa nostra radicata necessità, di questa passione per i dati organizzati.

In compenso, sul tema ho stilato una lista di ipotesi.

Le liste possono:

  • dare una sensazione di piacere perché ci fanno produrre dopamina, come ha scritto il Guardian, ed è un po’ come avviene quando si completa il livello di un videogioco;
  • permetterci di gestire più facilmente le informazioni in un’epoca di sovrastimolazione;
  • impedirci di procrastinare;
  • facilitare la comprensione e il ricordo delle informazioni;
  • alleviare il “paradosso della scelta”, facendoci sentire meglio;
  • farci scoprire gusti in comune e affinità elettive;
  • infine hanno un fine e una fine (sul New Yorker ho letto che «le liste fanno sembrare il mondo gestibile, comunicando la possibilità di ordine. Offrono confini, un senso di finitezza»).

Segnare tutto quello che leggo o che vorrei leggere, che vedo o che vorrei vedere per me è un bisogno quasi fisico. Ancora un po’ di tempo e segnerò anche gli articoli e gli spot pubblicitari. È un disturbo, il mio, che rasenta la compulsione, ma ormai mi sono convinto che queste liste costituiscano una parte imprescindibile della mia identità. Che senza di esse non sarei niente, o sarei meno. Se non conservassi testimonianza dei film e dei libri, se non li valutassi, recensissi, consigliassi, sarebbe come se non li avessi mai visti o letti. Sarebbe come se non fossi esistito.

Giorni fa ho rischiato di litigare con i miei zii per un film brasiliano, Io sono ancora qui di Walter Salles. Eravamo a casa mia, tutti insieme, ne erano certi. Dicevano che il film parlava di un desaparecido e che ci era piaciuto molto. Io continuavo a dire che no, non era possibile, me ne sarei ricordato, forse l’avevano visto al cinema, ma non c’era verso, non si convincevano. Allora ho preso il telefono, ho aperto IMDb (il sito dove annoto e valuto i film che ho visto) e ho cercato la mia lista dei “Guardati”.

In quel momento le mie certezze sull’affidabilità delle mie liste sono crollate, perché mi ero dimenticato di segnare Anora, che avevo visto solo due giorni prima, ma anche perché nella lista dei “Guardati” di Io sono ancora qui non c’era traccia, compariva in un’altra lista, nefasta e senza fine, impossibile da azzerare, in costante espansione: quella dei quattrocentotrentasette titoli “Da guardare”.

Mi sono anche accorto di aver contrassegnato come “guardato” Michael Clayton anche se in realtà non l’ho finito, nonostante sia sulla lista del New York Times dei 100 migliori film del XXI secolo. Ma cosa dovrei fare con i film che non ho portato a termine? È una domanda che si fanno in molti. Su Reddit, che è una via di mezzo tra un social e un forum, ci sono diverse discussioni dove ci si interroga sulla validità di etichettare come visto un film che non si è riusciti a finire completamente. Si argomenta a favore dell’una o dell’altra tesi, ma l’unica risposta sensata, che purtroppo non riesco più a trovare, diceva all’incirca così:

«Certo che segno i film che non ho finito! Ne guardo solo 40 minuti? Segnato! Lo mollo dopo pochi secondi? Segnato! Conosco il titolo e ne ho sentito parlare? Segnato! Ho visto di sfuggita per strada il poster di quel film con Cameron Diaz? Segnato!».

Ecco, quando navigo su Reddit o su altri siti affini, mi sento meno solo perché la mia fissazione viene assecondata da nuove liste, che mi vengono costantemente offerte dai potenti quanto misteriosi algoritmi dei social, che mi profilano, mi capiscono, mi tendono la mano e consigliano:

  • nuovi libri da leggere;
  • nuovi film che potrebbero interessarmi;
  • canzoni e luoghi scelti apposta per me.

Io ci provo a ignorarli.
Conto fino a dieci a più riprese.
Resisto.
Rifletto sulla mia passione che percepisco un po’ perversa.
Poi mi ritrovo immancabilmente a sperare che esca il prima possibile la lista dell’anno, che attendo insieme alla mia cerchia di amici e a più di 200 milioni di persone: Spotify Wrapped.

Succede ogni anno a inizio dicembre e il ricordo ancora mi elettrizza: Spotify crea una presentazione con video, foto e grafiche accattivanti, che svela a ciascun utente quali sono stati nel corso dell’anno i suoi artisti più ascoltati, i brani preferiti, e quanti i minuti complessivi trascorsi in compagnia della musica.

Custodisco gelosamente, in una apposita cartella del computer, tutti i miei resoconti annuali, ma neanche quest’anno li ho condivisi sui social, come fanno molti. Il mio Spotify Wrapped l’ho inviato solo a pochi, selezionati amici. Perché per me la musica è una questione privata, sentimentale, di cui un po’ mi vergogno, e non voglio essere giudicato per quello che ascolto, e quindi, per quello che sono.

La maggior parte dei profili che seguo su Instagram, invece, si è riempita di liste tanto che qualcuno inizia a mal tollerarle. Quanto a me, non sono ancora riuscito a capire che cosa sia davvero Spotify Wrapped:

  • una specie di test della personalità;
  • un oroscopo contemporaneo;
  • l’esito di un rituale catartico;
  • una semplice ma curatissima infografica sui gusti musicali;
  • l’estrema manifestazione del capitalismo della sorveglianza;
  • la deriva dell’economia collaborativa?

Di sicuro molti come me si interessano alle liste degli altri anche per ampliare le proprie:

  • spiamo attori e registi mentre scelgono i loro film preferiti;
  • guardiamo quali sono i loro “Four Favorites” nel format di Letterboxd;
  • aspettiamo  la lista annuale dei libri, film e canzoni di Barack Obama, pubblicata su X;
  • commentiamo la lista del New York Times con i migliori libri del XXI secolo e discutiamo se sia meritato il primo posto di L’amica geniale.

Oppure l’esplosione e il successo dei siti che fanno classifiche sui nostri consumi culturali –

  • IMDb e Letterboxd per i film;
  • Goodreads per i libri;
  • Google Maps per le città;
  • Tripadvisor per i ristoranti.

– sono il risultato dell’espansione dalla sfera della salute a quella culturale del fenomeno del quantified self, ovvero il “sé quantificato”, che da più di vent’anni ci fa contare:

  • quanti passi abbiamo fatto in un giorno;
  • quanti gradini abbiamo salito;
  • quante calorie abbiamo assunto;
  • quante ore abbiamo dormito.

Il mondo sembra essere diviso in res cogitans, il soggetto pensante e consapevole di sé, e res recensa, ovvero il mondo esterno, semplice oggetto da enumerare e recensire con giudizi che sono sempre più polarizzati, sempre più egoriferiti.

Forse, azzardando una timida ipotesi eziologica, questa fissazione per le liste delle ultime generazioni non deriva soltanto dalla loro disponibilità, precisione e diffusione garantite dal digitale, ma anche da una sorta di imprinting dovuto alle carte collezionabili e alle figurine con cui siamo stati allevati durante l’infanzia:

  • Pokémon;
  • Yu-Gi-Oh!;
  • Magic;
  • Calciatori Panini;
  • Amici Cucciolotti;
  • Eccetera.

Ci giocavamo, le scambiavamo, le collezionavamo, le condividevamo, ne parlavamo agli amici. Mi sembra che il meccanismo alla base di queste applicazioni-social di liste sia lo stesso: collezionare miniature di film e di libri, rettangoli variopinti da visualizzare uno accanto all’altro, come in un album; ordinare e riordinare in base ai nostri gusti; farne partecipi gli altri; raggrupparle per temi. È come se pensassimo davvero di poter ridurre la nostra esperienza a tanti elenchi a cui delegare le nostre emozioni per tenerle in ordine, imporre loro una gerarchia e classificarle una volta per sempre. Una delle mie liste su IMDb si intitola “Traumi cinematografici infantili”:

La verità è che mi affaccio all’anno 2026 con la consapevolezza di essere caduto in una trappola. Ogni film che spunto come visto, ogni libro che valuto con le stelline, ogni canzone che ascolto diventa materia prima per un sofisticato sistema di profilazione. Mentre compilo con cura le mie liste personali convinto di costruire un archivio della mia identità culturale, sto alimentando il capitalismo della sorveglianza, che userà ciò che mi piace per vendermi altre cose che pensa mi piacciano e creare altre liste all’infinito. Ma non posso farci niente. Consapevole dei miei limiti e delle mie lacune, torno all’opera, compilo liste: liste dei migliori libri di fantascienza, di tutti i vincitori del Premio Strega, dei libri da leggere almeno una volta nella vita. Mi lascio cullare dai flutti del gran mare delle classifiche, abbandonandomi alla vertigine delle liste.

***

2 Liste Bonus di consigli bibliografici e cinematografici per chi non riesce a resistere

10 libri che parlano di liste o sono scritti in forma di lista

  1. The Book of Lists, la raccolta bestseller di fatti particolari spiegati in modo dettagliato, come i 7 detti famosi attribuiti alla persona sbagliata.
  2. L’idioma analitico di John Wilkins di Jorge Luis Borges, con l’insolita classificazione degli animali di un’enciclopedia cinese (da quelli «appartenenti all’Imperatore» a quelli «che da lontano sembrano mosche») e dal quale nasce Le parole e le cose di Michel Foucault.
  3. Tentativo di esaurimento di un luogo parigino di Georges Perec, che annota dettagliatamente in forma di elenco ogni singola cosa che vede nell’arco di tre giorni a place Saint-Sulpice, a Parigi. Marco Belpoliti l’ha definito con una lista, giustamente: «romanzo telegrafico; autobiografia per frammenti; trattato sullo spazio urbano; estremo tentativo di salvare se stessi; trasformazione dello spazio del mondo esterno in spazio della pagina; e altro ancora».
  4. Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, che inizia con una lista che va dai «Libri Che Puoi Fare A Meno Di Leggere» ai «Libri Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono».
  5. Vertigine della lista di Umberto Eco, saggio illustrato sulle liste che introduce l’importante distinzione tra liste pratiche (della spesa, degli invitati a una festa, dei libri di una biblioteca, ecc.) e liste poetiche (con una qualsiasi finalità artistica), e antologia che ripercorre la presenza delle liste nella storia della letteratura.
  6. Sono stato di Ernesto Franco, libro strutturato come una lunga lista, perché ogni capitolo racconta una delle quarantuno diverse identità che l’autore ha assunto nel corso della sua vita: è stato un editore, un compulsivo scrittore di agendine, un modello, Batman, e molto altro ancora.
  7. Le perfezioni di Vincenzo Latronico inizia con un lungo elenco descrittivo ed è ispirato a Le cose di Georges Perec.
  8. Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia di Michele Ruol, dove ciascun capitolo racconta di un oggetto della casa e dell’automobile dei protagonisti.
  9. Guida all’installazione di un futuro me di Ugo Coppari, composto nella prima parte, La vita come quantità, da interi paragrafi di liste di libri letti dal narratore, di città e stati che ha visitato, dei lavori che ha fatto, di spese mensili, ecc. E tutto questo «servirà a qualcosa: ricreare un me digitale dopo la morte, un futuro me che possa dialogare con chi mi sopravviverà, un me eterno la cui personalità possa aderire il più possibile al vero».
  10. Arto fantasma di Ben Eccher, menzione speciale della Giuria al Premio Calvino 2025, memoir autobiografico «che si avvale con grande efficacia dello stilema dell’elenco». Come nel libro di Ruol, che però narra una storia di finzione, la lista è un modo di affrontare una grave perdita.

10 libri o film con storie e personaggi legati alle o ossessionati dalle liste:

  1.  Alta fedeltà di Nick Hornby, romanzo da cui è tratto l’omonimo film. Il protagonista e narratore cita spesso delle classifiche particolari: lavori, partner, dischi, canzoni, «complessi o cantanti Che Andrebbero Fucilati Se Venisse la Rivoluzione Musicale», fregature più memorabili, cose peggiori fatte al proprio partner. «La differenza fra questa gente e me è che […] loro hanno delle opinioni e io ho delle classifiche».
  2. La versione di Barney di Mordecai Richler, romanzo strutturato in tre parti, ciascuna corrispondente a una delle mogli del protagonista, un ossessivo che si ripete spesso una lista come prova di memoria e in tasca tiene una lista con gli argomenti di conversazione che si è preparato.
  3. Schindler’s List di Steven Spielberg, ispirato al romanzo di Thomas Keneally basato sulla storia vera dell’industriale tedesco Oskar Schindler che redige una lista di ebrei da salvare impiegandoli nella sua fabbrica.
  4. 10 cose che odio di te di Gil Junger, con la poesia-lista che dà il titolo al film.
  5. Fight Club di David Fincher, basato sull’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, dove i protagonisti stabiliscono l’elenco di regole del club che dà il nome al film.
  6. Memento di Christopher Nolan, nel quale il protagonista soffre di un disturbo di memoria e per questo tiene una lista di informazioni su post-it, foto e tatuaggi: la sua realtà dipende da un inventario che deve costantemente aggiornare.
  7. Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet, con la lista dei piccoli piaceri dell’eccentrica protagonista.
  8. Kill Bill: Volume 1 di Quentin Tarantino. Il personaggio interpretato da Uma Thurman ha la sua “Death List Five”, la lista delle cinque persone che vuole uccidere.
  9. Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, ispirato all’omonimo romanzo, narra la storia di una professoressa universitaria di linguistica con una forma precoce di Alzheimer, che per testare la memoria crea sul telefono liste di domande a cui rispondere ogni mattina.
  10. I nove miliardi di nomi di Dio di Arthur C. Clarke, breve racconto nel quale dei monaci tibetani si rivolgono a un’azienda americana che produce computer per compilare una lista che contenga tutti i possibili nomi di Dio.

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Storie/Idee

Da leggere con calma, e da pensarci su