Il caso del cassiere licenziato da PAM per il “test del carrello” e poi reintegrato
Fabio Giomi non si era accorto di un finto furto architettato dall'azienda per metterlo alla prova, ma ora un tribunale gli ha dato ragione

La catena di supermercati PAM dovrà reintegrare nel suo posto lavoro Fabio Giomi, 62enne dipendente di un punto vendita di Siena, che lo scorso novembre è stato licenziato per non aver superato il cosiddetto “test del carrello”: una simulazione di un tentativo di furto fatta per mettere alla prova l’attenzione del lavoratore e diventata piuttosto nota e discussa negli ultimi mesi proprio per via del caso di Giomi.
Lo ha deciso il giudice del lavoro del tribunale civile di Siena, che ha anche condannato PAM al pagamento del danno subìto e delle spese processuali. La vicenda di Giomi era stata molto seguita da giornali e televisioni, con tante persone, soprattutto colleghi e sindacalisti, che avevano sostenuto l’illegittimità del suo licenziamento.
Quello che è stato chiamato “test del carrello”, o anche “del finto cliente”, consiste nella visita di un ispettore dell’azienda che, fingendosi un acquirente, entra nel supermercato e simula un tentativo di furto nascondendo alcuni prodotti nel carrello, per vedere se il dipendente se ne accorge. È una trovata che può sembrare abbastanza strana e non è chiaro se e quanto sia comune tra le catene di supermercati: sicuramente la fa PAM.
Secondo Andrea Stramaccia, avvocato di Giomi, nelle aziende è abbastanza diffusa la pratica del “mystery shopper”, un finto cliente che controlla la qualità dei servizi. Il caso di PAM però secondo lui è diverso, perché invece di cercare solo di migliorare la qualità del lavoro, mette anche attivamente in difficoltà il dipendente. «Un ispettore che fa il finto ladro», ha detto Stramaccia, «non l’avevo mai visto, è una figura nuova introdotta da PAM».
PAM, dal canto suo, non ha mai negato di fare uso del “test del carrello” e, anzi, in un comunicato stampa aveva ribadito la necessità di queste verifiche per evitare furti che erano costati diverse migliaia di euro. Aveva anche sostenuto che questo genere di controlli non avesse causato una riduzione di personale nei punti vendita.
Nel caso di Giomi, che lavorava alla cassa del punto vendita del centro commerciale Porta Siena, l’ispettore aveva nascosto piccoli prodotti in mezzo ad alcune casse di birra e sotto alle casse dell’acqua in un carrello. Formalmente Giomi è stato licenziato “per giusta causa”, una formula che di solito comporta l’interruzione del rapporto lavorativo per via di un comportamento molto grave del dipendente. Secondo i sindacati, il “test del carrello” era illegittimo ed è stato in realtà una scusa per licenziare un dipendente che, oltre a essere un delegato sindacale, era anche in età avanzata e a pochi anni dalla pensione (quindi meno conveniente per l’azienda rispetto a un lavoratore più giovane, che può essere assunto con diversi sgravi fiscali).
Il licenziamento di Giomi ha suscitato molto interesse nell’opinione pubblica (Repubblica ha persino raccontato come il 62enne ha passato i giorni prima di Natale, intervistandolo a casa sua) e la protesta dei sindacati, che hanno organizzato presidi davanti al PAM di Porta Siena per chiedere il ritiro del licenziamento. Maurizio Landini, segretario della Cgil, ha anche invitato Giomi sul palco della manifestazione organizzata dal sindacato a Firenze in occasione dello sciopero generale del 12 dicembre.
L’azienda e i sindacati si sono confrontati davanti al prefetto, che ha un ruolo di mediatore nei casi di conflitti sociali e sindacali. PAM ha proposto di ritirare il licenziamento e di reintegrare il dipendente con una sospensione disciplinare di dieci giorni, ma Filcams Cgil non ha accettato. Giomi ha quindi presentato un ricorso al tribunale del lavoro di Siena (il processo per lavoro segue una procedura particolare, più veloce delle cause civili). Dopo un nuovo tentativo di mediazione fallito, in cui PAM ha ripresentato la stessa soluzione proposta in prefettura, il giudice ha emesso la sentenza lunedì.
Giomi ha detto di sperare che questa sentenza possa valere anche per gli altri lavoratori licenziati da PAM con lo stesso metodo. Secondo i sindacati, infatti, ci sarebbero anche altri dipendenti, soprattutto tra la Toscana e il Lazio, licenziati o sospesi sempre a causa del “test del carrello”.



