L’inchiesta sui presunti finanziamenti dall’Italia ad Hamas, dall’inizio
Sono indagate 25 persone, di cui 7 sono state arrestate, accusate di aver aiutato associazioni palestinesi considerate illegali da Israele

Ci sono 25 persone indagate nell’inchiesta aperta dalla procura nazionale antiterrorismo e antimafia sulla rete di associazioni accusata di finanziare Hamas attraverso raccolte fondi presentate come iniziative umanitarie. Sabato la procura ha arrestato 7 persone e chiesto l’arresto di altre 2 latitanti, domenica invece sono state eseguite perquisizioni in 17 città che hanno portato al sequestro di oltre un milione di euro in contanti oltre a pc, telefoni cellulari e materiale che sarà analizzato nei prossimi giorni. La procura sostiene che negli ultimi anni le raccolte fondi abbiano fruttato circa 7 milioni di euro.
La principale associazione coinvolta è l’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (Abspp), fondata nel 1994 da Mohammed Hannoun, arrestato sabato mattina. Gli altri arrestati sono Dawoud Ra’Ed Hussny Mousa, Elasaly Yaser, Al Salahat Raed, Albustanji Riyad Abdelrahim Jaber, Abu Rawwa Adel Ibrahim Salameh, Abu Deiah Khalil, indicati dalla procura come membri di Hamas all’estero con ruoli operativi nella propaganda, nella raccolta e nel trasferimento dei fondi.
Risultano latitanti Abdu Saleh Mohammed Ismail e Osama Alisawi, dal 2008 al 2014 ministro del governo di Hamas, secondo l’accusa in costante contatto con Hannoun e gli altri indagati.
Hannoun ha 63 anni e abita in Italia dal 1983, a Genova. È laureato in architettura, ma non ha mai praticato la professione. Dall’inizio degli anni Novanta con la sua associazione è stato promotore di molte iniziative e raccolte fondi in favore del popolo palestinese. Da almeno 20 anni quelle stesse iniziative hanno alimentato i sospetti su suoi presunti legami con Hamas.
La procura di Genova si era già occupata di lui all’inizio degli anni Duemila, con un’inchiesta simile a quella avviata negli ultimi mesi, ma all’epoca il giudice per le indagini preliminari considerò le prove insufficienti.
Da allora Hannoun ha continuato a organizzare iniziative e raccolte fondi, oltre che a partecipare a manifestazioni per la Palestina. Negli ultimi due anni ha preso la parola in diverse occasioni pubbliche, soprattutto durante i cortei organizzati in diverse città, e ha dato molte interviste in qualità di presidente dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese. Ha sempre negato di finanziare Hamas attraverso le raccolte fondi.
Rispetto all’inchiesta di inizio anni Duemila, quando le prove ottenute dalla procura erano basate principalmente su testimonianze, stavolta le accuse sono state supportate da intercettazioni e soprattutto da informative ottenute grazie alla collaborazione con altri paesi, che hanno aiutato la procura a ricostruire come sarebbero avvenuti i movimenti del denaro. La maggior parte delle informazioni sono state trasmesse da Israele e dai Paesi Bassi.
Già in passato Israele aveva segnalato le attività dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese, bandita dal paese dal 2002. Sulla base di quelle informazioni, nel 2023 il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti aveva inserito Hannoun e la sua associazione in una lista di organizzazioni sanzionate perché accusate di finanziare il terrorismo.
Tra il 2021 e il 2023 invece alcune banche come UniCredit e Crédit Agricole, oltre a Poste Italiane e PayPal, avevano chiuso i conti dell’associazione, sempre in seguito alle segnalazioni del governo israeliano. Tra gli indagati ci sono anche la moglie e i due figli di Hannoun, che secondo la procura sarebbero stati consapevoli della destinazione reale dei soldi raccolti.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto al Giornale che il lavoro della procura è stato lungo e complesso, e che hanno partecipato tutte le componenti investigative dello Stato, comprese le agenzie di intelligence. L’indagine, ha detto Piantedosi, è iniziata dal controllo dei flussi finanziari e dalle donazioni raccolte dall’associazione. Da lì è stato ricostruito come avrebbe funzionato la rete di rapporti con altre associazioni e persone, e soprattutto da dove sarebbe passato il denaro prima di raggiungere i territori palestinesi.
Secondo l’accusa, i contanti sarebbero stati trasportati in camion attraverso la Turchia, insieme ad aiuti umanitari. La collaborazione con Israele ha permesso alla procura di individuare 19 associazioni palestinesi e turche attive a Gaza, Hebron, Ramallah e Betlemme a cui sarebbero stati destinati i soldi e che Israele considera illegali. Negli atti si legge che quelle associazioni sarebbero «appartenenti, controllate o comunque collegate ad Hamas» e che il denaro sarebbe servito a «contribuire consapevolmente all’attività dell’organizzazione terroristica nella componente civile e in quella militare».
Quei soldi, secondo gli investigatori, sarebbero serviti a «provvedere al sostentamento dei familiari di persone coinvolte in attentati terroristici o di detenuti per reati terroristici, rafforzando così l’intento di un numero indeterminato di componenti di Hamas di aderire alla strategia terroristica e al programma criminoso del gruppo, anche compiendo attentati suicidi».
Hannoun è detenuto nel carcere di Marassi, a Genova. Gli interrogatori di garanzia non sono ancora stati fissati, ma probabilmente si svolgeranno a partire da martedì 30 dicembre.



