Ofelia non annega più
È un mito potente che ritorna in Millais, Chopin, Delacroix fino a Taylor Swift. Ma oggi sembra cambiato

Un paio di settimane fa mi aggiravo per l’aeroporto di Fiumicino in preda al più cupo sconforto. Il mio volo sarebbe partito con tre ore di ritardo e sapevo che all’arrivo mi sarei ritrovata in una situazione emotivamente complicata. Mi compro qualcosa da leggere, mi dico, qualcosa di nuovo, che mi porti via da qui, e punto a un editore indipendente: Nutrimenti, La nuotatrice notturna, Adrián Bravi. La copertina mi colpisce.
Vado al gate, mi siedo, la osservo meglio. Ricorda parecchio la copertina dell’ultimo disco di Taylor Swift. Prendo lo smartphone, la cerco. Quella del libro è un’illustrazione (di Irene Blasco) e quella del disco una foto, ma i colori sono simili e nel complesso la somiglianza tra le due figure è inquietante: una ragazza immersa nell’acqua che la lambisce fino al mento, vista di tre quarti, dallo stesso lato. L’ispirazione, evidentemente, è il famoso quadro del preraffaellita John Everett Millais che ritrae un’Ofelia annegata, ma dal modello le immagini moderne differiscono in un aspetto sostanziale: Taylor e la ragazza del libro mi guardano dritte in faccia. E sono vive.
Mi torna in mente un’altra scena, stavolta non pop ma romantica: l’incubo acquatico di Fryderyk Chopin di cui parla George Sand nella sua autobiografia, Histoire de ma vie. I due amanti soggiornavano a Maiorca, pioveva da giorni, lui aveva la febbre e le confessò di aver sognato, con tale intensità da perdere i confini tra sogno e realtà, di annegare in un lago; da quella visione sarebbe nato uno dei suoi preludi, “la goccia d’acqua”. Ho pensato che forse la scrittrice, appassionata di pittura, nel raccontare l’episodio avesse in mente il quadro di Millais.
Ma che cos’ha di così potente, questa rappresentazione di un corpo sospeso tra la vita e l’acqua? Perché continua a emergere in diversi contesti? Ed è sempre e comunque un’immagine di resa?
Tutto comincia con il drammaturgo per antonomasia, l’uomo che fu in grado di creare non solo trame grandiose, ma anche archetipi robusti e durevoli. Nell’Amleto Shakespeare delinea il conturbante personaggio della giovane donna schiacciata tra gli uomini della sua vita, impegnati in lotte di potere, disposti a usarla per i propri scopi. Quando Amleto, l’uomo di cui è innamorata, uccide suo padre Polonio, Ofelia perde il senno; canta arie antiche, intreccia ghirlande di fiori, finché non cade in un ruscello.
Ma la sua morte non avviene sotto gli occhi degli spettatori, è raccontata da Gertrude, la madre di Amleto (non a caso, un’altra donna): arrampicatasi su un salice, Ofelia è scivolata in acqua e ha continuato a cantare, «inconsapevole della sua sorte o come creatura immersa nel suo naturale elemento», finché gli abiti non l’hanno trascinata giù.
La follia e la tragica fine di Ofelia sono il frutto di un mondo che l’ha calpestata e tradita: suo padre, l’uomo che ama, simboli di quella che oggi verrebbe indicata come la società patriarcale.
Qualcosa mi dice che Taylor Swift operi una scelta diversa.
John Everett Millais dipinse la sua Ophelia tra il 1851 e il 1852, nel pieno del fermento preraffaellita. Elizabeth Siddal, la modella del celeberrimo dipinto, posò per mesi in una vasca piena d’acqua e ovviamente si buscò la polmonite; ciononostante il quadro ebbe maggior fortuna degli altri che nello stesso periodo ritraevano lo stesso soggetto, forse perché la versione di Millais è particolarmente estetizzante.
La ragazza è morta, non c’è dubbio, ma l’immagine è bella, o almeno vuole esserlo, e il contrasto tra le due cose turba e seduce. Circondata da fiori dai colori tenui, immersa non solo nell’acqua “suo naturale elemento” ma in una natura con la quale diviene un tutt’uno, la Ofelia di Millais evoca una condizione di pre-nascita. La sua morte non è solo una fuga dal dolore del mondo, ma una dissoluzione di sé: una de-individuazione.
Anche qui, direi che siamo parecchio distanti da Taylor Swift.
Quando Virginia Woolf, nel marzo 1941, si immerge nel fiume Ouse con le tasche piene di sassi, incarna e ripete il gesto di Ofelia, con la differenza che quello del personaggio shakespeariano sembra un atto non del tutto volontario, mentre quello di Woolf è la scelta consapevole di una donna che nella follia non intende sprofondare.
«Sono certa che sto impazzendo di nuovo… comincio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi», scrive al marito, nella sua lettera d’addio. Sa che non può più sostenere lo sforzo estenuante di tenere unita un’identità che continua a frammentarsi e compie quella che ritiene la scelta migliore: dissolversi nell’elemento primordiale, quello di cui è pieno il grembo materno, rientrare nel ritmo universale da cui la vita e la parola provengono. Nella sua morte, come nel suo romanzo Le onde, l’acqua non inghiotte, ma riaccoglie.
George Sand era amica del pittore francese Eugène Delacroix, che aveva realizzato ben tre versioni della Morte di Ofelia ispirate a Shakespeare. Conosceva anche Paul Delaroche, autore di una Giovane martire che galleggia esanime nell’acqua con i polsi legati; e soprattutto, nel maggio del 1855 visitò l’Esposizione Universale di Parigi, dove si trovava l’Ofelia di Millais. Tre mesi dopo, pubblicò il racconto dell’incubo di Chopin a Maiorca.
«Vedendoci arrivare, si alzò levando un grido, quindi disse con un’aria smarrita e un tono strano: ‘Ah! Lo sapevo bene, che eravate morti!’. […] Si vedeva annegato in un lago; gocce d’acqua pesanti e gelide gli cadevano ritmicamente sul petto. […] La sua composizione di quella sera era piena di gocce di pioggia che risuonavano sulle tegole della certosa, ma esse si erano tradotte nella sua immaginazione, e nel suo canto, in lacrime che cadevano dal cielo sul suo cuore».
Se è probabile che la scrittrice, reduce dalla visione del quadro di Millais, abbia un po’ ricamato sull’episodio, è anche probabile che lo stesso Chopin sia stato influenzato dall’immaginario del suo tempo, così da figurarsi sospeso tra la vita e un confortante, e spaventoso, ritorno al grembo materno. In ogni caso, il racconto di Sand mostra quanto l’archetipo fosse diffuso: l’acqua come confine tra sogno e realtà, come materia pittorica e sonora, come luogo di bellezza e di tormento. Ofelia era ovunque.
Ma con Taylor Swift il finale è cambiato.
Il 3 ottobre 2025 Taylor Swift pubblica l’album The Life of a Showgirl, che esplora la vita dietro i riflettori durante il suo monumentale “Eras Tour” e batte, come di consueto, ogni possibile record. Ecco, Taylor. Devo ammettere di essere stata tra coloro che non riuscivano a spiegarsene il fantasmagorico successo. Non essendo il suo genere (o i suoi generi) di musica la mia tazza di tè, non mi ero mai soffermata sui testi; mi limitavo a dare qualche occhiata alle sue “mise” fiabesche dicendo: boh. È tanto carina, non è trasgressiva neanche un po’, chissà cosa ci trovano. Poi ho guardato un documentario su ARTE e ho scoperto la sua storia, la sua capacità di reinventarsi, vedere lontano e con chiarezza, la determinazione, la poliedricità del suo talento. Ha scritto e diretto lei stessa il video del primo singolo dell’album, The Fate of Ophelia, il destino di Ofelia.
Come nel brano Love Story, risalente a quando era una teenager, Taylor Swift “riscrive” Shakespeare: allora la tragedia di Romeo e Giulietta andava a finir bene, stavolta Ofelia sopravvive. Viene salvata. O meglio, è la stessa Taylor che dichiara esplicitamente come un “tu” (nel quale è facile individuare il suo promesso sposo) l’abbia salvata da quel triste destino; ma anche che un attimo prima che lui illuminasse il suo cielo, lei aveva giurato fedeltà a sé stessa. Aveva accettato la solitudine.
Il “tu” della canzone è il tramite della rinascita di Ophelia, non la causa. Non è lui che la salva, cavaliere senza macchia e senza paura, è lei che sceglie di non morire, grazie allo specchio dell’amore nel quale si riconosce e viene riconosciuta. È lei che riemerge e torna a respirare con le proprie forze. L’Ofelia shakespeariana è rappresentata post mortem; l’Ofelia di oggi è viva e consapevole.
La “nuotatrice notturna”, disegnata da Irene Blasco per il romanzo di Adrián Bravi, e la Taylor Swift semisommersa sulla copertina del suo disco hanno ribaltato l’antica immagine. Non più dissoluzione, de-individuazione, perdita di sé, ma presenza vigile; Ofelia non affonda, ma nuota e ci osserva, costringendoci ad ammettere che la narrazione è cambiata. Perché finalmente, dopo Shakespeare e generazioni di pittori, se ne sono appropriate le donne.










