I calendari dell’avvento stanno esagerando
Ce ne sono per tutte le età e per ogni prodotto possibile: per le aziende sono molto convenienti, per i clienti un po' meno

A novembre Grace Glazee, una seguita influencer di Singapore che si occupa di moda e viaggi, ha pubblicato un video in cui mostrava quello che, a prima vista, sembrava un armadietto bianco finemente decorato e dotato di tanti piccoli cassetti, precisando di averlo pagato 11mila dollari locali (circa 7.500 euro). Era una creazione della casa di moda francese Dior. Ogni cassetto, da aprire giorno dopo giorno dal primo al 24 dicembre, conteneva una sorpresa diversa: un profumo, un paio di orecchini, una crema di bellezza, una sciarpa e così via.
Era insomma una versione “di lusso” di un calendario dell’avvento: oggetti generalmente pensati per accompagnare i bambini nell’attesa dell’arrivo di Babbo Natale, solitamente con un cioccolatino ogni giorno, ma che negli ultimi anni sono diventati tutt’altro. Aziende di ogni tipo hanno infatti cominciato a produrne per adulti: per promuoversi e per vendere in gran quantità prodotti dai cosmetici ai gioielli, dalle bustine di tè alle birre, e fino ai sex toys.
L’usanza del calendario dell’avvento ha una storia che comincia nell’Ottocento e arriva dalla Germania. Inizialmente i calendari dell’avvento – Adventskalender per fedeltà alla loro origine – erano una tradizione casalinga: non si sa bene chi li abbia inventati ma si sa che già a metà Ottocento, nelle famiglie tedesche protestanti, si usavano i gessetti per tener conto dei giorni che mancavano al Natale o si appendevano delle figure colorate per ogni giorno dell’avvento.
Da qualche anno il calendario dell’avvento viene sfruttato con sempre maggiore frequenza dalle aziende di moda e di bellezza, che ne propongono versioni sfarzose e spesso decisamente costose.
Ottengono grande visibilità anche grazie agli influencer, perché sono prodotti che si prestano particolarmente bene ai loro contenuti. La struttura dei calendari consente infatti di realizzare un video al giorno, spacchettando ogni volta un prodotto diverso e svelando una nuova sorpresa: significa assicurarsi un contenuto al giorno per tre settimane abbondanti e creare aspettativa e quindi un coinvolgimento prolungato nei follower. Altri invece preferiscono mostrare in un solo video l’intero contenuto del calendario, per permettere a chi guarda di valutare se il prezzo valga la pena.
Questi contenuti si inseriscono in una più generale tendenza che da qualche anno sta avendo particolare fortuna su piattaforme come Instagram e TikTok, e più in generale nel marketing: quella dei prodotti “a sorpresa”, il cui valore non è dato tanto dal contenuto quanto dall’esperienza del momento dello scarto e della scoperta. L’esempio più famoso tra i più recenti è quello dei Labubu, i famosi pupazzetti prodotti dall’azienda cinese Pop Mart, che vengono venduti nelle cosiddette “blind boxes” (scatole a sorpresa), in modo che l’acquirente non sappia quale gli capiterà.
Oltre a quello di Dior, tra i calendari più gettonati di quest’anno ci sono quelli dei marchi londinesi di cosmetica Charlotte Tilbury e Jo Malone e quello di Diptyque, azienda francese nota soprattutto per profumi e candele di alta gamma, con prezzi che vanno dai 300 ai 500 euro. Per quanto riguarda i brand italiani, i due maggiormente mostrati su TikTok e sulle altre piattaforme sono quelli di Armani e di Acqua di Parma, che si aggirano su prezzi simili. Ma ce ne sono molti altri anche di aziende non di lusso, come quelli delle profumerie Sephora, Douglas e Pinalli, o quelli di Aesop, di Marchesi e di Nespresso.
Questa tendenza è stata molto commentata da giornali e riviste di settore, talvolta con toni curiosi e divertiti, altre volte con un atteggiamento più critico per l’approccio consumistico sfrenato e ostentato che i calendari finiscono per incoraggiare.
Sebbene infatti i calendari dichiarino un valore complessivo dei prodotti superiore al prezzo di vendita, questo non comporta di fatto un risparmio, dato che contengono articoli che il consumatore non avrebbe probabilmente mai acquistato nella loro totalità. È evidente che queste iniziative sono vantaggiose soprattutto per le aziende, perché permettono di vendere in massa anche prodotti che, singolarmente, avrebbero poco mercato. È un modo per vendere a un prezzo ribassato prodotti che altrimenti rimarrebbero in magazzino, in un periodo, quello di chiusura dell’anno e del bilancio, in cui si è più disposti a svendere.
I calendari dell’avvento dei brand di moda stanno ricevendo molte critiche dai gruppi ambientalisti, dovute in parte all’ideale consumistico che incarnano e in parte ai loro costi ambientali. La loro produzione richiede infatti una grande quantità di plastica, soprattutto per realizzare gli imballaggi e i vari compartimenti, con un conseguente aumento di rifiuti difficili da smaltire.
Anna Diski, attivista di Greenpeace UK, ha detto al Guardian che i calendari dell’avvento «contengono probabilmente due o tre sorprese che effettivamente desideri, e una ventina di cui potresti fare a meno». Secondo Daniel Webb, fondatore e presidente dell’organizzazione non governativa Everyday Plastic, «sono la spia di un problema più grande: un sistema che continua a produrre sempre più cose di cui non abbiamo bisogno e che probabilmente non possiamo permetterci».
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